Democrazia Artificiale

La democrazia è considerata un valore non negoziabile in larga parte del mondo occidentale. Negli anni recenti, sono state combattute guerre per tentare di esportare questa forma di governo. Eppure sembra che dal 2016 in poi il meccanismo si sia inceppato: l’attuale presidente degli Stati Uniti sta smantellando pezzo per pezzo l’influenza internazionale statunitense, il Regno Unito si sta ciecamente avviando verso uno dei più grandi spartiacque della storia. Le due storie hanno molto in comune: entrambe partono da eventi democratici, entrambe sono state interpretate come una rivolta popolare nei confronti delle élites. Persino in Francia, la patria della democrazia moderna, il movimento dei gilets jaunes fa pensare che una parte del popolo sia stata dimenticata dai processi democratici.

Eppure se facciamo un passo indietro non abbiamo troppe ragioni per essere sorpresi: gran parte delle democrazie occidentali è stata progettata in tempi in con una situazione economica, tecnologica e mediatica totalmente diversa da quella attuale. Mettendola in questi termini, non c’è nessun motivo di stupirci del fatto che una forma di governo progettata in condizioni diverse da quelle attuali debba funzionare bene anche con queste ultime. Oltretutto, in un contesto in cui il progresso tecnologico procede a velocità più sostenute, risulta naturale chiedersi se la democrazia sia una forma adeguata di governo, vista che la sua natura intrinseca volta a evitare un’eccessiva accentramento del potere rallenta i processi che la compongono. Una lentezza che caratterizza non solo i processi decisionali, ma anche il rendersi conto di quali siano i problemi da affrontare e di conseguenza elaborare una soluzione adeguata. A questo proposito appaiono naturali due domande.

la crescita esponenziale dei transistor potrebbe rendere democrazia come forma di governo obsoleta
La legge di Moore simboleggia, seppur in modo incompleto, la velocità del progresso tecnologico. Da internetofthingsagenda.

Questione di velocità

Una forma di governo, a voler astrarre il più possibile, è un sistema complesso che deve raccogliere informazioni dall’ambiente circostante per poi intraprendere azioni che ne massimizzano il successo, il quale viene definito dal sistema stesso. In quest’ottica è fondamentale che i tempi interni di elaborazione delle informazioni che arrivano da fuori siano complessivamente più corti dei tempi in cui avvengono cambiamenti rilevanti nell’ambiente. Facciamo un esempio: un essere umano è un sistema complesso, in cui i sensi raccolgono informazioni dall’esterno che poi vengono elaborate dal cervello che a sua volta manda segnali ai muscoli per mettere in atto una decisione. Immaginiamo che quest’essere umano stia guidando un’auto. Se un ostacolo appare di fronte, per evitare l’incidente è necessario innanzitutto vedere l’ostacolo. Il cervello deve rendersi conto che gli occhi hanno visto cosa ostruisce la strada, prendere una decisione e mandare un segnale elettrico alle mani per sterzare e ai piedi per frenare. Se l’auto si sta muovendo a una velocità troppo elevata, tutto questo processo avviene troppo lentamente per riuscire a frenare o evitare l’ostacolo in tempo. In che modo è importante tutto ciò? In parole povere, in quest’analogia l’essere umano rappresenta la democrazia e l’auto che accelera sempre di più il progresso tecnologico. E noi siamo i passeggeri di quest’auto in una strada di montagna. Se i cambiamenti introdotti dalla tecnologia avvengono più velocemente di quanto possa rispondere un sistema democratico, quest’ultimo diventa obsoleto per ragioni puramente strutturali, e gli scenari più probabili diventano l’abbandono a favore di forme di governo più autoritarie, o semplicemente la caduta nell’irrilevanza.

Questione di estensione

Un altro problema della tecnologia è che pone problemi mondiali. A partire dalla rivoluzione industriale, passando per l’energia nucleare arrivando all’intelligenza artificiale, la tecnologia presenta delle sfide sempre più globali agli esseri umani: inquinamento e riscaldamento globale, la guerra nucleare e la rimozione di maggior parte degli esseri umani dal sistema produttivo. Problemi globali che non possono essere affrontati a livello locale. Eppure in una democrazia la popolazione è chiamata a votare, idealmente per decidere quali siano le problematiche che il governo deve affrontare e la modalità con cui affrontarle. In un mondo con problemi internazionali e in cui il sapere è sempre più ramificato, è corretto chiamare il cittadino a esprimersi sui problemi più pressanti? La necessità di voti spinge la classe politica a andare incontro alle richieste popolari, ma se il popolo non è interessato a questioni globali, come si esce da questo impasse? Quante volte abbiamo sentito parlare di automazione o riscaldamento globale durante le ultime campagne elettorali?

