Il doppio binario della politica estera di Joe Biden

Dopo un anno di transizione, Joe Biden sta cominciando a dettare la sua politica estera. Il contrasto con il suo predecessore non è ancora così marcato, se non nei toni, più pacati, razionali e collaborativi. La guerra commerciale con la Cina sta proseguendo silenziosamente, ma il teatro più caldo al momento è quello in Ucraina, dove è scoppiato il più grande conflitto convenzionale dai tempi della Seconda guerra mondiale.

La strategia del presidente americano è stata aiutata dalla gravità dell’emergenza: la Nato non è mai stata così unita, a distanza di pochi anni dal celebre discorso di Macron che la definì “cerebralmente morta”, mentre l’Unione Europea sta vivendo una seconda giovinezza

Il divide et impera putiniano ha fallito. Gli Stati Uniti percorrono due binari. Il primo, quello con gli alleati di sempre; il secondo, di opportunità, che vede gli avversari più recenti come Venezuela e Iran diventare interlocutori utili, cercando di separarli da Mosca. Un approccio che non risponde a logiche elettorali (la politica estera è un tema secondario nella politica americana), ma con una coerenza strategica che forse era mancata ai tempi di Barack Obama. 

L’ex VP, oggi Commander-in-Chief, non si trovava sempre d’accordo con Obama nelle scelte di politica estera. Si oppose all’intervento in Libia nel 2011 e fronteggiò la prima crisi ucraina nel 2014, quando il Cremlino approfittò dei disordini a Kiev per annettere la Crimea e fomentò la guerra in Donbass. Alcuni analisti imputano l’espansionismo di Putin all’atteggiamento lascivo di Obama nei suoi confronti.

Nel 2012 l’allora Presidente USA promise al suo omologo russo Dmitry Medvedev maggiore flessibilità verso la Russia dopo le elezioni presidenziali. Biden invece si è fin da subito mostrato più duro e pugnace. La scorsa primavera ha definito Putin un assassino e nell’annunciare il ritiro dall’Afghanistan ha riaffermato la contrapposizione di interessi tra l’Occidente e Mosca

Una volta iniziata l’invasione dell’Ucraina, anticipata nell’autunno 2021 dall’intelligence statunitense, Biden ha introdotto misure draconiane, partendo dalle prime sanzioni dirette agli oligarchi e arrivando nel giro di pochi giorni all’esclusione della Russia dal sistema SWIFT, con l’ipotesi di un embargo totale sullo sfondo in caso di ulteriore escalation, negando a priori un coinvolgimento boots on the ground o una no-fly zone, che sarebbero l’anticamera della guerra nucleare. Ma per isolare completamente il Cremlino non basteranno queste mosse. 

La diplomazia USA sta lavorando da settimane per delegittimare il regime di Putin nella comunità internazionale. Il voto dell’Assemblea Generale ONU sulla risoluzione di condanna dell’aggressione russa in Ucraina – approvata con 141 Stati a favore e cinque contrari –, potrebbe nascondere dei riposizionamenti che si stanno verificando sotto traccia. Tra le trentacinque astensioni figurano infatti quelle di nazioni alleate di Mosca, come Cuba e Iran, mentre la Cina, che continua a ricevere pressioni da Washington per una presa di posizione netta sulle azioni russe in Ucraina, cerca di mantenere un’attenta neutralità. 

Se il voto di Cuba si rifà a quello di Pechino, la decisione dell’Iran denota invece la volontà di Teheran di non compromettere i negoziati con gli Stati Uniti sulla riedizione del JCPOA, l’accordo sul nucleare precedentemente stracciato da Donald Trump.

L’amministrazione Biden era pronta ad annunciare l’intesa in queste settimane, ma la Russia ha inizialmente tentato di rallentare i lavori. Non un problema insormontabile per gli Stati Uniti, che hanno dichiarato di voler andare fino in fondo, anche se i russi dovessero sfilarsi dall’accordo. E il Venezuela? Caracas non ha potuto esprimersi all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite in quanto sanzionata per dei debiti con la stessa organizzazione che ne ha congelato il diritto di voto. Il dittatore Nicolás Maduro aveva aperto alla possibilità di tornare a vendere il petrolio venezuelano agli USA, un processo complicato che ha già scatenato le prime polemiche

Questo però non significa che Stati Uniti e Venezuela non si siano confrontati, anzi: riattivati i canali diplomatici, sono stati liberati dalle carceri venezuelane diversi prigionieri americani. Il segretario di Stato Antony Blinken ha detto che i due Paesi hanno interessi comuni, in particolare sulla scarcerazione dei cittadini statunitensi e sul ritorno della democrazia, un tema che ha affrontato anche Maduro, intenzionato a dialogare con le opposizioni.

Perché è importante? Ultimamente, Mosca e Caracas hanno intensificato le relazioni commerciali con la firma di accordi di cooperazione su sicurezza ed energia. Tuttavia, non sarà una strada in discesa ricostruire i rapporti con il Venezuela dopo l’era Trump e sperare in forniture extra di petrolio dal Sudamerica non è un obiettivo futuribile.

Il disegno di Joe Biden sembrerebbe antitetico a quello di Donald Trump, che secondo un suo ex consigliere avrebbe ordinato il ritiro degli Stati Uniti dalla Nato se fosse stato rieletto per un secondo mandato. L’attuale inquilino della Casa Bianca è pronto a ristabilire l’efficacia del Patto Atlantico come avamposto militare delle democrazie. E per garantirlo, Biden potrebbe contraddire il radicalismo dei propri principi liberali e accontentarsi di una convivenza strumentale con chi ha rappresentato una minaccia a quei principi.

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