Food porn: l’appetito non si soddisfa non mangiando

Possiamo parlare di un vero e proprio bombardamento, negli ultimi tempi, che avviene attraverso la home page di Facebook: ci sarà sempre qualcuno, anche tra i più nostri rispettabili amici, che ha condiviso l’ultimo video di Tasty sul Chinese Take-Away-Style Lemon Chicken. Per chi non sapesse di cosa si parla sarà sufficiente dare un’occhiata qui, ma attenzione a non farvi cogliere da una pericolosa dipendenza! Se dovesse succedere, comunque, il problema potrebbe essere risolto continuando la lettura di quest’articolo. Ebbene, tutti questi video si possono classificare sotto una nomenclatura di recente ideazione: food porn.

Di video di ricette, su Tasty e su altri canali simili, ce ne sono per tutti i gusti, se consentite il gioco di parole. Da quelle vegetariane a quelle più semplici (presentate come per i bambini ma in realtà pensate per i pigri), fino a quelle ispirate alle cucine di varie parti del mondo: thai, spagnole, brasiliane. Ma un tempo non eravamo inondati da video di gattini? E soprattutto, in mezzo a tutto questo apparente cucinare, chi sta davvero mangiando? Tutto ha avuto inizio in televisione. Forse ci sarà qualcuno che ricorderà o avrà sentito parlare della ruspante Sora Lella, che andava cercando nei mercati della Roma anni ‘60 peperoni e pollo per la sua ricetta analoga su Linea contro Linea, oppure della cotonata Wilda de Angelis che con Telemenù strizzava l’occhio a marche come la Friol presentando nel frattempo classici della cucina nostrana.

Queste grassocce (e per questo rassicuranti) donne sono state sostituite con il tempo da donne eccentriche come la Clerici della Prova del Cuoco, forse vero programma pioniere tra i cooking show italiani, poiché affiancato solo una decina di anni più tardi da altri come Cuochi e Fiamme, dove presentavano l’affabile Borghese (prima) e l’affascinante Rugiati (dopo), o Masterchef con l’esigente Bastianich. Tutti programmi di calco britannico, che prendevano quindi spunto e godevano di quella cultura d’oltremanica che in molte altre occasioni, specialmente parlando di cibo, non manchiamo di criticare. Tanti uomini a presentare, oltretutto, non tanto a dimostrare che la cucina non è un posto di sole donne, quanto semmai proprio a confermare il maschilismo latente che non manca in nessuna posizione di rispetto, categoria in cui viene inclusa anche la figura dello chef. E no, non pensate alla Parodi e ai suoi Menù di Benedetta, i quali non sono altro che un mero veicolo, date le inabilità culinarie della presentatrice, per il punto centrale del programma, ovvero i (presunti) personaggi famosi che, guarda un po’, spesso hanno appena pubblicato un libro o girato un film di cui parlare cucinando.

Tutti questi programmi televisivi hanno subito un’ulteriore trasformazione, o traslazione, venendo rimpiccioliti ai minimi termini: si pensi appunto ai video di tre minuti dei social media citati all’inizio. I presentatori più o meno autorevoli sono stati sostituiti da anonime mani, mani che potrebbero essere le tue, prolungate dallo smartphone o dalla tastiera nello schermo, a sminuzzare e mescolare su quel tavolo di legno, come se tu non stessi in realtà spaparanzato sul letto alle tre di notte, incapace di prender sonno. Questi video, che non accennano a diminuire ma che hanno invece trovato terreno fertile nelle più disparata clientela, sono per l’appunto chiamati food porn. Chi non si è mai fermato a guardarne almeno uno? Tutto questo consumo eccessivo di informazione culinaria, questo food porn, viene talvolta indicato anche come gastroporn. Due accezioni che ben rispecchiano la loro forte carica fisica, in prossimità con quello vero, di porno: statistiche ci dicono che le ricerche in internet sul cibo sono seconde solo a quelle sul sesso, appunto.

E come qualsiasi tipo di ossessione e dipendenza che viene esemplificata attraverso il web, anche il food porn online delega responsabilità con la fittizia presunzione di procurare i benefici legate ad esse:

– Delega a terzi, ossia a quella bocca che nessuno mai vede e che addenta il burrito, la responsabilità delle calorie assunte, le quali sono solitamente molte, poiché una ricetta che non possiamo gustare, o odorare, deve soddisfare a pieno perlomeno uno dei nostri sensi, cioè la vista. E più formaggio filante, angoli croccanti, ripieni di cioccolato, strati di biscotti e cream cheese (resta ancora da capire, tra l’altro, di che diavolo di formaggio si tratti) ci si mette, tanto meglio è.

– Delega il tempo impiegato a cucinare, ad aspettare marinatura, cottura in forno o frittura, facendoci godere del piatto completo in pochissimi minuti. Delega inoltre il tempo impiegato nella ricerca degli ingredienti (potrebbe essere difatti abbastanza complicato trovare il garam masala al supermercato, se si vive in paesini di poche migliaia di anime).

– Non per ultimo, delega il costo di tale spesa a suddetti chef (o mani), poiché è molto probabile che, anche se voleste cimentarvi nella preparazione di tali piatti, sostituireste il costoso olio di cocco con del semplice olio che, per voi, farà il suo dovere comunque. Veniamo quindi liberati da tali scocciature, avendo la sensazione però di poter godere dei benefici per l’averle affrontate.

La felicità nell’avere l’impressione di consumarlo, quel piatto: una volta seguito passo per passo l’appello e la preparazione degli ingredienti, possiamo quasi ricreare il sapore di tale ricetta in bocca, essendo come già detto solitamente una ricetta ad alto contenuto calorico, e di conseguenza molto confortevole, per voler dare una seppur erronea traduzione al concetto di comfort food.

– Per finire, perché è questa per l’appunto l’ultima azione collegata alla visione di tali brevi video, la condivisione. La condivisione virtuale sulla nostra bacheca, su quella di un amico, o semplicemente il tag rilasciato nei commenti seguito da emoticon estasiate o miliardi di punti esclamativi, come a dire di aver cucinato la ricetta noi stessi per, o addirittura con, quella persona, o perlomeno di poterla mangiare assieme a lei. Tuttavia, come per tutte le azioni che compiamo online, ci vuole un po’ di più di un semplice tasto di condivisione per poterle far diventare reali.

Parlare di cibo non è sbagliato, anzi. Non vi trovate di fronte ai deliri di qualcuno ossessionato dal cibo, di una food blogger, o di un’ortoressica. La preoccupazione per la popolarità di questi video di food porn ha origine dal fatto che è di cibo insostenibile che si parla: non solo dal punto di vista salutistico, ma anche ambientale, in un momento storico in cui l’alta incidenza di malattie legate a uno stile di vita insano affliggono tutti gli strati della società e le risorse del pianeta sono limitate. Ed è per questo che dobbiamo parlare di cibo senza caricaturarlo, parlarne in maniera sana; sana per lo stomaco, il cervello, l’ambiente. Per fornirci delle esperienze vere (ossia materiali), e non più solo digitali, di felicità nel consumo e condivisione con altri.

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