La Cina è già qui: l’urgenza di capire il Dragone

Nel suo libro La Cina è già qui (Mondadori 2022) Giada Messetti spiega come sia urgente oggi capire il Dragone. La Cina è una realtà complessa e variegata: l’autrice la ripercorre in ambito linguistico, sociale e politico. Del Dragone si parla oramai tutti i giorni, ma l’argomento viene spesso affrontato in maniera superficiale e con tesi preconcette. La Cina, sostiene Messetti, rappresenta un mondo sconosciuto lontano. Spaventa l’Occidente, perché è sempre più centrale nelle nostre vite.

Una lingua che è musica e pittura

La Cina occorre comprenderla anzitutto dalla lingua: una lingua parlata che è musica e pittura, secondo Thekla Chabbi (I segni del Drago). La lingua cinese è un sistema grafico tra i più antichi al mondo e per millenni ha mantenuto inalterate le proprie caratteristiche. Ha unificato il Paese. Il cinese non possiede un alfabeto, ma diversi logogrammi. Di questi ne esistono circa 85mila, ma per leggere un giornale è sufficiente conoscerne fino a seimila.

La lingua ha avuto un ruolo cruciale nello sconfiggere l’analfabetismo delle masse. Nel 1949, circa il novanta per cento della popolazione era composto da alfabeti, ricorda Messetti. Il governo comunista voleva dare una forte identità alla nascente eepubblica e quindi portò avanti un massiccio programma di semplificazione dei caratteri, favorendo il processo di apprendimento. Il mandarino semplificato è un idioma artificiale: riflette le trasformazioni e l’evoluzione della cultura cinese. La frase di Wolfgang Goethe «La lingua porta con sé una specie di atmosfera del Paese» è più che mai vera in Cina.

Gli insegnamenti di Confucio

Inoltre, non si può comprendere la società cinese senza gli insegnamenti di Confucio, secondo cui per preservare l’armonia occorre la stabilità dell’ordine politico e sociale. Il saggio ha insistito molto sul legame genitori-figli. A questo proposito, Messetti ricorda il lavoro di Guo Jujing (I ventiquattro esempi di pietà filiale), che narra di relazioni esemplari filiali.

Parla dell’uomo che si vende come schiavo per pagare il funerale dei genitori. Oppure della donna che si taglia il fegato per sfamare la madre malata. O del ragazzo che rimane sveglio di notte con il torso nudo per evitare che i genitori vengano punti dalle zanzare. L’autrice ricorda anche la vicenda di Mulan, il cui obiettivo non era salvare l’impero o il padre, ma dimostrare il proprio valore.

Statua di Confucio in Cina. Foto: Wikimedia Commons.

Ancora oggi, il Dragone fa leva sulla questione della famiglia. Xi Jinping basa i suoi progetti imperialistici a partire dalla logica confuciana: quella dell’anteposizione dell’armonia collettiva all’interesse dell’individuo, che è un grande collante della società cinese. Lo si è visto con il Covid-19: prima la nazione, poi la persona. «Nel momento in cui è scattata un’emergenza che metteva in pericolo la stabilità del paese e il benessere dei cittadini, tutti sapevano di doversi attivare per risolvere il problema», scrive Messetti.

Lo conferma Fang Fang (Wuhan, diari da una città chiusa): «Chiunque sa che quando qualcosa in Cina viene gestito a livello nazionale, tutti si mettono in gioco e si fa ciò che è necessario fare». L’accettazione del proprio ruolo fa parte del sistema gerarchico dell’impalcatura sociale cinese.

Riprendersi dalle umiliazioni

Un altro elemento tipico del Paese è il senso della vergogna. Messetti ricorda che una persona senza vergogna rompe l’armonia sociale, in quanto considerata non prevedibile, non controllabile, non affidabile. Non avere vergogna è considerato peggio di un individuo che ha fatto qualcosa di cui vergognarsi, sostiene l’autrice. Dalla vergogna, al concetto di umiliazione. Riprendersi dal “secolo delle umiliazioni” – gli anni tra il 1839, con lo scoppio della prima guerra dell’oppio, e il 1949, con la Fondazione della Repubblica popolare – è cruciale nella nuova Cina di Xi. Ai tempi della Cina imperiale, la dinastia riscriveva la storia di quella precedente.

Il Partito Comunista Cinese fa lo stesso. Il sogno cinese di Xi parte dall’inizio del secolo delle umiliazioni. Nel 1842 la Cina venne sconfitta dalla Gran Bretagna e fu obbligata a firmare Nanchino un trattato ineguale, definito così per la sproporzione degli obblighi e l’unilateralità dei vantaggi. Il Paese doveva aprire al commercio internazionale anche i suoi porti strategici, cedendo a Londra per un secolo l’isola di Hong Kong. La seconda guerra dell’oppio si concluse con una seconda sconfitta della Cina che poi dovette aprire altri porti, legalizzare l’oppio e garantire il libero accesso alla propria rete fluviale. Il primo conflitto sino-giapponese (1894-1895) si concluse con la cessione dell’isola di Taiwan al Giappone. La fiducia della dinastia dei Qing fu compromessa, dal momento che questa si rivelò incapace di opporsi all’avanzata straniera. La rivolta dei boxer – i contadini senza terra – del 1898 portò all’attenzione nazionale le istanze del mondo contadino.

