Bucha, troppo sangue da lavare via: la propaganda, smontata

L’esercito russo si è ritirato dal nord dell’Ucraina lasciando dietro di sé l’orrore: le raccapriccianti immagini della cittadina di Bucha, poco fuori Kiev, hanno sconvolto il mondo.

Nel frattempo la propaganda si è messa in moto per coprire il massacro.

Cos’è successo?

La cittadina di Bucha si trova in un punto strategico, sulla direttrice d’attacco delle forze d’invasione russe che dalla Bielorussia si sono dirette verso Kiev all’inizio del conflitto.

L’intervento, che nei piani del Cremlino doveva essere un blitzkrieg, si è rivelato una onerosissima guerra di logoramento. Dopo un mese di ostilità il comando russo ha quindi deciso di ritirare le truppe dal fronte settentrionale per spostarle a sud e a est, in zone più rilevanti dal punto di vista strategico. O, almeno, è quello che dicono da Mosca, sebbene il Cremlino non sia affidabile quando si parla di ritirate (come quando il ministero della Difesa russo sosteneva che avrebbe ritirato le truppe poco prima dell’effettiva invasione).

All’avanzare dell’esercito ucraino giornalisti e osservatori internazionali hanno avuto accesso a Bucha, appena liberata dai russi. Ciò che hanno trovato è agghiacciante.

Cadaveri ovunque. Nelle strade, nelle case. Civili, molti con le mani legate, alcuni bruciati per nascondere i segni delle torture. Sui corpi i segni delle esecuzioni sommarie, delle violenze, degli stupri.

Uomini, donne. E bambini.

Nelle fosse comuni, visibili anche dal satellite, centinaia e centinaia di salme.

I fenomeni cognitivi sfruttati dalla propaganda

Come potremo constatare tra poco, ci sono vari fenomeni cognitivi correlati alla propaganda su Bucha. Conoscerli è cruciale.

Gaslighting

È forse lo strumento più subdolo che utilizza la propaganda russa su Bucha (e non solo). Lo scopo è quello di instillare il dubbio sulla corretta percezione della realtà da parte del pubblico, attraverso l’inganno.

Prende il nome dal film del 1944 Gaslight, in cui il marito della protagonista la fa uscire di senno con piccoli espedienti, portandola a dubitare di sé stessa per farla dichiarare incapace di intendere e di volere.

È il caso della cortina fumogena di fake news costruite dai russi con lo scopo di inquinare il dibattito in occidente. Molte persone si fanno influenzare da questo materiale, fino a sviluppare dei dubbi sulla corretta percezione della realtà da parte del pubblico. Come vedremo, anche molte personalità autorevoli sono vittime di questa tecnica.

Sealioning

Lo scopo è instillare il dubbio attraverso la richiesta ossessiva di prove e fonti, spesso le stesse ripetute nel tempo, anche quando sono già state date. È un fenomeno che non esenta nemmeno i nomi più altisonanti.

Il primo effetto è quello di erodere la pazienza e la determinazione di chi pubblica le prove raccolte sul campo attraverso un argumentum ad infinitum, fallacia ben conosciuta fin dall’antichità che consiste nel costringere il malcapitato a una estenuante discussione il cui fine non è determinare la verità, ma sfinire l’avversario. Il secondo effetto è fare in modo che il bersaglio desista dall’esprimere la propria opinione in futuro, conscio che significherebbe un enorme dispendio di tempo ed energie per difendere i propri argomenti. Terzo effetto, fare in modo che da quel momento in poi la vittima agisca in maniera prevenuta nei confronti di qualsiasi sincera richiesta di informazioni in buonafede, nel timore di impelagarsi di nuovo in una discussione senza uscita.

Astroturfing

È una tecnica di marketing che risale agli anni Ottanta. Al giorno d’oggi consiste nella mobilitazione di simpatizzanti (grassroots) e nell’uso di profili fake (sockpuppeting) per diffondere una falsa percezione positiva nei confronti del committente dell’astroturfer. Nel caso della propaganda russa è acclarato da numerose inchieste l’utilizzo massiccio di troll al fine di diffondere contenuti propagandistici e fake news in occidente. La gestione russa della vicenda di Bucha è esemplificativa di questa tecnica, come vedremo tra poco.

Leggi anche: Bestiario dei troll da social: tipologie, tecniche e come batterli.

