Gareth Southgate, storia di una rivincita

Sulla panchina dell’Inghilterra, ai Mondiali di Russia, siede un uomo il cui nome potrebbe non suonare particolarmente familiare ai tifosi del resto del mondo. Il palmarès di Gareth Southgate conta appena due Coppe di Lega, vinte con l’Aston Villa e con il Middlesbrough, entrambe da calciatore. Con il Middlesbrough ha anche debuttato da allenatore, collezionando un dodicesimo posto e una retrocessione che portò al suo esonero. Scelto come tecnico della Nazionale Under 21, non riuscì ad andare oltre ai gironi della sua prima competizione internazionale. Eppure la sua Inghilterra ha raggiunto i quarti di finale prima ed le semifinali poi. Com’è successo?

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Un passo indietro

«Football’s coming home». Il tormentone, oggi, corre di bocca in bocca attraverso le strade, come un mantra, come una preghiera. La scaramanzia non è tenuta in alta considerazione in Inghilterra. Sono parole tratte dalla canzone Three Lions dei Lightning Seeds, scritta per accompagnare la Nazionale inglese a Euro ’96, ricordato con poco piacere sia da noi italiani (eliminati alla fase a gironi), sia da Gareth Southgate. Dopo aver eliminato la Spagna ai calci di rigore, l’Inghilterra affronta in semifinale la Germania. Al fulmineo vantaggio inglese firmato Shearer, risponde Kuntz, riportando la partita in una parità che perdura oltre i tempi supplementari. Si torna ai rigori. Questa volta, però, le cose non si mettono bene: dopo i primi cinque è ancora parità, si va ad oltranza. Per i Tre Leoni calcia Southgate, un centrale difensivo con pochissima esperienza internazionale. Köpke para. Per i tedeschi trasforma Möller.

Così iniziava la maledizione inglese dei rigori, tanto potente che il giorno dopo Inghilterra-Colombia del tre luglio scorso, una firma del Telegraph (uno dei quotidiani nazionali più rinomati) ha pubblicato un articolo dal titolo: Non sono riuscito a guardare i rigori, sono uscito a fare una passeggiata. Ancora oggi, Southgate fatica a perdonarsi per quell’errore. Fu proprio quell’eliminazione che diede alle parole dei Lightning Seeds un tono sempre più ironico col passare degli anni, fino a trasformarlo in una vera e propria forma di autoironia. Dopo le cocenti quanto numerose eliminazioni dell’Inghilterra – specialmente quella della Golden Era 2004-2006 – la fiducia verso la Nazionale era scesa a livelli infimi.

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Southgate calciatore

Gareth nasce a Watford, poco distante da Londra, dove si allena regolarmente per tutta l’infanzia. Viene notato e portato al Crystal Palace a diciotto anni e nell’arco dei due seguenti disputa più di cento partite con la seconda squadra, della quale diventa capitano. Al debutto viene impiegato come terzino destro, ma è da subito chiaro che è un ragazzo molto versatile, capace di svariare anche nei ruoli di difensore centrale e centrocampista difensivo. Il suo carisma e le sue doti da trascinatore emergono molto in fretta. Nel ’93, raggiunte le cento presenze, all’età di 23 anni riceve la fascia di capitano, con la quale conquista la vittoria della Championship e la promozione.

A questo punto, ormai, diverse squadre lo hanno notato. Tra queste emerge l’Aston Villa, che lo acquista per tre milioni di sterline. Nella sua prima stagione, subito nominato capitano, viene spostato a difensore centrale, dove diventa colonna portante di un sistema difensivo davvero impressionante. Anche grazie a questo, a fine stagione porterà la squadra a vincere la Coppa di Lega. Nel 2000 porta nuovamente la squadra in finale, ma questa volta il Villa soccombe al Chelsea. A fine stagione, dopo aver già avuto nel ’97 uno screzio con la dirigenza per la stessa ragione, chiede di essere ceduto in quanto le sue ambizioni e quelle della società non coincidono.

Nel 2001 passa quindi al Middlesbrough, dove instaura immediatamente un ottimo rapporto con compagni e tifosi. Qui diventa letteralmente parte della storia del club, guidandolo nel 2004 alla vittoria del suo primo titolo in 128 anni di storia. «Giornate come questa ti restano dentro per sempre», dichiara a fine partita. Ormai un eroe cittadino, chiuderà qui nel 2006 la sua carriera da calciatore e qui inizierà quella di allenatore.

