Tokyo, Taiwan, Seul: per Giulia Pompili sono i rivali di Pechino

Sotto lo stesso cielo (Mondadori, 2021) di Giulia Pompili narra di come Giappone, Taiwan e Corea del Sud, i rivali regionali della Cina, stiano facendo grande l’Asia. I tre Paesi sono interconnessi tra loro e nessuno esisterebbe senza l’altro. L’autrice attinge alla storia e ai fatti più recenti: dal rilancio del Giappone fino al soft power della Corea del Sud, dal ribellismo di Taiwan al disgelo in Corea del Nord. Il tutto in un contesto di rivalità tra Cina e Stati Uniti, che ha trasformato il pianeta in un nuovo campo di guerra fredda. «Non esiste Pechino senza Taipei, non esiste Pechino senza Seul, ma soprattutto non esiste Pechino senza Tokyo», scrive l’autrice. Cina e Corea del Sud sono legate dalla rivalità con il Giappone. Taipei e Seul erano un tempo colonie predilette di Tokyo, ma condividono la minaccia esistenziale della Cina e della Corea del Nord.

Il Giappone: tra crimini di guerra e diplomazia

I tre Paesi stanno cercando un’identità propria in un clima di trasformazione tecnologica e culturale regionale e mondiale. Cina, Corea, Giappone e Taiwan vivono sotto lo stesso cielo. Tra dispute territoriali e guerre emotive, questioni energetiche e geopolitiche, passando per le rivoluzioni di Shinzo Abe e Tsai Ing-wen, Giulia Pompili ripercorre capitolo per capitolo i tre Paesi. In primis, il Giappone, che ha un passato ingombrante; questo lo si vede dalle polemiche sul santuario Yasukuni, dedicato ai 2,5 milioni di caduti della seconda guerra mondiale. Tra questi, più di mille sono classificati come criminali di guerra. L’imperatore Hirohito aveva sospeso le visite nel 1978, mentre Abe è tornato a Yasukuni, per rimarcare la differenza tra vecchio e nuovo Giappone. In questo Paese la religione ufficiale – lo shintoismo – è anche spesso legata al nazionalismo. Non è un caso che gli americani volessero smantellare dopo la guerra il cosiddetto shintō di Stato.

File:Yasukuni Shrine 201005.jpg - Wikimedia Commons
Il santuario Yasukuni. Foto: Wikimedia Commons.

In Giappone, buddismo e shintoismo convivono da secoli. Ed è una ragione per cui attrae molti turisti. Tradizionalmente, afferma Giulia Pompili, Washington fa da paciere tra Giappone e Corea del Sud. Entrambe sono due democrazie che basano la loro difesa militare su trattati con gli Stati Uniti. Infatti, ospitano diverse basi militari. Seul e Tokyo sono per Washington alleati strategici.

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I due erano membri del Tpp, accordo che radunava dodici Paesi dell’area del Pacifico in funzione anti-Cina e rigettato da Donald Trump nel 2018. Lo stesso anno in cui Xi Jinping si presentò al forum economico di Davos dicendo che la Cina sarebbe diventata lo sponsor di multilateralismo e globalizzazione. Naturalmente si trattava di un bluff, come scrive Giulia Pompili, dal momento che la Cina predilige i rapporti multilaterali con i Paesi.

Uno dei primi a invertire la rotta dalla dipendenza cinese fu Abe. L’ex primo ministro giapponese coniò l’espressione “strategia dell’Indopacifico” per tentare di contenere la Cina insieme a Narendra Modi: una sorta di alternativa alla Via della seta cinese. Diplomazia, politica, sicurezza nazionale e commercio sono le carte che Tokyo usa per trattare con Pechino. Sul banco anche la tematica dello spionaggio, un tema sensibile tra i due Paesi.

Giulia Pompili passa poi alla Corea del Sud.

Nel 1945 Unione Sovietica e Stati Uniti lavoravano insieme per costringere alla ritirata l’impero giapponese che aveva occupato la penisola. Mosca e Washington, dunque, decisero di fermarsi al trentottesimo parallelo. Nacquero due repubbliche: la Repubblica Popolare Democratica di Corea del Nord e la Repubblica di Corea al Sud. Mosca impose Kim Il-sung, che negli anni Venti si era trasferito in Manciuria e aveva studiato la guerriglia comunista cinese. Al Sud gli americani sostennero la candidatura di Syngman Rhee, amico di Douglas MacArthur.

