Tra ritardi e scioperi: la crisi del sistema ferroviario italiano

In questi anni in cui ci si è resi conto di quanto l’inquinamento sia parte della distruzione ambientale del nostro pianeta, si parla spesso di come ridurre il traffico di auto nelle città e nelle autostrade, volgendo lo sguardo ai trasporti pubblici, un settore tutt’altro che capace oggi di prendersi carico di questo cambiamento. In Italia, il settore dei trasporti – e soprattutto il sistema ferroviario italiano – necessita da molti anni di una rivoluzione e un’innovazione.

Ad oggi, sono ormai innumerevoli le lamentele e gli scioperi che ci ricordano costantemente i numerosi problemi che regnano nel settore italiano dei trasporti. Si può facilmente notare come anche le grandi città soffrano di questo problema. La disparità fra Nord e Sud, in questo campo, è lampante e accresce le preoccupazioni dei cittadini. Come se non bastasse, questi due anni di pandemia hanno segnato un calo nell’utilizzo dei trasporti pubblici nelle grandi città. A pagare un prezzo salato è stato soprattutto il sistema ferroviario. Centinaia di corse cancellate per positività dei dipendenti, con conseguente sovraffollamento dei treni, e quindi dell’impossibilità di rispettare le norme di sicurezza per evitare la circolazione del virus. Proprio il sistema ferroviario, già prima della crisi sanitaria, si era fatto notare per ritardi e disagi ormai insostenibili.

I disagi del sistema ferroviario italiano, tra pendolari e personale

Ovviamente il tutto si è riversato sui pendolari, su quel numero stimato ormai a tre milioni di persone che ogni giorno sfruttano questi mezzi per raggiungere le grandi città e i propri posti di lavoro. A un servizio di eccellenza dei privati si contrappone il sistema regionale, dove aziende come Trenord ormai sono sinonimo di completa inaffidabilità. E se al nord Italia le cose non funzionano, al sud i numeri sono ancora più allarmanti. Grazie al report del 2022 Pendolaria di Legambiente, è possibile vedere con quali cifre il sistema ferroviario ogni giorno affronta i propri limiti. A questi problemi i cittadini hanno risposto con proteste e segnalazioni, riuscendo, almeno nelle città, a trovare un’alternativa con il conseguente aumento dell’uso di bici e monopattini elettrici, questi ultimi tanto attaccati ma risultati molto utili come alternativa.

Entrando nello specifico, la fa da padrona l’insicurezza. A causare problemi non sono solo i tagli al personale, ma la pericolosità di carrozze vecchie e di una continua manutenzione che pare impossibilitata a risollevare l’intero sistema. Di conseguenza, per far fermare il tutto basta una forte pioggia o un semplice guasto elettrico. Un esempio lampante è soprattutto la capitale. Roma, infatti, conta un’innumerevole quantità di linee bloccate e corse cancellate, che non hanno subito un rialzo nemmeno dopo il quasi superamento della pandemia.

Le tratte più problematiche

La tratta Roma Nord-Viterbo ha subito il passaggio di testimone da Atac a Cotral, che ha come risultato l’invarianza della situazione, evidenziata dai report degli scorsi anni che mostrano nel 2020 oltre cinquemila treni soppressi, con punte di cento corse al giorno sulle 190 totali tra urbane ed extraurbane. Per il 2021 ancora numerose soppressioni, come lo scorso ottobre, con una media di cinquanta al giorno e punte di settanta treni soppressi.

O ancora il più triste esempio di Terzigno del 17 novembre scorso. I passeggeri camminavano sui binari per raggiungere a piedi la banchina successiva a causa di un guasto che ha fatto fermare il treno. Cercheremo di analizzare la situazione nel suo complesso, provando a capire, grazie ai numeri del report Pendolaria, cosa sta facendo lo Stato e se il conclamato Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) potrà rappresentare una reale salvezza per questo settore.

I problemi nelle infrastrutture

Il primo problema è il quasi nullo investimento nelle infrastrutture ferroviarie. I numeri mostrano infatti come per le tranvie nessun chilometro è stato inaugurato nel 2020 e 2021. Cinque chilometri erano stati inaugurati nel 2019 e 5,5 nel 2018, con una media di 2,6 chilometri all’anno. Numeri davvero ridicoli rispetto a quelli che hanno fatto registrare gli altri Stati europei.