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Southgate allenatore

Nel giugno 2006, ad appena un mese dalla chiusura del campionato, la partenza di Steve McClaren – chiamato ad allenare l’Inghilterra – libera la panchina del Middlesbrough. Il posto gli viene immediatamente assegnato. La scelta suscita diverse polemiche, dal momento che a Southgate mancano le licenze UEFA essenziali per allenare club professionistici, ma la Premier League gli accorda il permesso di rimanere allenatore perché, essendosi appena ritirato, non aveva avuto il tempo per frequentare i corsi necessari all’abilitazione. Nei suoi primi due anni, riuscì a centrare agilmente l’obiettivo della salvezza, attirandosi anche i complimenti di Wenger. L’allora allenatore dell’Arsenal lo includeva tra i possibili candidati per allenare la Nazionale.

L’anno 2008/2009, tuttavia, si chiude con la retrocessione del Middlesbrough. Poco dopo l’inizio del campionato, con il Boro quarto a un punto dalla prima in classifica, la dirigenza lo esonera tra le polemiche dell’intera città. Qualche anno più tardi, una volta ultimati corsi UEFA per l’abilitazione all’allenamento, Southgate ammise che probabilmente era stato troppo frettoloso nell’accettare un ruolo così importante. Aggiunse anche che i tre anni di esperienza accumulati in Premier League non erano valsi la pena di lasciare il Middlesborough in un modo tanto difficile.

L’influenza di Guardiola

Diverse volte da quando nel 2016 Guardiola è diventato allenatore del Manchester City, Southgate ha dichiarato di provare profonda stima per il modo in cui il suo lavoro – in particolare sulla panchina del Barcellona – ha rivoluzionato il mondo del calcio, a partire dalle scuole. «Mi capita di osservare le partite dei bambini» ha dichiarato, «e già a quei livelli hanno smesso di insegnare a lanciare semplicemente la palla in avanti. Credo sia merito dell’impatto di quel Barcellona e di elementi come Xavi e Iniesta». Questo pensiero ha inevitabilmente cambiato radicalmente il gioco dell’Inghilterra. Difensivamente, il concetto di lavorare i palloni recuperati sulla propria trequarti invece di spazzarli è una novità. Come il fatto che la costruzione del gioco parta sempre dai piedi dei difensori.

Anche in fase offensiva, raramente gli attaccanti dell’Inghilterra tentano tiri disperati da lunga distanza. Invece preferiscono intensificare la rete di passaggi fino a liberare un tiratore in posizione favorevole. La classica azione inglese, quella sviluppata con i cross alti dalle fasce, non è più l’unica soluzione, ma integra un gioco che predilige la costruzione dell’attacco nelle zone centrali del campo. «Ho sempre pensato che soffrissimo di una mentalità insulare» prosegue Southgate, «è un bene che arrivino allenatori da fuori ad aiutarci».

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La chiusura del cerchio

Se da una parte l’Inghilterra ha dimostrato di essere in grado di combattere per un posto da protagonista in questo Mondiale, diverse volte si ha avuto l’impressione che i giocatori fossero ancora troppo singoli e non abbastanza squadra. Del resto un cambiamento tanto radicale nel sistema di gioco è difficile da incamerare in così poco tempo. Tuttavia i primi importanti progressi si iniziano a vedere. E sfatare un mito durato più di vent’anni non è cosa da tutti.

Quando martedì scorso la partita contro la Colombia si è inaspettatamente conclusa in parità, buona parte del Paese sperava che l’Inghilterra riuscisse a segnare miracolosamente prima della fine dei supplementari. La parte restante era costituita dalla nuova generazione di appassionati di calcio, che non aveva mai visto assistito i propri occhi agli effetti della maledizione. Al quinto rigore, con i due errori della Colombia e uno solo dell’Inghilterra, quello decisivo è toccato a Eric Dier, un giovane centrale difensivo come lo era stato Southgate su quel dischetto di Euro ’96. Questa volta, però, la fortuna ha sorriso all’Inghilterra. Dopo più di vent’anni di delusioni, la lotteria dei rigori regala la gioia dei festeggiamenti ai Tre Leoni e a una nazione intera. E chissà che, nella confusione dell’esultanza, Southgate non sia riuscito a scrollarsi un antico peso dal cuore.

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