L’importanza del silenzio

Non può essere sempre politica. Non lo è la morte del carabiniere Mario Cerciello Rega, ucciso durante un’operazione in borghese nella notte del 25 luglio scorso. È stato il Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri a chiedere di tener fuori la politica e le polemiche da questa storia, quando durante il funerale di Cerciello Rega ha chiesto di evitare la «dodicesima coltellata». Eppure proprio non si è riusciti ad accontentare una richiesta apparentemente così semplice, e di coltellate mediatiche ce ne sono state molte altre, che hanno ucciso quel poco di rispetto che la morte del carabiniere originario di Somma Vesuviana si meritava. Tutto il mondo della politica si è sentito in dovere – o anzi, il dovere se l’è arrogato – di commentare una tragedia che sarebbe dovuta rimanere privata, e che invece la politica ha fagocitato per farne materiale utile per guadagnare un po’ di punti percentuale nei consensi. «L’occasione fa l’uomo ladro», e il politico incapace di capire quando non è più politica.

La politicizzazione della morte

Molti non l’hanno capito quando i loro i messaggi di condoglianze si sono trasformati in modi per rilanciare slogan elettorali. Così ha fatto il vicepremier Luigi di Maio, che in un post pubblicato su Facebook ha prontamente commentato la morte del carabiniere Cerciello Rega annunciando la proposta di legge de Movimento 5 Stelle per estendere alle vittime del dovere i benefici delle vittime di terrorismo. Nemmeno il ministro dell’Interno Matteo Salvini si è trattenuto dalla possibilità di fare un po’ di propaganda elettorale, ed è intervenuto durante la trasmissione UnoMattina per riproporre l’introduzione dei lavori forzati per i carcerati e per ricordare che le Forze dell’Ordine riceveranno in dotazione la pistola elettrica. Per non farsi mancare nulla, non si è poi risparmiato un commento sarcastico sul fatto che i due indagati non fossero italiani (inizialmente si era anche parlato di africani). Non ultimo, anche l’ex-premier Matteo Renzi ha pensato che la morte del carabiniere Cerciello Rega fosse una buona opportunità per attaccare Salvini, e infatti in un post su Facebook ha accusato il vicepremier leghista di non occuparsi della sicurezza del Paese. È normale che la politica commenti la morte di un carabiniere, ed è anzi giusto che lo faccia. Non è giusto che nello stesso momento pubblicizzi proposte politiche: c’è un tempo per tutto, e questo non era il tempo per pensare all’elettorato.

Il post con cui il vicepremier Luigi Di Maio ha commentato la morte del carabiniere Cerciello Rega.
Il post con cui il vicepremier Luigi Di Maio ha commentato la morte di Cerciello Rega. Foto: profilo Facebook.

A complicare le cose si è poi aggiunta la pubblicazione della foto che ritrae uno dei due indagati, l’americano Elder Finnegan Lee, seduto e con gli occhi bendati durante l’interrogatorio dei carabinieri. Da quel momento, a nessuno importa più chi ci sia nella foto o cosa sia successo, perché l’immagine è stata gettata in pasto al dibattito pubblico per farne altro materiale da propaganda: l’opposizione usa la foto per criticare i leghisti che giustificano l’accaduto, mentre Salvini approfitta dell’immagine per accusare l’opposizione di buonismo. E così anche noi siamo obbligati a schierarci: con Salvini e con la giustizia o con l’opposizione che protegge chi attacca lo Stato. Questo è il bivio che ci viene proposto, ma è un bivio senza ragione di essere, perché che chi si indigna di fronte alla foto può comunque – e anzi deve – sperare che i colpevoli subiscano le conseguenze penali di quello che hanno fatto.

Non può essere politica nemmeno il nostro pensiero personale, che se serve per partecipare al battibecco elettorale sarebbe doveroso e rispettoso mantenere per sé. Scelta che non ha fatto – se verrà confermata come l’autrice del post – la professoressa di Novara che affidato a Facebook un triste commento sulla morte del carabiniere Cerciello Rega. Ma in fondo basta aprire la propria bacheca Facebook per vedere come l’uccisione di un carabiniere si sia trasformata per molti in un’occasione buona per replicare via social il botta e risposta tra partiti. E così si è messa ulteriore carne al fuoco per la brace del dibattito politico, con il risultato che mentre tutti hanno parlato della morte del carabiniere Cerciello Rega nessuno si è accorto della sua scomparsa a livello mediatico, annegato tra il fumo della propaganda politica.

I due indagati, accusati della morte del carabiniere Cerciello Rega
Elder Finnegan Lee (a sinistra) e Christian Natale Hjorth (a destra), i due americani indagati per la morte di Cerciello Rega. Foto: Agi.

L’invasione della sfera privata

Negli ultimi giorni si è parlato tanto, troppo di politica e troppo poco della morte del carabiniere Mario Cerciello Rega. È ovvio che la sua non è la prima morte a essere sfruttata dalla politica, e di sicuro non sarà nemmeno l’ultima. Quello di Cerciello Rega è uno dei tanti e sempre più frequenti casi in cui la politica non riesce più a capire quando si sta travalicando il confine tra pubblico e privato, sempre che nell’era dei social e della propaganda via web ci si ricordi ancora dell’esistenza di questo confine. E in fondo sono anche gli elettori stessi ad aizzare la politica, aspettando – e anzi esigendo – il prossimo post con cui il proprio partito commenterà la vicenda, per poterlo condividere o sostenere con un like.

Ma appunto, non è sempre politica, e se la politica non riesce a capirlo forse sta anche a noi accorgersi di quando si sta invadendo la sfera degli affetti di qualcun altro, sfera nella quale noi non siamo ben accetti. E allora sarebbe il caso di rimandare a un’altra volta la schermaglia politica sui social, mettere in gabbia il leone da tastiera e rendersi finalmente conto di quanto, in questi casi, possa essere enormemente importante il silenzio.

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