In particolare, nel nostro Paese sono in esercizio 397,4 chilometri totali di tranvie, molto lontani dagli 815,7 della Francia (dove continua l’inaugurazione di numerose linee come a Parigi e Lione per un totale di +17,5 chilometri solo nell’ultimo anno) e soprattutto dai 2.038,3 della Germania. Situazione invariata per le ferrovie suburbane, quelle utilizzate ogni giorno da tanti pendolari. L’Italia è dotata di una rete totale di 740,6 chilometri, mentre sono 2.038,2 quelli della Germania, 1.694,8 nel Regno Unito e 1.442,7 in Spagna.

A spiegazione di questi numeri ci sono i dati che dimostrano come il reale investimento si faccia su strade e autostrade, a quanto pare preferite rispetto alle rotaie (dal 2002 al 2019 i finanziamenti statali hanno premiato per il 60 per cento gli investimenti in strade e autostrade).

I dati del Conto nazionale trasporti per gli interventi realizzati dal 2010 al 2019 mostrano l’inaugurazione di 309 chilometri di autostrade. A essi se ne aggiungono altri 2.449 di strade nazionali, a fronte di 91,1 chilometri di metropolitane e 63,4 di tranvie.

Il trionfo dell’alta velocità contro le perdite degli Intercity

Un divario, facilmente verificabile, e di cui siamo a conoscenza, è quello tra le malandate linee regionali e le più innovative linee dell’alta velocità come Trenitalia o Italo, facile metro di paragone con cui si notano le grandi discrepanze con Intercity o Trenord.

Dal 2009 gli spostamenti nazionali in treno sono aumentati complessivamente di 46mila passeggeri al giorno. Mentre quelli sull’alta velocità sono aumentati del 114 per cento, però, quelli sugli Intercity sono diminuiti del 47 per cento.

L’AV è un esempio importante che aiuta a capire quanto questi mezzi rappresentino un’alternativa più che valida ai più lenti, pericolosi e inquinanti viaggi in auto.

Il dominio dell’alta velocità è tale che le Frecce di Trenitalia e gli Italo di NTV hanno consentito di trasformare una quota degli spostamenti in aereo e auto con viaggi in treno lungo le direttici Napoli-Milano-Torino e Roma-Bologna-Venezia. I passeggeri trasportati sui treni AV di Trenitalia sono passati dai 6,5 milioni del 2008 a 40 milioni nel 2019, con un aumento del 515 per cento. Per Italo i passeggeri del 2012 ammontavano a circa 4,5 milioni, per arrivare a 17,5 milioni totali trasportati dal 2018.

Alla base di questo successo vi è l’aumento della flotta dei treni AV, che è raddoppiata: 74 nel 2008, 144 nel 2019. Il calo degli Intercity, e in generale dei convogli finanziati con il contributo pubblico, è un danno estremamente grave in tutte quelle regioni che non usufruiscono dell’alta velocità, in particolare il Sud Italia.

Come mostra l’immagine presente nel report, per quanto riguarda gli Intercity, l’offerta in termini di treni moltiplicata per i chilometri è scesa dal 2010 al 2019 del 16,7 per cento, con il conseguente calo dei viaggiatori pari al 47 per cento.

A chi attribuire le colpe

Ad avere la colpa dei mancati investimenti in questo settore è la politica degli ultimi dieci anni. Le risorse per i trasporti regionali sono via via diminuite (-21,5% tra il 2009 e il 2019), snobbando l’aumento dei passeggeri dell’8 per cento, disincentivando quindi l’utilizzo delle rotaie e terminando con la crisi del settore ferroviario che ci si presenta oggi. Il primo colpo fu assestato della Finanziaria 2010 di Tremonti, per poi vedere un tentativo di recupero da parte del Governo Monti a fine 2011, che introdusse un nuovo sistema finanziario che ancora oggi regolamenta questo settore. Tra il 2017 e il 2018 si è tentato un primo importante recupero, con lo stanziamento di cinque miliardi di euro. La pandemia, come abbiamo già detto, ha fatto registrare un netto calo, che è stato trattato con l’aggiunta di 900 milioni nel 2020 e 390 milioni nel 2021.

Un primo passo positivo si nota con il governo Draghi. Il ministero delle Infrastrutture ha stanziato, nella legge di bilancio del 2022, importanti risorse per il Fondo per il Trasporto Pubblico Locale, che vedrà incrementi costanti fino al 2026. La legge del 2010 di Tremonti ha però deciso quello che è forse il danno maggiore per questo settore. Ha cioè fatto sì che le regioni abbiano la responsabilità di definire il Contratto di Servizio con i gestori dei treni.