Il 20 luglio 1948 si tennero le prime elezioni nella Corea del Sud. Rhee prevalse con oltre il novanta per cento dei voti sull’altro candidato, Kim Gu, poi assassinato in circostanze mai chiarite. Rhee fu presidente per tutta la guerra di Corea e rimase al potere fino al 1960, quando un corpo di uno studente senza vita fu ritrovato a Masan e centomila persone marciarono per chiedere le sue dimissioni. Park Chung-hee prese il potere in un colpo di Stato militare nel 1963 e vinse le elezioni con pochissimo margine. Rieletto poi per quattro volte, aprì il Paese al mercato internazionale. Oggi la Cina blocca serie tv e videogiochi sviluppati in Corea del Sud, mentre i rapporti tra Seul e Tokyo sono altalenanti. Ancora oggi, il Giappone paga cospicue donazioni alle associazioni delle vittime, ma la vera incognita è il rapporto tra Seul e Pyongyang: riavvicinamento o sanzioni?

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Il trentottesimo parallelo durante la guerra di Corea. Foto: Flickr.

Il comunismo in salsa nordcoreana

La Corea del Nord è l’ultima frontiera di un’ideologia che nel resto del mondo è crollata con la fine dell’Urss. Nel 1950, la penisola coreana era nel caos: Kim Il-sung era sostenuto sia da Stalin che da Mao Zedong. In breve tempo, i comunisti invasero il Sud, scatenando la preoccupazione di Harry Truman. L’Onu autorizzò MacArthur a prendere il comando della coalizione a supporto della Corea del Sud, che riportò gli equilibri al trentesimo parallelo. Rimosso MacArthur, iniziarono i negoziati. Né Cina né in America avevano la capacità o la forza economica per continuare una guerra sempre più logorante. Nel 1955 Kim Il-sung fondò lo Juche, un’ideologia nordcoreana emancipata dalla Russia che prevede l’autarchia, l’esercito, gli armamenti al centro dello sviluppo e il comunismo in salsa coreana. Oggi Washington preme per incrementare le sanzioni nei confronti della Corea del Nord, che nel frattempo ha acquisito l’arma nucleare.

Taiwan, l’isola che resiste

Infine, Giulia Pompili analizza Taiwan, l’isola che resiste. Traspare stima nei confronti della presidente Tsai, personaggio importante per capire l’Asia orientale contemporanea. Giurista e docente specializzata in commercio internazionale, ha diverse sconfitte elettorali alle spalle, ma è riuscita via via a imporre il nuovo modello di comunicazione e raccontare Taiwan al mondo. L’isola è sempre meno remissiva nei confronti di Pechino. Tuttavia, non è uno Stato vero e proprio. Le sedi della Repubblica di Cina nel mondo non sono ambasciate, ma rappresentanze diplomatiche. Per la Cina continentale, Taiwan è territorio cinese e prima o poi sarà riunificata. Con Xi, spiega Pompili, nazionalismo e revisionismo storico e geopolitico hanno acquisito una nuova dimensione, anche in relazione a Taiwan. Pechino ha infatti delle rivendicazioni territoriali nel Mar cinese meridionale e ha aumentato le pressioni nei confronti di Hong Kong e del Tibet, nonché dello Xinjiang.

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Tuttavia, Taiwan non è mai stata sotto il dominio del Partito Comunista Cinese. Fu prima una colonia giapponese (infatti, molti taiwanesi oggi parlano giapponese). Taipei ha progressivamente preso le distanze dalla Cina e ha sottolineato le differenze con il Dragone. La sua storia è tragica e al contempo avvincente. È legata alla figura di Chiang Kai-shek, che contribuì in Cina alla rivoluzione del 1911 per cacciare i Qing e a fondare il Kuomintang. Nata la Repubblica di Cina, la capitale venne spostata da Nanchino. Il governo era nazionalista e autoritario. I nemici erano i comunisti cinesi e l’impero giapponese di Hirohito. Chiang e Mao collaborarono per scacciare l’invasore nipponico a partire dal 1937, ma al termine della guerra civile che seguì fu Mao ad avere la meglio. Chiang diede l’ordine di trasportare a Taiwan molto oro della banca centrale cinese e con questo fondò l’economia dell’isola di Formosa.

Per Chiang, l’obiettivo era quello di prepararsi alla guerra per riconquistare il Paese. Con il governo di Chiang Ching-kou, figlio del presidente cresciuto in Russia dove a Mosca fu compagno di Deng Xiaoping, si avviarono riforme democratiche.

Le spine nel fianco di Pechino

Mentre la Cina si apriva al mondo, Taiwan finiva in ombra con l’espulsione dall’Onu nell’ambito della one China policy. Washington mantiene non ufficialmente relazioni con Taipei e non è legato da impegni militari in caso di invasione cinese. Pechino continuerà a fare pressione sull’isola. Taipei non cadrà nella trappola del “un Paese, più sistemi” e vuole evitare il modello Hong Kong per non cedere la propria autonomia e indipendenza. Continua a essere un piccolo ma combattivo Paese che vuole promuovere il self branding basato su progresso e democrazia. Con Corea del Sud e il Giappone, è quindi una spina nel fianco nei confronti di Pechino.

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