Il conflitto tra Armenia e Azerbaijan si riaccende: ultimo capitolo di una tensione trentennale

Domenica 12 luglio si è riacceso il conflitto tra l’Armenia e l’Azerbaijan. I bilanci ufficiali parlano di poco più di sedici vittime, quasi tutti militari, rimaste coinvolte nelle reciproche azioni di cannoneggiamento sul confine settentrionale. Motivo degli scontri è il Nagorno-Karabakh, una regione situata sull’altopiano armeno, priva di sbocchi sul mare e con una popolazione di circa centocinquantamila abitanti. Formalmente, la regione appartiene al governo azero. Tuttavia, dal 1992 il territorio è occupato dalla Repubblica dell’Artsakh. Uno Stato indipendente a riconoscimento limitato, appoggiato (politicamente e militarmente) dall’Armenia, ma non riconosciuto dall’Azerbaijan né dall’ONU.

Gli eventi degli ultimi giorni: ultimo atto di un conflitto irrisolto

Secondo i dati ufficiali dei rispettivi Paesi, gli scontri iniziati nel pomeriggio del 12 luglio sembrerebbero interessare l’area di confine tra la provincia del Tavush (in Armenia) e il distretto di Tovuz (in Azerbaijan). Si tratta, dunque, di una zona più a nord della regione del Nagorno-Karabakh, appena al di sotto del confine georgiano di entrambi gli Stati. Tuttavia, le azioni belliche sono inscritte nel clima di tensione di questo conflitto trentennale.

Più difficile è stabilire quale dei due Stati abbia dato origine agli scontri. Il Ministero degli Affari Esteri azero, in un comunicato ufficiale della sera del 12 luglio, scarica la responsabilità degli attacchi all’esercito armeno. Il portavoce del Ministero degli Affari Esteri armeno, invece, in un comunicato del giorno seguente, accusa l’esercito azero di essersi spinto oltre la linea di confine, violando l’accordo di cessate il fuoco in vigore nell’area dal 1994. Entrambe le parti hanno dichiarato che negli scontri sarebbero rimasti coinvolti civili. Dure sono state le condanne della comunità internazionale, e il commento dell’ONU non si è fatto attendere.

Il 15 luglio, il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres si è pronunciato in favore di una conclusione immediata degli scontri e di una ripresa delle negoziazioni di pace tra i due Stati. In questo senso è attivo dal 1992 il Gruppo di Minsk, un organo di lavoro creato appositamente dalla OSCE (l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), per favorire la risoluzione pacifica delle tensioni tra l’Armenia, l’Azerbaijan e la Repubblica dell’Artsakh. Tuttavia, il valore geopolitico della regione fa sì che altri stati nutrano un interesse particolare sulla vicenda (si vedano, soprattutto, Russia, Turchia, Iran, Cina e Stati Uniti). Ma cerchiamo di ricostruire la storia di questa regione.

La Transcaucasia: una regione al centro di interessi politici e conflitti militari

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Mappa dell’Armenia e dell’Azerbaijan: la zona più scura rappresenta la regione contesa del Nagorno-Karabakh.

La regione della Transcaucasia (o Caucaso del Sud), oggi costituita principalmente dai tre Stati di Armenia, Azerbaijan e Georgia, è una striscia di terra situata a cavallo del convenzionale confine tra l’Europa e l’Asia. È delimitata a nord dalla regione russa della Ciscaucasia, a sud dalla Repubblica Islamica dell’Iran e dalla Turchia; ed è cinta a est (lungo il versante azero) dal Mar Caspio e a ovest (sulla parte georgiana) dal Mar Nero. L’Armenia, invece, non presenta alcuno sbocco sul mare. Da secoli rappresenta un ponte naturale e un crocevia tra le culture e le popolazioni del continente euroasiatico.

Dato il suo enorme interesse strategico, questa regione è da sempre al centro di un instabile campo di tensioni politico-economiche, più volte sfociato nel conflitto armato. Dalla Persia all’Impero ottomano, dalla Russia zarista all’Impero bizantino, molte potenze politiche hanno avanzato il loro raggio d’azione e le loro pretese territoriali in questa zona. A farne le spese, come spesso accade, sono state soprattutto le popolazioni autoctone, di etnia principalmente armena, azera, georgiana, curda, osseta e tatara.

