theWise in cucina: Carciofi alla romana

Primavera sul litorale laziale vuol dire una sola cosa: carciofi. Romaneschi, possibilmente. Proprio in questi giorni si svolge a Ladispoli la tradizionale sagra, e chi scrive, da romano, non poteva esimersi dall’omaggiare i boccioli del fiore più buono del mondo. Il consumo del carciofo ha radici profonde, nel nostro paese: già in epoca etrusca il suo omologo selvatico veniva colto in tutte le campagne del centro Italia. I romani ne introdussero la coltivazione a scopo commerciale: una vera e propria leccornia, che a caro prezzo faceva capolino sui banchetti luculliani delle famiglie patrizie. Persino nell’antico Egitto è stata trovata traccia del suo uso, sia in cucina che nella medicina tradizionale. Il medioevo vede il fiorire di questa pianta dal caratteristico retrogusto amarognolo anche in campo erboristico. Proprio il suo gusto amaro è indice dell’elevato contenuto di sostanze attive di questi fiori ancora non schiusi, in particolare la cynarina (che a qualcuno sicuramente ricorderà il noto liquore digestivo). Veniva usato come rimedio per il fegato e per i disturbi di stomaco in generale, in quanto vera e propria pianta purificante delle vie digestive. In cucina, naturalmente, è impossibile non citare la tradizione romana, nella classica preparazione alla mentuccia o fritti “alla giudia”. Ma anche nel resto della penisola lo ritroviamo declinato in molteplici varianti, sia di ricette che di vere e proprie cultivar, anche molto differenti tra loro. Come ad esempio lo spinoso sardo, il carciofo siciliano o i tradizionali sott’olio di carciofino selvatico pugliese.

L’iterazione di cui leggerete su queste pagine è il classico carciofo alla romana con la mentuccia, stufato in tegame nella sua interezza. Una preparazione relativamente veloce, vista la ben nota caratteristica dei carciofi di produrre molto scarto in fase di pulitura, nella quale quindi dovremo prestare particolare attenzione. La cultivar tradizionale romanesca è caratterizzata sopratutto da dimensioni generose e dalla carnosità delle bratte più interne al fiore, ben serrate tra loro nel caso di un prodotto particolarmente fresco.

L’articolo completo è disponibile sul nostro magazine alle pagine 42-45.

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