Concern trolling

Consiste nel fingersi alleati per poi fare fuoco amico. È così evidente da essere imbarazzante nei lunghi prologhi del prof. Orsini, nei quali sottolinea la sua vicinanza all’occidente e la distanza da Putin, per esplicitare subito dopo tesi molto vicine a quelle del Cremlino. A livello retorico ha la stessa funzione del «non sono razzista, ma…».

Leggi anche: Atlantismo for dummies: come rispondere alle obiezioni russe sull’Ucraina.

Authority bias

È la tendenza a ritenere più accurata l’opinione di persone autorevoli, tralasciando per questo i normali processi di verifica cui si sottopone l’opinione di altre persone.

La logica però ci insegna che la fama di chi espone un qualsiasi argomento è irrilevante al fine di determinare se quell’argomento è o non è corretto, cosa che va determinata per via logica. In tal senso la lista di castronerie dette da premi Nobel è alquanto lunga e fornisce numerosi esempi di questo fenomeno. Nel caso dell’Ucraina, si traduce nello sfruttare il ruolo di professori, giornalisti ed esperti quale “prova”. Ma le prove sono prove e le opinioni sono opinioni, a prescindere da chi le esprime.

Virtue signalling

Ovvero, l’atteggiamento di chi usa la dedizione verso alcuni valori per segnalare all’esterno la propria superiorità morale.

Nel caso in questione, l’atteggiamento di chi, nel nome della pluralità della libertà di informazione, dà spazio a qualsiasi forma di complottismo e dietrologia, senza alcun filtro di buonsenso e ignorando le prove, spesso appellandosi all’invadenza del cosiddetto “pensiero unico”. Questo porta diffondere propaganda altrimenti smascherabile con facilità.

Confirmation bias

Tendiamo a ricercare e selezionare le informazioni che confermano i nostri preconcetti, mentre tendiamo a non considerare o a dare minor valore a quelle che li negano.

Così, chi ha già preconcetti sulla guerra in Ucraina (ad esempio chi è ostile a Nato e Stati Uniti) tenderà a credere alle fake news russe in quanto confermano i pregiudizi che già ha.

Leggi anche: Tecniche di propaganda: il caso Meloni-Financial Times.

La propaganda russa su Bucha

Massacri come quello di Bucha non sono nuovi per Putin: è la dottrina militare russa che, in continuità con quella sovietica (ivi compresa la rasatura dei capelli per umiliare le donne catturate), prevede la sottomissione della popolazione civile nella maniera più brutale possibile. Lo racconta il campione di scacchi russo Garry Kasparov in questi video.

Tutte cose già viste: le forze armate russe si sono già rese responsabili del massacro di Grozny in Cecenia, della pulizia etnica in Georgia, di crimini di guerra in Siria. Si tratta di fatti acclarati da organismi internazionali, non di opinioni.

Ora si aggiunge alla lista la strage di Bucha, che come vedremo più avanti è solo la punta dell’iceberg.

Negare, negare, negare

La principale tecnica di propaganda usata dalla Russia su Bucha è sempre la stessa: negare sempre e comunque, e di fronte alle prove bollarle come false. Un metodo navigato, già sperimentato varie volte.

Come nel caso dell’ospedale pediatrico di Mariupol bombardato dai russi. La versione del Cremlino è cambiata svariate volte, per adattarsi alle prove che mano a mano sono emerse: prima ha negato che fosse avvenuto, poi ha affermato che si trattasse di artiglieria ucraina, poi che all’interno dell’ospedale non ci fossero pazienti bensì militari del battaglione Azov (ammettendo in maniera implicita la responsabilità del bombardamento), infine montando ad arte l’intervista a una delle superstiti (ammettendo in maniera implicita che i pazienti c’erano eccome).

Allo stesso modo, appena è venuto a galla il massacro di Bucha la propaganda si è subito messa in moto e vari account ufficiali russi hanno cominciato a diffondere fake news. Come vediamo qui sotto, numerosi account di ambasciate russe hanno diffuso lo stesso video in maniera coordinata. Il video, al momento della stesura di questo articolo, è stato oscurato da Twitter.

https://twitter.com/jsrailton/status/1511371467744763915

Il debunking del video russo

Nel video in questione si vedeva una sorta di riflesso, che secondo la propaganda era il movimento del braccio di uno dei cadaveri, a dimostrazione che si trattava di attori. Ma basta un po’ di zoom e di slow motion per constatare che si tratta di una semplice goccia sul vetro in un caso, e della deformazione dello specchio retrovisore nell’altro, come si vede qui sotto.