Con il ridimensionamento dell’Impero ottomano, al termine della Prima Guerra Mondiale, nella regione venne istituito in un primo periodo un protettorato franco-britannico. Dopo il trattato di pace di Sèvres (del 1920), si creò uno Stato armeno che occupava una considerevole porzione della penisola anatolica orientale. La cosiddetta Repubblica Democratica di Armenia avrebbe dovuto rappresentare una sorta di simbolico risarcimento per il genocidio degli armeni perpetrato dall’Impero ottomano negli anni del conflitto, che portò alla morte di quasi un milione e mezzo di armeni. Una delle pagine più tristi e tuttora irrisolte della storia novecentesca.

Leggi anche: Perché è necessario ricordare il genocidio armeno.

Dal crollo dell’Unione Sovietica al conflitto tra Armenia e Azerbaijan

Tuttavia, la presenza armena in Anatolia era ormai scarsa e priva della forza politica sufficiente a ricostituire un paese rovinato dalla guerra. Il movimento indipendentista turco, guidato dal leader Mustafa Kemal “Atatürk” (Padre dei turchi) e appoggiato dall’Unione Sovietica, riconquistò l’Anatolia. Il 29 dicembre del 1922 gran parte dell’Armenia venne annessa alla neonata Repubblica Turca. Il resto della regione (compresi i territori georgiani e azeri) entrò definitivamente nell’orbita dell’URSS, sotto il nome di Repubblica Socialista Federativa Sovietica Transcaucasica.

Già nel 1936, numerose spinte nazionalistiche all’interno della regione portarono alla costituzione delle tre Repubbliche Socialiste Sovietiche indipendenti di Armenia, di Georgia e dell’Azerbaijan. Ma di fatto la zona rimase nella sfera di influenza sovietica fino alla disgregazione dell’URSS nel 1991. Con la fine dell’Unione Sovietica venne meno anche l’ultimo giogo politico esterno nella regione. E, almeno formalmente, poterono proclamarsi le repubbliche autonome e indipendenti di Armenia, Azerbaijan e Georgia.

Di contro, l’instabilità politico-economica della regione, i movimenti nazionalistici delle diverse etnie presenti nel territorio e le cicatrici che quasi settant’anni di austerità sovietica aveva lasciato dietro di sé diedero il via a una serie di tensioni diplomatiche e militari. È in questo contesto che si inseriscono gli scontri che hanno ripreso a infiammare il confine armeno-azero dal 12 luglio, e, più in generale, il conflitto tra Armenia e Azerbaijan. La regione del Nagorno-Karabakh, infatti, rappresenta una delle zone più calde dell’intero Caucaso del Sud.

La guerra del Nagorno-Karabakh

In realtà, le prime tensioni tra l’Armenia e l’Azerbaijan nella regione si verificarono pochi anni prima del crollo dell’URSS. La regione del Nagorno-Karabakh, con una popolazione prevalentemente armena, era fin dal 1923 un oblast autonomo all’interno della Repubblica Socialista Sovietica Azera. Questa decisione, in parte promossa da Stalin, non fece altro che alimentare una diatriba territoriale che era sorta in seno alla costituzione della Repubblica Democratica di Armenia, nel 1920. In seguito alle riforme politiche promosse da Gorbačëv negli anni Ottanta, il 20 febbraio del 1988 alcuni deputati armeni del Consiglio Nazionale della regione votarono per l’annessione del Nagorno-Karabakh all’Armenia.

Fu l’inizio di un’escalation di rivolte, rappresaglie ed episodi di pulizia etnica tra armeni e azeri nelle rispettive repubbliche. Tanto che fu necessario l’intervento dell’esercito sovietico. La situazione degenerò nel 1991. Il 30 agosto l’Azerbaijan proclamò l’indipendenza dall’URSS. Il Nagorno-Karabakh, in virtù del suo status di regione autonoma, aveva il diritto di scegliere liberamente come portare a termine la sua secessione dall’URSS. Ovviamente si mosse nella direzione dell’indipendenza: dopo un referendum popolare e le prime elezioni politiche, il 6 gennaio del 1992 si proclamò ufficialmente Repubblica dell’Artsakh.

Neanche un mese dopo cominciarono le prime manovre belliche azere sulla regione. Era l’inizio di una guerra che sarebbe durata più di due anni, fino al maggio del 1994. Le azioni furono violente da entrambe le fazioni. Sulla carta, ne uscì vittorioso lo schieramento armeno. Sebbene sia complesso stabilire l’esatta entità dei dispersi (militari e civili) da entrambe le parti, si stima che i morti e i dispersi siano circa quarantamila. Ma i dati sono incompleti, e truccati da entrambe le parti. Chi riuscì a trarre un concreto e sporco guadagno da questa guerra fu soltanto la Federazione Russa, che vendette armi ai due schieramenti.