Si pensava che così ogni regione potesse dedicare parte delle proprie risorse per gestire le tratte regionali e implementare il servizio con nuovi treni. Il risultato, invece, è stato un’aggiunta di spese non sostenibile per la maggior parte di questi territori. Ovviamente è ancora presente una grossa differenza, a livello economico, per quanto riguarda le regioni del Nord e del Sud, problema che ha accentuato le discrepanze del servizio sul territorio. 

L’eterno divario fra Nord e Sud

Anche per quanto riguarda il settore dei trasporti, nord e sud Italia si differenziano. Se a Nord abbiamo disagi, scioperi e ritardi, a Sud spostarsi da una città all’altra, anche per brevi tragitti, costringe i passeggeri a viaggi interminabili con numerosi cambi in treni lenti e logori. A soffrirne ovviamente non sono solo i cittadini che vivono in queste regioni, ma anche i turisti che vengono a visitarle, i primi a riscontrare un cattivo servizio a confronto di quello di altre mete europee. Legambiente evidenzia gli esempi della linea che separa Napoli e Bari dove non esistono, ancora, treni diretti, o il collegamento tra Cosenza e Crotone, dove serve almeno un cambio e 2 ore e 39 minuti per soli 115 chilometri di distanza.

La stessa situazione è presente anche in Basilicata, con l’esempio di Matera, capitale europea della cultura nel 2019 e dunque meta di moltissimi turisti. Materia non ha collegamenti Trenitalia con Potenza, l’altro capoluogo di provincia, se non in autobus. Con le Ferrovie Appulo Lucane servono almeno due cambi per 3 ore e 25 minuti. Ci sono state delle decisioni prese dal governo che porteranno un cambiamento sulla situazione degli spostamenti nel Mezzogiorno. In verità, questi agiornamenti sono stati programmati per essere conclusi nel 2026, data che molto probabilmente verrà prolungata. Ad aggiungersi ci sono le incertezze su quali saranno i treni che potranno gestire queste tratte. Non si tratta solo di nuovi binari, ma anche di nuove carrozze che sostituiranno completamente quelle attuali.

Dai movimenti e dalle decisioni prese ultimament,e però, continua a risultare maggiore l’interesse per strade e autostrade. Si sente infatti parlare di ponte sullo stretto o sull’interminabile e ormai famosa Salerno-Reggio Calabria. La gomma fino ad ora ha avuto sempre la meglio sul ferro.

Il PNRR come ancora di salvezza

Attualmente, la speranza di salvezza e di rinnovamento per questo settore è il PNRR. Il PNRR è il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che lo Stato ha approvato per “svecchiare” il Paese e permettere una ripresa post-pandemia che possa modernizzare l’Italia e portarla al pari delle altre potenze europee. All’interno del piano è prevista anche una ripresa dedicata interamente al sistema ferroviario, specificato in un punto chiamato Infrastrutture per una mobilità sostenibile, che prevede risorse pari a circa 26 miliardi di euro.

Come detto in precedenza, si tratta di obiettivi che hanno come scadenza il 2026. Uniti agli interventi con fondi nazionali, dovrebbero regalare all’Italia un nuovo modello di eccellenza con treni più ecologici. A far ben sperare è il grande passo che riguarda gli interventi di elettrificazione della rete e di installazione di sistemi di controllo della sicurezza. Ciò porterà la quota di rete elettrificata in Italia dal 69,5 al 77,8 per cento. Rimarranno senza elettrificazione la Sardegna e altre tratte al Nord. L’elettrificazione permetterà, soprattutto al Sud, di abbandonare il diesel e di rinnovare tutti quei treni che ancora hanno bisogno di carburante per muoversi, abbracciando dunque una scelta ecologica che andrà a velocizzare finalmente questi percorsi.

Il PNRR, quindi, rappresenta davvero l’unica speranza che può salvare nei prossimi anni un settore che ha già da tempo toccato il fondo. All’interno della pianificazione futura ed ecologica esiste un’importante proposta che vede al centro un nuovo sistema a idrogeno per le ferrovie. Addirittura, si ipotizza che l’idrogeno possa rappresentare un’alternativa talmente valida all’elettrificazione da poterlo utilizzare per tutto il sistema ferroviario italiano. Legambiente però esprime le sue perplessità sulla provenienza ecologica dell’idrogeno. Solo la sperimentazione delle tratte come la linea sarda Alghero centro-Alghero aeroporto potranno dire la verità su questa nuova forma di alimentazione, per la quale sono stati stanziati 300 milioni di euro.

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