La lettera: tra sovrapposizioni, filologia e carteggi

La lettera e il carteggio sono sempre stati, nella storia della letteratura, una sorta di sottogenere che permette di parlare piuttosto sinteticamente di qualsiasi argomento, dispiegando un’analisi non soltanto su di sé ma anche e soprattutto sul modo efficace di trasmettersi ad altri.

Mentre nello scrivere un romanzo un autore pensa a un lettore ideale al quale indirizzarlo, che sia in grado di riceverlo e di considerarlo come ormai appartenente a lui, lo stesso non può accadere quando si scrive una lettera. Di fatto, nell’attimo in cui la lettera viene spedita essa cessa di essere di chi la scrive, chi la riceve ne acquista pieno possesso, e ognuno smette di essere responsabile di quello che dice e diventa responsabile di quello che l’altro intende. Per questo, involontariamente la lettera risulta essere, più che uno strumento di comunicazione con gli altri, anche un modo di affinare il rapporto con sé stessi al fine di renderselo il più chiaro possibile – quanto più quello che si avverte è limpido, tanto più si sarà in grado di trasporlo con semplicità, senza incappare in fraintendimenti. La stesura di una lettera è sempre il momento della ponderazione e della rielaborazione della realtà, degli avvenimenti con cui ci siamo scontrati. Sedersi al tavolo per scrivere una lettera richiede attenzione e desidera una scrittura sorvegliata sotto ogni punto di vista (semantico, del significante, delle esperienze della persona a cui ci si rivolge, del sentimento da cui si è animati nell’attimo della stesura).

Ce lo insegna, neanche troppo banalmente come si crede, il Foscolo de Le ultime lettere di Jacopo Ortis. Il libro si struttura su un particolare artificio letterario per quale Lorenzo Alderani, amico di Ortis, decide di pubblicare, dopo il suicidio, le lettere che questi gli mandava. Fondamentale il fatto che esistano delle corrispondenze autobiografiche tra Foscolo e Ortis: le due figure infatti possono talvolta essere sovrapposte perché l’autore trasferisce nel personaggio a cui dà vita alcuni aspetti del suo carattere come l’ardore, l’impeto, l’iracondia, ma anche la delusione politica e sentimentale.

La lettera: tra sovrapposizioni, filologia e carteggi
Le ultime lettere di Jacopo Ortis.

Anche in Lettera a un bambino mai nato di Oriana Fallaci possiamo individuare la stessa caratteristica. Il libro da principio avrebbe dovuto essere un’inchiesta commissionatale sull’aborto, in realtà si sviluppa attraverso un espediente narrativo: una donna incinta esprime le sue considerazioni sull’aborto e sulla maternità essendone investita in prima persona, e si interroga sul dare alla luce oppure non far nascere il bambino che aspetta e a cui indirizza la lettera («Guarda, s’accende una luce… Si odono voci… Qualcuno corre, grida, si dispera. Ma altrove nascono mille, centomila bambini e mamme di futuri bambini: la vita non ha bisogno né di te né di me. Tu sei morto. Forse muoio anch’io. Ma non conta. Perché la vita non muore»).

[restrict userlevel=”subscriber”]

Alcune lettere vengono adoperate dagli storici della lingua per registrare i mutamenti linguistici avvenuti nel corso del tempo o nel passaggio da un registro a un altro. Rispetto al primo punto, interessanti sono le lettere di Alessandra Macigni Strozzi ai suoi figli e l’epistola napoletana di Boccaccio, tramite la quale si sono potute verificare le differenze tra il napoletano a lui coevo e quello moderno. Rispetto invece al secondo punto, basti pensare alla prosa ciceroniana nelle sue differenze tra gli scritti politici e le lettere ai familiari.

La storia delle letteratura è inoltre fitta di carteggi che, oltre a offrire uno spaccato della vita di chi le scrive, se affiancati alle opere e alle antologie permettono di intenderne meglio temi e snodi fondamentali.
Uno dei più significativi è quello intenso e spesso drammatico tra Dino Campana, autore dei Canti Orfici, e Sibilla Aleramo, entrambi scrittori ed entrambi personalità complesse. I due vissero un amore difficile, in parte perché Campana venne più volte internato e in parte perché i caratteri dei due erano talmente differenti da portarli spesso a scontrarsi. Lui venne più volte rinchiuso in manicomio perché considerato affetto da disturbi psichiatrici, e nel suo ultimo e definitivo ricovero nel 1918 le scrive: «Se credi che abbia sofferto abbastanza, sono pronto a darti quello che mi resta della mia vita». La Aleramo due anni dopo la morte dell’amante ha deciso di affidare la narrazione della loro storia d’amore alle lettere che si sono mandati, autorizzandone la pubblicazione (Un viaggio chiamato amore – Sibilla Aleramo e Dino Campana, Feltrinelli).

La lettera: tra sovrapposizioni, filologia e carteggi
Laura Morante e Stefano Accorsi interpretano Sibilla Aleramo e Dino Campana in una scena del film Un viaggio chiamato amore.

Un ulteriore carteggio meno tormentato ma sicuramente interessante è quello tra Eugenio Montale e Gianfranco Contini. Quest’ultimo, dopo aver recensito Ossi di seppia aveva ricevuto una lettera dall’autore («Raramente l’opera mia è stata esaminata con tanta intelligenza e tanto amore. Lei m’era ignoto fino a poco tempo fa; ciò accresce il mio interesse e la mia riconoscenza») dopo la quale, inaspettatamente, i due avevano iniziato a tenersi in contatto solo per via epistolare. La lettura risulta talvolta criptica e spesso non si riesce bene a intendere il contesto – alcune lettere infatti non sono pervenute. Gli scritti inviati sono stati poi pubblicati da Dante Isella in Eusebio e Trabucco, edito Adelphi.

[/restrict]

Impostazioni privacy