Uno spettro si aggira per la pòlis ateniese: la sofistica. Come i più fedeli di voi ricorderanno, la settimana scorsa abbiamo parlato di come questa sia, in effetti, espressione di un generale disorientamento degli spiriti; ovunque serpeggiano dubbi sulla possibilità di una conoscenza oggettiva, il fondamento di ogni morale individuale e sociale è scosso. L’opera di Socrate (469-399) fu un esame continuo, esame della propria e dell’altrui anima: per scoprire cosa sia, per sé e per gli altri, il bene, il vero bene. Tramite il suo insegnamento, l’esempio della sua vita e la sua tragica morte, egli indica nella coscienza greca una via d’uscita da quella crisi di cui tanto si è parlato.
Scoprire la natura del bene fu la vocazione filosofica che, come vedremo, egli conseguì per tutta la vita, come nessuno prima di allora.
Nato nel 469 a.C. da uno scultore e da una levatrice, Socrate non si allontanò mai dalla sua città natale, Atene. Si tenne inoltre sempre lontano dalla vita politica, pur adempiendo scrupolosamente ai suoi doveri di cittadino: partecipò valorosamente a tre battaglie; affrontò, in qualità di giudice popolare, l’ira del pubblico preferendogli la giustizia; sacrificò i suoi interessi personali e familiari, trascurando ogni mestiere e ogni profitto, pur di dedicare tutto il suo tempo a quello che considerava il suo compito: filosofare. Non ebbe mai una cattedra, né mai si definì maestro di sapere (al contrario di quei sofisti lì). Semplicemente, conversava con chiunque e interrogava ogni sorta di gente, su qualsiasi argomento.
L’articolo completo è disponibile sul nostro magazine alle pagine 32-34.