Anche il sottobosco degli account non ufficiali ha cominciato a produrre dubbi artificiali al fine di sgonfiare le responsabilità russe: video montati ad arte, cambi di date, manipolazioni di ogni sorta.

Fino alla creazione di falsi siti antibufale il cui scopo è solo quello di inquinare il dibattito pubblico, come dimostrato dal noto fact checker David Puente.

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Il sistema dei massacri

Nel frattempo il giornale tedesco Der Spiegel pubblica le intercettazioni delle trasmissioni russe recuperate dai servizi segreti tedeschi, le quali dimostrano come quanto avvenuto a Bucha non sia l’opera di qualche mela marcia, ma un piano condiviso fino al vertice il cui scopo è distruggere la volontà del popolo ucraino.

In Italia

L’Italia purtroppo è terreno fertile per questo tipo di propaganda.

L’authority bias e il concern trolling la fanno da padrone, per cui si dà spazio a qualsiasi dubbio sia veicolato da personalità con una certa fama, anche in buona fede.

Ad esempio, undici storici inviati di guerra italiani hanno pubblicato una lettera aperta per giustificare la liceità dei loro dubbi, mentre i loro numerosissimi colleghi che sono sul campo li smentiscono con una quantità immane di prove oggettive e testimonianze inequivocabili, come avremo modo di constatare in questa carrellata.

Il video di Toni Capuozzo

Uno di questi (ex) inviati di guerra è il giornalista Toni Capuozzo, che ha diffuso un video della polizia ucraina girato a Bucha il 2 aprile nel quale non si vedono i morti presenti negli altri video. Capuozzo pone numerosi dubbi sulla ricostruzione fatta dai media occidentali.

Ma Bucha è una cittadina di poco meno di quarantamila abitanti e quel video è stato girato in un’altra parte della città, a mezz’ora a piedi dal luogo del massacro – Yablunska street–, come si evince dal posizionamento del supemercato Novus presente nel video pubblicato da Capuozzo.

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Il supermercato Novus presente nel video di Capuozzo, rispetto al luogo del massacro. Immagine: Maximo Zugolovic.

Si tratta di un post divenuto virale e che, al momento della scrittura di questo articolo, supera le trentaduemila condivisioni.

Le tempistiche

Anche i dubbi sulle tempistiche evidenziati da Capuozzo sono stati smentiti da varie fonti.

Il New York Times ha pubblicato un’analisi delle immagini satellitari dei giorni precedenti che mostrano che i corpi c’erano già sotto l’occupazione russa.

Molti testimoni delle violenze riportavano da giorni le agghiaccianti storie ai giornalisti presenti nei paesi adiacenti a Bucha, i quali hanno dovuto aspettare di avere delle prove in mano prima di poter pubblicare quelle che al tempo erano solo supposizioni, ma che giravano tra gli addetti ai lavori. Tra di loro anche degli italiani, come Alessio Lasta.

A dimostrazione del modus operandi, in questa ripresa catturata da un drone è visibile l’omicidio di un ciclista da parte di un tank russo, il cui cadavere è poi immortalato da vicino nelle terribili immagini provenienti da Bucha.

Il video di Meduza

Oltre a tutte le prove precedenti, pochi giorni fa si è aggiunta un’altra, definitiva prova.

Nel video, ripreso da un drone, sono visibili in contemporanea le truppe russe e i cadaveri dei civili immortalati dai giornalisti, il che smonta ogni dietrologia.

Il video è stato recuperato da Meduza Project, un’agenzia indipendente che si occupa di Russia. Ha sede a Riga, in Lettonia, ha nel suo team grandi personalità russe del mondo dell’informazione e si pone l’obiettivo di fornire notizie verificate e prive di interpretazioni soggettive.

I cadaveri troppo “freschi”

Capuozzo non risparmia nemmeno i cadaveri, che secondo lui sono troppo freschi per essere lì da vari giorni. Lo fa giustificandosi e sfruttando l’authority bias: essendo stato inviato di guerra dice di saper riconoscere queste cose.

Tradotto: la sua opinione è sufficiente.

Per chiarire i dubbi sollevati da Capuozzo, theWise Magazine ha raggiunto l’anatomista esperto di resti umani Francesco Galassi, che ci ha dato il suo parere sulla questione.

