Le targhe automobilistiche incendiano i Balcani: la nuova crisi tra Serbia e Kosovo

Da inizio novembre la minoranza serba in Kosovo sta protestando contro la decisione del governo di Pristina di imporre la sostituzione delle vecchie targhe automobilistiche serbe con le nuove dalla dicitura RKS (Repubblica del Kosovo).

Oltre a manifestazioni in luoghi pubblici, la protesta si è concretizzata nelle dimissioni eccezionali di poliziotti, sindaci, parlamentari e ministri di etnia serba, dopo che un dirigente di polizia serbo è si è rifiutato di aderire alle direttive del governo in materia.

Il ritiro serbo dalle istituzioni ha gettato il giovane Stato balcanico in uno stato di impasse costituzionale con cui ora governo e parlamento kosovari si dovranno confrontare.

A Belgrado, la mossa dei serbi kosovari ha incontrato il plauso del presidente serbo Vucic, che ha promesso sostegno ai connazionali: «Ci prenderemo cura di loro, sono altri 50 o 60 milioni di euro per noi, lo faremo».

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La questione delle targhe contestualizzata

Non è la prima volta (né sarà l’ultima) in cui serbi kosovari, Serbia e governo di Pristina arrivano ai ferri corti sul tema del riconoscimento dei documenti emessi dal Kosovo e quindi della sua sovranità sul territorio.

Il 2022 è stato piuttosto teso in questo senso, in particolare per la cosiddetta politica della reciprocità voluta dal governo Kurti. Poiché la Serbia non riconosce i documenti (carte di identità, targhe) emessi dal governo del Kosovo – questo il ragionamento del primo ministro – il Kosovo farà altrettanto con i documenti serbi.

Quando, il primo di agosto 2022, è scaduto l’accordo che vincolava il Kosovo a riconoscere targhe e documenti serbi, Kurti è passato dalle parole ai fatti: tentando di obbligare da un lato i residenti serbi a passare alle targhe con dicitura RKS, e dall’altro i visitatori dalla Serbia a fare documenti speciali per l’ingresso.

La situazione si è deteriorata rapidamente, con i cittadini serbi del Kosovo che hanno eretto barricate sulle strade e il conseguente dispiegamento del contingente Kfor della Nato per mantenere l’ordine.

Le pressioni internazionali di Ue e Usa sono riuscite a portare le parti a fine agosto a un accordo sulla questione dei documenti (la Serbia riconoscerà quelli del Kosovo e viceversa), lasciando però in sospeso la questione delle targhe, posticipata infine alla nuova scadenza del 1 novembre 2022.

Passata la quale, il problema si è ripresentato con governo kosovaro, minoranza serba e Serbia pronti a darsi battaglia.

Una lunga serie di tensioni

Il Kosovo è un’ex provincia serba abitata in schiacciante maggioranza da albanesi di religione musulmana, da una minoranza serba ortodossa e da altre minoranze più piccole (bosniaci, turchi, roma).*

Alla fine degli anni Novanta le tensioni tra la maggioranza albanese discriminata e le autorità serbe sono sfociate in una feroce guerra tra i miliziani dell’esercito di liberazione del Kosovo e l’esercito serbo, terminata solo con l’intervento Nato e l’instaurazione di un regime transitorio sotto l’egida delle Nazioni Unite.

Nel 2008 il Kosovo ha dichiarato in maniera unilaterale la propria indipendenza incassando il riconoscimento di buona parte del mondo occidentale. Atto mai riconosciuto dalla Serbia e accolto freddamente da parte dei cittadini serbi rimasti in Kosovo.

Monumento allo zar Lazar a Mitrovica Nord in Kosovo, la parte della città a maggioranza serba. Foto: Wikimedia Commons, Visem,CC BY-SA 4.0

Da allora i governi kosovari hanno sempre reso chiara la propria intenzione di entrare a far parte di Nato e Ue in modo da ottenere un’importante garanzia sul riconoscimento della propria statualità a livello internazionale.