Dobbiamo guardare alla Cina?

A questo punto, suggestionati dall’ascesa globale che sta compiendo la Cina, potremmo chiederci se magari la democrazia non stia per tramontare e il modello di governo cinese non sia il futuro. Un partito unico che governa un’intera nazione in un’economia pressoché capitalista in cui le aziende più grandi sono sotto una grande influenza statale, e in cui la tecnologia serve a mettere in atto censura e controllo del singolo cittadino. Maggior parte dei servizi di cui i cittadini usufruisce raccoglie dati completamente accessibili al governo. Un tempo una mole di dati simile si sarebbe rivelata inutile per chiunque, ma gli algoritmi di intelligenza artificiale oramai consentono di cercare l’ago nel pagliaio. In questo modo il governo possiede un metodo per contemporaneamente percepire le esigenze dei cittadini e occuparsi dei cittadini dissidenti. La mancanza di un dibattito democratico e del turnover nelle istituzioni taglia decisamente i tempi necessari a compiere decisioni importanti, ma questo accentramento ha molti costi.

La Cina si è proposta di diventare il leader mondiale nel settore dell’intelligenza artificiale. Il fatto che possa usare questa tecnologica come forma di repressione è oramai assodato. Foto: Li Xin/Xinhua via ZUMA.

Se la tecnologia può imporre da un lato di passare a una forma di governo che accentra il potere per poter decidere più in fretta, dall’altro impone di muoversi ancora più cautamente quando si parla di accentramento del potere. L’automazione nei processi produttivi è una grande fonte di disuguaglianza economica e sociale, in quanto tende a rendere obsolete mansioni ripetitive favorendo la nascita di professioni difficili da automatizzare e rimuovendo di fatto possibilità di occupazione per i segmenti meno istruiti della popolazione e aumentando le opportunità per i segmenti più istruiti. A lungo andare, il risultato è una classe minoritaria estremamente privilegiata in opposizione a una maggioranza irrilevante. Oltretutto in un contesto del genere l’intelligenza artificiale diventa uno strumento incredibilmente efficace per la repressione della libertà individuale: ogni dissenso può essere stroncato a livello individuale. Un esempio famoso è il sistema di credito sociale che si appresta a essere introdotto in Cina.

Abbiamo una via d’uscita?

In conclusione anche se la democrazia è decisamente fallace in certi aspetti, risulta molto difficile accantonarla in favore di alternative più autoritarie. Questo però non risolve problema: la Cina è presente come alternativa, e in contrapposizione a essa, i governi democratici potrebbero soffrire lo svantaggio derivante da decisioni più lente. Che via di uscita ci sono? Sono molteplici i meccanismi che fungono da pesi e contrappesi per evitare accentramenti di potere individuali. Questi meccanismi sono ottimi candidati per essere applicati da algoritmi di intelligenza artificiale invece di esseri umani. Oltre a questo, nella complessità dei processi democratici si annidano spesso processi molto meno democratici: corruzione, scambi di favore e lobbying sporco. L’obbiettivo sarebbe perciò cercare di sopperire ad alcune mancanze degli esseri umani tramite gli algoritmi, idea per altro già proposta in passato. Chiaramente una proposta del genere non è priva di problemi, ma svolge il suo scopo principale: costringerci a ripensare istituzioni che diamo per scontate. Più in generale, le previsioni riguardo alle ripercussioni della tecnologia sono molto cupe, ma sono previsioni incontrovertibili? La tecnologia è da sempre un mezzo per facilitare le azioni umane, e questo vale nel male come nel bene ed è per questo che è importante aprire un dibattito a riguardo.

Note finali

Per amor della correttezza, è necessario far notare un paio di questioni: l’articolo è volutamente vago sulla definizione di democrazia, che si realizza diversamente in ogni stato in cui è presente. In secondo luogo, l’argomento riguardo all’aumento della velocità del progresso tecnologico si applica a ogni forma di governo, poiché se quest’ultimo accelerasse esponenzialmente, eventualmente anche sistemi più autoritari diverrebbero obsoleti. Ciò che si voleva far notare è che una forma di governo autoritaria avrebbe comunque un vantaggio in condizioni simili a quelle attuali. Infine, è stata menzionata la legge di Moore, ovvero l’aumento esponenziale nella potenza computazionale dovuta alla miniaturizzazione dei transistor. Questo aumento esponenziale sta già volgendo al termine, ma si riferisce solo alla potere computazionale dovuto alla componente hardware, mentre adesso moltissimi sviluppi si stanno compiendo in ambito software, e di tecnologie alternative come i computer quantistici.

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