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Smantellato l’impero, nel 1911 Sun Yat Sen procedette verso la formazione dello Stato nazionale – la rivolta di Wuchang del 10 ottobre 1911, con la proclamazione della Repubblica di Cina. Nel 1925 la guida del Guomindang passò da Sun Yat Sen a Chiang Kai-shek. Scoppiò la sanguinosa guerra tra nazionalisti e comunisti che durò fino all’occupazione giapponese del 1931. La seconda guerra sino-giapponese (1937-1945) vide il fronte unitario provvisorio dei due partiti in funzione antinipponica. Lo stupro di Nanchino del 13 dicembre 1937 rappresentò il picco dell’umiliazione cinese. Dopo la guerra civile vinta da Mao Zedong, Chiang e i nazionalisti furono costretti a fuggire a Taiwan. La memoria del secolo dell’umiliazione oggi è lo strumento politico potente, scrive Messetti. Il mantenimento della stabilità nazionale è un’ossessione di Xi, il quale ha studiato il crollo dell’Urss ed è deciso a non commettere gli errori dei gerarchi sovietici.

Un Paese politicamente maturo

Il Dragone oggi non accetta di essere giudicato come un paese politicamente immaturo. Professa un’etica dura e rigida: si rifà al confucianesimo, secondo cui qualsiasi individuo virtuoso deve adempiere a un ruolo. Il sovrano, secondo Confucio, incarna spontaneamente il senso di umanità e di giustizia, ricorda Messetti. Xi si riconosce in questo ufficio: il sovrano cinese deve governare in maniera responsabile per ristabilire l’ordine e ripristinare l’equilibrio.

Ambizioni del genere, Deng Xiaoping non le aveva. Deng, politico ambizioso, ha però inaugurato un periodo di riforme per il Paese, con aumenti di Pil a due cifre per anni. Sotto Deng, oltre settecento milioni di persone sono uscite dalla povertà. Anche per questo, il popolo ringrazia. L’apprezzamento del governo nazionale nel 2021 era pari al novantotto per cento secondo un sondaggio del Washington Post. Xi Jinping è un leader amatissimo: ha accentrato su di sé più potere di quanto ne avesse Mao.

Egli equivale al Partito e il Partito equivale allo Stato.

Sillogisticamente, dunque, Xi Jinping è lo Stato. Criticare il suo operato vuol dire mettersi contro il Partito, contro lo Stato. Hu Jintao aveva adottato il principio della leadership collettiva nel Partito; un sistema che iniziò a scricchiolare nel 2018 con l’arrivo di Xi. Il presidente ha portato la Cina nel novero delle grandi potenze globali e si paragona a Mao, mettendosi ben al di sopra di Deng. Si raffigura come un uomo del popolo che mette alle strette il BigTech, la finanza e il settore immobiliare. Vuole ridurre il divario tra ricchi e poveri, nonché far passare la Cina dalla fabbrica del mondo alla potenza di beni e servizi. In quest’ottica, sarà inevitabile lo scontro con Washington su questioni quali sfide ambientali, crisi demografica, transizione ecologica, competizione tecnologica, confronto commerciale.

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Xi vuole unificare ancora di più il Paese sotto una nuova ideologia nazionalista-confuciana-comunista.

Sa che la cultura del Dragone nei secoli ha assorbito tanti elementi da tante culture, che però oggi portano benefici. Un esempio su tutti è il capitalismo con caratteristiche cinesi o capitalismo di Stato, che prevede il dirigismo in ambito economico in un regime che non è liberale, ma che è riuscito a generare crescita. Economia socialista di mercato e capitalismo di Stato non sono concetti paradossali in Cina, dove tutto sembra essere armonia. «Tutto nell’universo è soggetto a un ciclo eterno, un’esistenza che non procede in maniera retta e non ha un punto da cui tutto si origina e uno in cui tutto finisce. La realtà è un susseguirsi di continue trasformazioni e alternarsi di opposti». Il famoso simbolo dello Ying e dello Yang rappresenta il dialogo tra opposti e complementari. Il fatto che tutto si tiene.

Certo, l’Occidente è spaventato dalla Cina.

Il luogo in cui dove si è originato il Covid, della repressione delle minoranze in Xinjiang e Tibet, delle rivendicazioni del Mar cinese meridionale e orientale, delle minacce a Taiwan, dello spionaggio di massa, dell’incarcerazione di giornalisti e attivisti, della repressione di Tienanmen e Hong Kong. «Serpeggia la convinzione che la Cina voglia rompere l’equilibrio che si è creato dopo la fine della seconda guerra mondiale», scrive Messetti. E non è un caso che Joe Biden abbia rivitalizzato il Quad (Quadrilateral Secuirity Dialogue) tra India, Giappone, Australia e Stati Uniti, nonché l’Aukus, tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti sulla condivisione tecnologica militare e l’intelligence. Il Dragone muove in diverse direzioni: l’Occidente lo sa. Capire la Cina è urgente: la Cina è già qui ed è decisa a riscattarsi dal secolo delle umiliazioni, professa il suo sistema come alternativo all’ordine liberale occidentale.

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