Gli insegnamenti delle Sardine a un governo in alto mare

Il 14 dicembre le 6000 Sardine hanno manifestato in Piazza San Giovanni a Roma per concludere – e, come si è poi scoperto, per rilanciare – il loro giro nelle piazze italiane, andando ben al di là di quel “seimila” che compare nel loro nome. Il popolo delle Sardine si è piuttosto infoltito dalla data del 14 novembre in cui aveva riempito Piazza Maggiore a Bologna: nel giro di poco più di un mese si è trasformato in un fenomeno che ha travalicato i confini regionali in cui era nato e che ora mobilita folle di persone in tutta Italia e all’estero.

In un sondaggio realizzato per la trasmissione Piazzapulita di La7, è emerso che secondo il 43,6% degli italiani le Sardine rappresentano il principale nemico di Salvini, cosa che peraltro il leader del movimento Mattia Santori ha confermato. Sebbene si oppongano a un solo nemico, le Sardine sono però diventate a loro volta il nemico di molti: il movimento ha infatti suscitato reazioni contrastanti a destra e a sinistra, ed è stato sminuito come un fenomeno passeggero, che si esaurirà a breve e che non porterà nulla. Se solo l’alleanza di governo volesse tuffare l’occhio nel mare di Sardine con un po’ più di attenzione, facendo una riflessione più lunga dei centoquaranta caratteri di un tweet a cui ora si è abituati, potrebbe trarre tre utili lezioni per tornare a essere una politica seria, affidabile, e soprattutto “votabile”.

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La manifestazione delle Sardine a Bologna. Foto: itacanotizie.it.

La forza delle Sardine come marea compatta

La prima lezione che le Sardine possono dare all’esecutivo giallorosso è qualcosa di apparentemente molto scontato, e cioè l’importanza della coesione. Hanno fatto scalpore l’allontanamento della bandiera con falce e martello durante la manifestazione di Firenze, il rifiuto di portare «qualcosa di arancione» a Torino come proposto dalle cosiddette madamin, oppure ancora la chiusura a CasaPound – dopo un’iniziale e imbarazzante apertura – per manifestare a Roma. Tutti questi episodi non sono dimostrazioni di come il movimento sia “contro”, come sosteneva chi lo accusava, ma devono piuttosto essere intesi come sforzi per preservare l’unità del popolo delle Sardine e restituire così un’immagine forte del gruppo. Gli organizzatori degli eventi in piazza hanno rifiutato simboli che sono notoriamente divisivi, che avrebbero fatto cadere le Sardine nella rete del litigio costante che tanto piace ai media e, purtroppo, alla politica.

Probabilmente, infatti, il popolo delle Sardine è composto da persone con idee anche piuttosto diverse: non è affatto detto che chi manifesta contro Salvini sventolerebbe volentieri una bandiera rossa, né che chi scende in piazza perché crede in una Torino aperta e inclusiva vorrebbe raggiungere Lione grazie a una linea di alta velocità. Ma non è questo che importa. Ciò che conta è la capacità del movimento di mettere da parte le differenze per presentarsi coeso, appoggiandosi a quei valori che sono sicuramente condivisi, come l’antifascismo o l’antirazzismo. È proprio per la sua compattezza, forse, che il popolo delle Sardine è percepito come il principale nemico di Salvini. Una compattezza che molti vorrebbero vedere nella coalizione di governo, che sembra invece non perdere occasione per trovare temi su cui scontrarsi.

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L’importanza di non essere sempre in onda

Dall’immagine che la politica dà di sé si trae la seconda lezione che le Sardine possono dare al governo giallorosso, e cioè la necessità di svincolarsi dalla spettacolarizzazione della politica. Le Sardine non hanno un “uomo forte” che aizzi le folle: certo, c’è un leader, ma si ribadisce sempre che le manifestazioni avvengono grazie all’impegno e alla collaborazione di molti.

Le Sardine sottolineano così l’importanza del fatto che la politica torni a fare vera politica, e cioè che si occupi un po’ meno di social nel mondo digitale per preoccuparsi invece di società nel mondo reale. Il movimento mostra la grossa fetta di elettorato – o, più probabilmente, ex elettorato – che è stufa di politici a caccia di like, con più presenze nei salotti televisivi che nei palazzi istituzionali, e che fanno sembrare la politica un’interminabile serie TV, tra l’altro piuttosto noiosa.

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I fondatori del movimento delle 6000 Sardine: Mattia Santori, Andrea Garreffa, Giulia Trappoloni, Roberto Morotti. Foto: Repubblica.

6000 Sardine in cerca di pescatore

Infine l’ultima lezione, che è anche lo stesso motivo per cui le Sardine vengono ingenuamente criticate: i limiti della politica del “contro”. Non si contano quasi più le richieste alle Sardine di spiegare quali siano le loro idee, di avanzare proposte, di smettere insomma di manifestare nelle piazze solo per opporsi a Salvini. Dove vogliono andare? Qual è il loro obiettivo? Ma non è questo il punto: perché le Sardine non devono essere viste come un movimento “contro”, ma come un movimento che chiede di poter essere “per”. E questa possibilità non deve arrivare da un eventuale trasformazione delle Sardine in partito, ma dalla politica attuale.

Le Sardine mettono in evidenza – oltre che in imbarazzo – un governo che si comporta come se fosse l’opposizione, e peraltro un’opposizione inesistente: quello giallorosso è un esecutivo che si è formato solo per contrastare la Lega, e che dopo quattro mesi alla guida del Paese non ha ancora trovato un altro motivo per tenere in vita un’alleanza che, piuttosto, appare costantemente sull’orlo del suicidio politico. Il movimento guidato da Mattia Santori insegna all’attuale esecutivo che esiste un elettorato da smuovere e da intercettare.

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La vergogna di non sapere che pesci pigliare

Viene naturale chiedersi come mai tanta avversione verso le Sardine, e probabilmente la ragione è una sola, così naturalmente umana: la vergogna. La vergogna di molti di aver guardato quel movimento con un po’ di paternalistica simpatia, convinti però che non sarebbe andato al di là dell’Emilia-Romagna e che in città più tradizionalmente di destra avrebbe solo ottenuto un fiasco clamoroso. La vergogna di diversi partiti di non essere riusciti prima e di non riuscire ora a catturare la simpatia di una fetta di popolazione così diversa per età e idee, e che sembra essere così grande. La vergogna di non essere ancora in grado di dare una risposta a quel mare di Sardine che pretende un’alternativa coraggiosa, per non dover essere costretto a galleggiare in eterno nelle piazze. La vergogna della politica, insomma, di non sapere che pesci pigliare, o piuttosto di non sapere come pigliare le Sardine.

È solo una moda, si potrà dire: è questione di qualche mese, e finite le piazze in Italia finiranno anche le Sardine. Forse è vero, c’è anche un po’ di quello, così come c’è un poco della partecipazione ingenua e del fervore che accompagna ogni novità. Ma c’è anche il sollievo e l’entusiasmo di sapere che in Italia rimane una grossa fetta di popolazione che rifiuta quel miscuglio di odio e di razzismo che sta nel pantano del sovranismo. Una popolazione che è stanca di votare “contro”, ma che vorrebbe votare “per”, la cui unica richiesta è quella di essere finalmente rappresentata. Bisogna aspettare ancora molto per una risposta?

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