Ma il mancato riconoscimento da parte di Spagna, Grecia, Romania e Slovacchia di fatto impedisce al Kosovo di entrare nel club occidentale, nonostante l’Ue sia cercando da anni di negoziare una soluzione tra Kosovo e Serbia per la normalizzazione dei rapporti.

Prendendo atto delle difficoltà della via diplomatica, il Kosovo cerca intanto di rafforzare la sua sovranità almeno all’interno dotandosi dei crismi di uno Stato effettivo.

Ed è qui che nasce questa specifica contesa sulle targhe.

Imponendo la sostituzione delle vecchie targhe automobilistiche serbe, le autorità kosovare vogliono obbligare i serbi kosovari ad accettare la sovranità del giovane Stato nel campo della motorizzazione civile (e per estensione la sovranità tout court) e a riconoscere che la Serbia costituisce di fatto uno Stato estero.

Fatto inaccettabile per chi si sente cittadino serbo e per chi – la Serbia – considera quel territorio come parte effettiva del proprio Stato.

Albanesi del Kosovo partecipano a un raduno organizzato da Vetëvendosje! (il partito di Albin Kurti) contro i negoziati con la Serbia nel 2013 a Mitrovica. Foto: Wikimedia Commons, AgronBeqiri, CC BY-SA 3.0

Il limbo kosovaro

La questione delle targhe è solo uno dei tanti aspetti del limbo quotidiano che vivono il Kosovo e i suoi abitanti, quale che sia la loro etnia di appartenenza.

Un limbo che deriva in primo luogo dal fatto che Stati Uniti, Ue e attori internazionali impongono alle due parti, con le più buone e ingenue intenzioni, un modello di Stato multietnico nel quale non si riconoscono.

La Serbia considera il Kosovo suo territorio, non avendo mai formalmente firmato trattati che ne riconoscessero l’autonomia, e i serbi del Kosovo continuano a pensare a sé stessi come cittadini serbi.

Dal canto loro gli albanesi, essendo la stragrande maggioranza, gestiscono di fatto lo Stato kosovaro ma non si riconoscono nei suoi stemmi e colori, imposti dall’esterno e volutamente neutri.

Nelle aree a maggioranza albanese è piuttosto comune trovare esposta l’aquila nera in campo rosso, e lo stesso Kurti come capo di partito ne fa ampio utilizzo.

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Secondo un sondaggio del 2019, il 63 per cento degli albanesi kosovari e il 75 per cento degli albanesi d’Albania voterebbe a favore di un’eventuale unificazione tra i due Paesi.

Gli ostacoli in questo caso sarebbero l’articolo 3 della costituzione kosovara (che impedisce esplicitamente l’unificazione) e le forti pressioni internazionali contrarie a qualsiasi modifica dei confini balcanici.

Notizia di pochi giorni fa è che Francia e Germania avrebbero preso l’iniziativa stilando un nuovo piano per la normalizzazione dei rapporti tra Kosovo e Serbia.

Piano che, come tutti i suoi predecessori animati di buone intenzioni dal 2008 a oggi, sarà destinato con tutta probabilità a fallire di fronte alla realtà di un gioco a somma zero. La Serbia (e i serbi kosovari) non riconosceranno mai l’indipendenza dell’ex provincia, così come il Kosovo e gli albanesi kosovari non accetteranno mai di ritornare sotto la Serbia.


* È difficile sapere con esattezza le percentuali di popolazione appartenenti a ciascun gruppo etnico. Gli ultimi dati disponibili risalgono al censimento del 2011 secondo cui gli albanesi (circa 1.600.000) costituirebbero il 92 per cento della popolazione del Kosovo. Il censimento è stato tuttavia boicottato da buona parte dei serbi, il cui numero è stimato attorno alle 140.000 persone.

Immagine di copertina: barricata eretta da manifestanti serbi nel 2011. Fonte: Wikimedia Commons, Usama, CC BY-SA 3.0

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