Una questione rimasta in sospeso

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Dichiarazione di Maiendorf. Da sinistra verso destra: il presidente azero Ilham Aliyev, il primo ministro russo Dmitrij Medvedev e il presidente armeno Serž Sargsyan.

L’accordo di cessate il fuoco venne siglato il 5 maggio del 1994 a Biškek, capitale kirghisa, e avrebbe dovuto impegnare le due parti coinvolte a intavolare le trattative di pace. La questione, tuttavia, rimase in sospeso. Ad aggravare il bilancio dei morti e dei feriti si mise in moto una diaspora di quasi un milione di armeni e azeri, che furono costretti ad abbandonare le proprie case e a emigrare da una parte all’altra del confine, a seconda della propria etnia di origine.

Il successo armeno consolidò le pretese di autonomia nella regione del Nagorno-Karabakh. Il fallimento dell’annessione della regione all’Armenia e il mancato riconoscimento a livello internazionale della Repubblica dell’Artsakh non sopirono le rivendicazioni dell’Azerbaijan. Dal 1994 ad oggi l’accordo di cessate il fuoco è stato più volte violato. Diverse azioni militari (dal cecchinaggio lungo le linee di confine al cannoneggiamento a colpi di mortai e lanciarazzi, fino all’abbattimento nel novembre del 2014 di un elicottero armeno) hanno avuto luogo tanto nella zona contesa tra la Repubblica dell’Artsakh e l’Azerbaijan, quanto più a nord sul confine azero-armeno.

La responsabilità di questi episodi viene costantemente rimbalzata dai governi dell’Armenia e dell’Azerbaijan, e dal gruppo dirigente degli indipendentisti del Nagorno-Karabakh. Le trattative diplomatiche, intanto, sembrano essersi arenate, incrementando così questa situazione di stallo. Gli ultimi tentativi di raggiungere un accordo risalgono al novembre del 2008, con la Dichiarazione di Maiendorf. Il testo, firmato dai presidenti dell’Armenia e dell’Azerbaijan e dal politico russo Dmitrij Medvedev, rappresenta il primo passo concreto verso una risoluzione del conflitto. Ma questo primo episodio di distensione e avvicinamento è rimasto privo di una reale prosecuzione.

Le ragioni del conflitto tra Armenia e Azerbaijan

Lo scenario rimane aperto, il conflitto irrisolto. Gli eventi degli ultimi giorni non sono che l’ultimo capitolo di una trama complessa e tortuosa. Provare a indicare da che parte stia la ragione, forse, è impossibile. Entrambi i contendenti fanno appello ai principi sui cui si è basato il processo di formazione dei moderni Stati nazionali. La Repubblica dell’Artsakh rivendica la propria indipendenza dall’Azerbaijan in nome del principio di autodeterminazione dei popoli. L’aspirazione a un ricongiungimento con l’Armenia è rappresentato simbolicamente anche dalla bandiera dell’Artsakh: identica a quella armena, con la sola differenza che l’estremità di destra è separata dal resto da una linea triangolare bianca.

La bandiera della Repubblica dell’Artsakh.

L’Azerbaijan, invece, si appella al principio fondamentale di integrità territoriale, secondo cui le frontiere sono inviolabili militarmente e le modificazioni territoriali sono ammissibili soltanto attraverso mezzi pacifici. A questo quadro di motivazioni si aggiungono gli interessi degli altri Stati. L’Armenia è uno stato membro del CSTO (l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva), un’alleanza difensiva fondata dopo la fine dell’URSS, sotto l’egida della Federazione Russa. L’Azerbaijan è appoggiato dalla Turchia (la cui opposizione all’Armenia è secolare) e, in parte, anche dall’Iran.

Persino la Chiesa si è recentemente espressa, non senza un preciso sottotesto, in favore di una rapida conclusione degli scontri armati. L’Armenia si fregia di essere il primo Paese al mondo ad aver adottato il cristianesimo come religione ufficiale (nel 301 d.C.), ed è tutt’oggi uno Stato a maggioranza cristiana. Il 96% della popolazione azera, invece, è musulmana. La rete delle cause che muovono questi scontri si infittisce, e le ragioni (legittime o illegittime che siano) si moltiplicano. L’unica cosa probabile è che il conflitto tra Armenia e Azerbaijan sia ancora lontano dal raggiungimento di un epilogo definitivo.

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