«Dalla documentazione fotografica pubblicata dalle principali testate giornalistiche non è possibile trarre conclusioni definitive circa i dettagli della causa mortis dei singoli individui rinvenuti a Bucha né fare valutazioni complete. Questo sarà possibile solo ai medici legali che hanno in esame i cadaveri. Occorre, pertanto, grande cautela in ogni tipo di asseverazione.
Limitandoci ad alcune osservazioni fatte di recente da alcuni commentatori sulla presunta assenza di cospicue tracce ematiche, bisogna sottolineare che ferite causate da armi da fuoco non necessariamente producono una emorragia esterna maggiore, dal momento che alcune ferite possono causare, invece, una massiccia emorragia interna, come pure gli indumenti indossati possono trattenere parte del sangue. Per questo motivo la quantità di sangue percepita sulla scena del crimine non correla necessariamente con la gravità del trauma. Prima ancora dell’invenzione delle armi da fuoco, esistevano altri tipi di “proiettili” a scopo venatorio o bellico, le frecce. L’uomo del Similaun, noto anche come Ötzi, è un tipico esempio di uno scenario del genere: la freccia trapassò la scapola sinistra e lacerò l’arteria succlavia di quella metà del corpo, ma si verificò una emorragia interna, non esterna, al punto che, a distanza di millenni, l’esame tomografico poté mettere in luce che ancora si conservava una cospicua raccolta ematica all’interno di quel corpo mummificato. Il richiamo che faccio a Ötzi va oltre la traumatologia, dal momento che le condizioni ambientali, soprattutto le temperature molto rigide alle quali sono stati esposti i cadaveri nella regione di Bucha (ma anche l’umidità e la velocità dell’aria a marzo) hanno sicuramente contribuito alla apparentemente ottima conservazione dei cadaveri. Ciò è dovuto al fatto che le temperature ottimali per la moltiplicazione della maggior parte dei batteri colonizzanti gli intestini della nostra specie sono superiori ai 4°C, quindi non il caso di Bucha. Se le condizioni ambientali non mutassero (cosa che avverrà, invece, con l’avanzare della primavera), i corpi potrebbero teoricamente preservarsi, almeno in parte, come mummie spontaneamente formatesi o, quantomeno, se non di processi conservativi, si può parlare di un rallentamento della decomposizione dei cadaveri. Circa il rigor mortis (la rigidità cadaverica), va infine ricordato che esso tende a scomparire dopo alcuni giorni».

Michele Santoro

Anche Michele Santoro è incappato nella stessa fake news.

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I dubbi sulle tempistiche di Capuozzo e Santoro nel momento in cui venivano sollevati erano già stati chiariti da giorni dal celebre sito di debunking olandese Bellingcat.

Si tratta di informazioni open source, reperibili con una semplice ricerca su Google o Twitter e si presume che un giornalista, prima di sollevare dubbi, controlli se non siano già stati chiariti. O, quantomeno, che una volta che glielo si è fatto notare (come molti hanno fatto nei commenti), prendano atto e correggano il tiro.

Non è successo.

L’inconsueto garantismo di Marco Travaglio

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Altri, come Travaglio, adottano una sorta di garantismo assoluto, che ignora le prove e invoca la sospensione del giudizio fino a un’ipotetica sentenza a fine guerra. Mette però le mani avanti, Travaglio, e pone in dubbio a priori la legittimità della futura e ipotetica sentenza, che secondo lui sarà in funzione del vincitore (e quindi, sottinteso, non della verità). Si tratta dello stesso Travaglio che di norma non si fa questi scrupoli con chi riceve un semplice avviso di garanzia.

Intanto il Wall Street Journal ha raccolto numerose testimonianze dei superstiti di Bucha. Ne emerge un quadro drammatico: gli ucraini erano blindati in casa, con i russi che sparavano a vista a chiunque, specialmente su Yablunska street, dov’è accaduto il vero e proprio massacro. Riempito l’obitorio, hanno dovuto scavare fosse comuni per stipare le centinaia di cadaveri che non sapevano come smaltire in altro modo.

Alessandro Orsini

Altri portano avanti un altro tipo di manipolazione, intestando la responsabilità della guerra altrove.

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In questo post il prof. Orsini afferma che le bombe sulla testa dei bambini sono per esportare la democrazia occidentale.

Leggi anche: Il curioso caso del prof. Alessandro Orsini.

