Bedroom musicians: produzione musicale dalla cameretta al palco

Bedroom musicians

Li chiamano bedroom musicians e sono la silenziosa svolta musicale degli anni Duemila: multistrumentisti e appassionati di ogni genere ed estrazione sociale che, sfruttando la potenza del mezzo Internet e la possibilità di ottenere facilmente ed economicamente nozioni ed hardware adeguati alla produzione, compongono e distribuiscono da casa piccole composizioni, pezzi, o persino interi album.

Non occorre rinchiudersi in una baita circondata dalle nevi, come Bon Iver per il suo primo For Emma, Forever Ago, o costruirsi uno studio di lusso in garage come Dave Grohl dei Foo Fighters: spesso e volentieri bastano un computer, qualche microfono e una buona dose di inventiva. E, col giusto spirito di adattamento, vi è anche la possibilità di uscire fuori dalla cameretta e di giungere a calcare grandi palchi, cosa accaduta a Cloud Nothings, Public Service Broadcasting, King Krule, Steve Lacy, i protagonisti di questo articolo.

Bedroom musicians

Cloud Nothings

Cloud Nothings e Dylan Baldi. Due entità indissolubili per uno degli act indie più apprezzati del decennio. La storia comincia nel 2009 con Dylan che, nei weekend di pausa tra una settimana di studio e l’altra, ritorna nella casa di famiglia in Ohio e registra un pezzo dopo l’altro nel seminterrato, utilizzando solo Garageband, il più basilare ed economico tra i programmi di produzione musicale forniti da Apple.

Nessuna reale velleità muove il giovane Dylan, al tempo matricola universitaria a Cleveland; solo tanta voglia di soddisfarsi, di «vedere se sono capace di scrivere una canzone migliore dell’ultima che ho composto». Voglia che si esprime nella creazione di innumerevoli profili Myspace, vere e proprie fake band da utilizzare per condividere i propri lavoretti casalinghi. Uno dei profili, Cloud Nothings, riscuote tanto successo da essere invitato ad aprire per i Real Estate a New York. Inizia così, quasi per caso, la carriera da musicista di Baldi, che decide definitivamente di dedicarcisi, abbandonando gli studi.

L’articolo completo è disponibile sul nostro magazine alle pagine 16-20.

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