Della menzogna e della paura: il valzer di Kundera

A proposito del Valzer degli addii, dice Kundera ne L’arte del romanzo: «Si fonda su un archetipo formale del tutto diverso da quello degli altri miei romanzi. È assolutamente omogeneo, senza digressioni, composto di una sola materia, raccontato con lo stesso tempo». L’omogeneità della materia di questo romanzo è stata tanto chiosata da riscoprirne le componenti costitutive, due delle quali muovono il racconto verso una lettura cinica, del tutto in linea con il cinismo che emerge da molti dei romanzi di Kundera: la menzogna e la paura.

Della menzogna e della paura: il valzer di Kundera
Milan Kundera.

Da un centro termale non molto distante da Praga, l’infermiera Ruzena riesce finalmente a contattare Klima, il trombettista di cui è incinta. I due avevano trascorso assieme la notte dopo uno dei concerti di Klima in città. Alla notizia della gravidanza, il trombettista inizia ad avere paura. È normale, si direbbe, impaurirsi per aver messo incinta una donna diversa da quella con la quale si è sposati. Tutto potrebbe essere mandato in fumo da quel bambino, di cui Klima non è nemmeno esattamente convinto di essere il padre. Anzi, sa bene che le possibilità che quel bambino sia suo sono infinitesimali.

I tradimenti di Klima – non sistematici ma comunque consistenti – non vengono consumati a cuor leggero. Le ragioni del tradimento, Klima le ritraccia nell’amore per sua moglie Kamila. Il meccanismo è quello di una molla, che tanto più si allunga protendendosi verso altre donne, quanto più forte lo riconduce da Kamila. Quella separazione temporanea gli insegna ad amarla ancor più di prima. In virtù di questo potere riconciliante, Kalima non tradisce sua moglie del tutto a cuor leggero, ma sempre scosso dai fremiti della paura. Anche nel caso di Ruzena, aveva adottato una prudenza morbosa che tuttavia non era sufficiente a scagionarlo dall’accusa di paternità.

E così accade che il povero Klima si ritrovi per due volte colpevole: in prima istanza nei confronti di sé stesso, per essersi forse procurato da sé la responsabilità di una creatura che non desidera in alcun modo; è colpevole ancora nei riguardi di sua moglie – ma di fatto, fino a questo momento, poco male: il rapporto tra i due pare reggersi proprio grazie alla colpevolezza di lui, continuamente alimentata dalla paura di lei. Kamila è una donna piacente, ogni volta che nel libro compare alla presenza di uomini suscita indiscutibilmente le loro attenzioni: qualcuno rimane di stucco, qualcuno nell’atteggiamento tipico del pavone maschio fa la ruota con la coda per attirare su di sé le attenzioni della donna, sperando intimamente che lei possa eleggerlo a suo amante. Ma la bellezza di Kamila è proporzionale alla forza dell’ossessione e della paura, quasi patologica, di perdere il proprio marito. La gelosia nei confronti di Klima non è mai una reazione fisiologica –  o meglio, lo sarebbe se lei avesse qualche indizio concreto della sua infedeltà. È una gelosia malata, che si configura più nei termini di una fobia. Ma per una terza volta Klima è colpevole perché, come se non bastasse, Ruzena lo ama, e lui ripaga il suo amore mentendo, fingendo che sia corrisposto, con l’unico obiettivo di indurla ad abortire. In soldoni, Klima è un manipolatore – ma si badi che questo è tautologico quando si parla di menzogna: chi racconta falsità le ha progettate lui stesso, sa da dove provengono, conosce la scia sulla scorta della quale sono state costruite.

della menzogna e della paura: il valzer di kundera
Motherhood, Milan Paštéka.

Le bugie che Klima racconta a Kalima e a Ruzena, per poter avere una possibilità di risoluzione della faccenda, si inseriscono all’interno delle menzogne agostiniane basate sulla voluntas fallendi. Non si tratta di una verità celata, di una omissione, di una distorsione della realtà che pur rimane uguale al fatto accaduto realmente. No, qui la bugia è quella costruita da principio, con cure e minuziosi accorgimenti, una specie di lavoro di cesello per manipolare il tempo, preservare il futuro mortificando il passato, accettando che questo venga spudoratamente rimaneggiato. Klima non soffre in coscienza la sua deliberata volontà di trarre in inganno la moglie, credendo che tramite l’artificio che la bugia costituisce si possano preservare tanto lui quanto lei. Non avrebbe senso soffrire la menzogna che si è detta là dove asserire il falso nasce dalla volontà di preservazione. Klima mente di continuo ma non con l’intenzione di nuocere, mente piuttosto con quella di preservare sé e Kamila.

Ma paura e bugia pare che trovino l’una la forza nell’altra: la bugia tiene a bada la paura, da ogni nuova bugia scaturisce una nuova e più pervasiva paura. Così si crea un movimento circolare inesauribile, in cui il gioco delle parti vittima-carnefice non esiste, la vittima è anche il carnefice, oltre che degli altri anche di sé stesso. Così più Klima è impaurito, più manipola la realtà e questo meccanismo ignobile lo ingloba al punto che la paura sembra essere quasi condizione più che necessaria, condizione abbondantemente in esubero eppure imprescindibile. Klima plasma la realtà come la paura plasma Klima, tanto se ne impossessa che a un certo momento il meccanismo si inceppa: ha paura anche quando ammette a sé stesso, in sincerità, di avere avuto paura.

Eppure, se anche la storia si alimenta a partire da questo meccanismo, anche se le azioni di Klima sono pilotate da questa interazione, lui è stanco. Mentire stanca, fingere stanca, essere impauriti stanca:

«il viso contro il viso, ed era in realtà un modo di appoggiarsi, di riposare, di riprendere fiato, giacché gli pareva che davanti a lui restasse ancora un lungo tratto di strada che non aveva più la forza di percorrere».

Anche Jakub, lo psicologo amico del Dottor Skreta, ha avuto paura. Una paura primordiale, radicata, paura della vita e della morte anche a causa di quello che ha sperimentato e per le condizioni in cui le ha conosciute. È un atto di estremo timore e non di grande coraggio quello di farsi dare una compressa di veleno, come una pillola di cianuro in un dente finto, una cosa becera, un maniglione antipanico. La compressa è solo un accessorio simbolico, secondo Olga, una paziente del dottor Skreta legata a Jakub per vicissitudini passate.

Il romanzo contraddice quella credenza per cui la bugia è quella porta d’emergenza di cui solo un intelligente può fare uso. Qui chi mente perde, anche senza che la verità venga scoperta. Ruzena perde una volta come persona, una seconda volta come donna e madre; ugualmente Klima perde in primo luogo in quanto Klima – la notizia che viene data al termine del romanzo a proposito di Ruzena avrebbe dovuto scatenare in lui se non dolore almeno dispiacere, e invece induce un sollievo che smaschera la viltà e la bassezza di Klima. Effettivamente Klima trae un beneficio dalla morte di Ruzena, là dove la morte gli regala quell’ordine che solo nella sua personalissima visione della faccenda corrispondeva anche alla giustizia – se intendiamo la giustizia, fuori di ogni speculazione filosofica ma solo entro il campo specifico del romanzo, il desiderio intimo e personale. Così la giustizia si configura in lui come la rassegnazione di Ruzena, tacita e ubbidiente. La bugia è per Klima tanto più utile alla vita di quanto non lo sia la vita stessa. La bugia rovescia, essendo lei stessa un rovescio e così Klima per stare dalla parte della vita, sta dalla parte della morte.

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