Si tratta di una mistificazione della realtà: la democrazia è già lì, ed è invece una dittatura quella che sgancia bombe sui bambini per sradicarla.

A Piazzapulita l’ambasciatore Sessa non le ha certo mandate a dire a un Orsini che, per convenienza retorica, mette sullo stesso piano Usa e Russia, Italia e Bielorussia, e individua nella Nato il principale responsabile di ciò che sta accadendo, sgravando in maniera implicita Putin e i suoi macellai di una parte della responsabilità.

Il “pensiero unico” su Bucha

Quelli qui sopra sono solo alcuni esempi di come le prove a nostra disposizione vengano prese, selezionate, manipolate e ricucite omettendo le parti contraddittorie al fine di fornire una narrazione diversa da quella che che i dubbiosi considerano mainstream.

Una cosa che accomuna le persone citate qui sopra è il costante riferimento al “pensiero unico” quale grande nemico, cui loro si oppongono. Un pensiero così unico che questi personaggi sono presenti ogni mattina sulla carta stampata e ogni sera nei talk show televisivi, e sono considerati contenuti di tendenza in tutti i social.

È banale, ma il mondo dell’informazione odierno (dai giornali, alla tv, ai social) è alla prova dei fatti pluralissimo e dà spazio a chiunque, a prescindere.

Bucha, la punta dell’iceberg

Mentre in Italia i dubbiosi sparano bordate ad alzo zero nonostante le prove, ciò che si sperava fosse un caso isolato si manifesta per quello che è: un sistema.

Bucha non è solo Bucha. Man mano che i paesi ucraini vengono liberati viene a galla la mostruosità degli aggressori: esecuzioni sommarie, stupri e torture che non guardano in faccia a nessuno, nemmeno agli anziani.

Nemmeno ai bambini.

Man mano che l’esercito ucraino guadagna territori, nuove fosse comuni e nuove camere delle torture e degli stupri vengono alla luce, insieme a una quantità spropositata di mine antiuomo e trappole esplosive lasciate indietro dai russi per fare più morti possibili tra i soccorritori.

Irpin

Hostomel

Il report della BBC da Hostomel.

Borodyanka

Makariv

Una granata russa, posta come trappola esplosiva dietro una porta, pronta a uccidere chiunque la apra: uomo, donna o bambino.

La strage di Kramatorsk

Nell’incapacità di raggiungere gli obiettivi militari, Putin spinge sull’acceleratore della violenza nei confronti dei civili.

Così a Kramatorsk, nell’est del Paese, i russi hanno bombardato una stazione stipata di civili in fuga verso l’ovest, verso la salvezza.

Una strage.

Uno dei missili riporta la scritta «per i bambini».

Mentre i cadaveri sono ancora caldi, Capuozzo dubita. Sostiene che il missile sia un Tochka-U, non più in uso nelle forze armate russe. È la stessa identica tesi diffusa dal Cremlino attraverso l’agenzia Tass.

Questo video del 5 marzo dimostra che è falso: si vedono dei Tochka-U lanciati dai russi, già a corto dei più moderni Iskander.

Nel thread qui sotto viene ricostruito l’intero percorso del missile, lanciato dal Donbass russo.

I forni crematori di Mariupol

Intanto a sud, nella città assediata di Mariupol, diventa chiaro perché i russi si sono portati dei forni crematori portatili al loro ingresso in Ucraina, più di un mese fa.

All’inizio si pensava fosse un modo per far sparire le salme dei propri soldati deceduti, in modo da non far capire in patria la reale entità delle enormi perdite subite.

Ora, invece, si palesa il loro reale scopo: far sparire le prove dei crimini di guerra, prima che arrivino i giornalisti a immortalarli.

Se questo è “vivere” sotto Putin

Francesca Mannocchi nei giorni scorsi è stata a Bucha di persona. Il suo resoconto (qui sotto) dipinge con grande umanità uno spaccato di cosa significa vivere sotto l’occupazione russa.

Quella stessa occupazione che alcuni in occidente sono pronti ad accordare a Putin quale merce di scambio, alla stregua di una transazione commerciale, nella quale il destino di decine di milioni di persone viene mercificato nel nome di una pace ipocrita, buona solo per noi ma pagata col sangue degli ucraini.

A quanto pare, son tutti pacifisti con le fosse comuni degli altri.

Leggi anche: Ucraina, il pacifismo assoluto ha ancora senso?

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