theWise incontra: Emanuele Garau, fra calcio e social network

Il calcio di oggi non si gioca più solo in campo. L’attenzione dei tifosi si sta spostando sempre più sui social network, dove le squadre si scontrano e interagiscono fra loro con commenti ironici e complimenti reciproci. Gli appassionati, abituati alla ressa dei bar sport, non sempre riescono a seguire un cambiamento che, dall’estero, si sta imponendo sempre più sull’internet italiano. A raccontare questo fenomeno è Emanuele Garau, Twitter Community manager della FIGC Femminile, l’anno scorso artefice dei cinguettii social del Pescara Calcio.

 


Quanto è importante la presenza social di una squadra di calcio?

«La reputo fondamentale, e dovrebbe essere una componente presente in ogni società sportiva. Mi rendo conto però che in Italia non siamo ancora giunti alla consapevolezza di dover investire sulla comunicazione social. Alcune società stanno facendo un ottimo lavoro, ottenendo risultati tangibili; altre sono molto indietro. Questa disparità può dipendere da una serie di motivazioni di natura culturale, di approccio allo sport, di mancanza di budget, specie nelle serie minori».

 

Chi sono i “top player” in Italia?

«Fra le squadre più attive c’è la Roma, il cui approccio è stato determinante nello scenario della comunicazione sportiva in Italia. L’attenzione verso i media di nuova generazione è tipica di società che hanno una dirigenza non italiana [i proprietari della Roma sono statunitensi, N.d.R.]; questa sensibilità proviene dall’esperienza nordamericana, dove le squadre sportive vivono la rete in modo più disteso e propositivo verso i fan. Il modello Roma è a mio avviso fra quelli da seguire di più: stimo molto il lavoro del loro team, credo gli si possa attribuire una grossa parte del cambiamento che oggi sta attraversando il mondo della comunicazione sportiva in Italia. Lo dimostrano i numeri, l’engagement dei post, i feedback dei follower. Le attività che pongono in essere, soprattutto quelle a sfondo sociale, hanno grande risonanza sia in Italia che all’estero. Sembra paradossale, ma queste iniziative vengono notate di più oltre confine. A incidere potrebbero essere la maggiore abitudine e sensibilità a questo approccio di comunicazione sportiva».

 

 

Cosa pensi del calcio femminile? Quanto possono incidere i social nella sua crescita?

«Ho avuto l’opportunità di avvicinarmi al calcio femminile già in altre occasioni, sia con la Torres di Sassari, che è la squadra più titolata d’Italia, sia con l’Atalanta Mozzanica. Grazie soprattutto a quest’ultima esperienza ho potuto conoscere meglio questo mondo e il suo funzionamento. Nonostante l’aumento di visibilità ottenuto con i quarti dei Mondiali del 2019, ancora oggi si parla troppo poco di calcio femminile. Il lavoro che spetta a noi è quello di sostenere quanto più possibile il movimento interagendo sui social, in particolare Twitter. L’obiettivo che mi sono dato assieme alla Federazione è quello di aumentare la visibilità della Nazionale e raggiungere sempre più tifosi e appassionati, oltre che nuove potenziali calciatrici. In Italia c’è ancora tanta strada da fare, ma fortunatamente ho notato un entusiasmo sempre maggiore attorno alle ragazze di Milena Bertolini. Questo fa ben sperare».

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Finire in tendenza con una squadra di Serie B non è facile. A cosa hai ispirato il tuo lavoro al Pescara?

«La cosa curiosa, specie quest’anno, è che siamo stati molto forti sui social, mentre in campo abbiamo avuto non poche difficoltà [il Pescara si è salvato ai playout contro il Perugia, ai rigori, N.d.R.]. Questo dato un po’ paradossale ha alimentato molte riflessioni nel team comunicazione. Abbiamo avuto la fortuna di incontrare un grande interesse per il nostro lavoro, soprattutto da follower che non necessariamente tifano per il Pescara. Qualcuno di loro era persino di squadre rivali.

Per impostare il mio lavoro su Twitter ho portato con me l’esperienza all’Atalanta Mozzanica. L’idea era di provare a costruire una comunicazione più “serena” con i tifosi, sul modello del calcio femminile. Un mondo molto meno tossico della controparte maschile, che spesso ha notoriamente situazioni di contrasto ed è attraversato da rivalità molto accese. Dopo aver ottenuto il via libera da parte del team comunicazione del Pescara, ho cercato di essere alternativo rispetto alla classica comunicazione istituzionale. Quest’ultima credo possa funzionare solo se alternata a contenuti più leggeri, più freschi, altrimenti risulta vecchia e stantia.

Il sostegno della società è stato decisivo per la buona riuscita del mio lavoro e per il cambiamento dello stile editoriale. Hanno creduto talmente tanto a questo approccio che ancora oggi adottano questo stile, nonostante la recente interruzione della nostra collaborazione. Anche altre squadre hanno iniziato a seguire questo approccio. La cosa mi rende felice non tanto perché certifica il successo del lavoro del Pescara, ma perché è indice di un cambiamento di come approcciarsi ai tifosi. Il calcio italiano ha bisogno anche di questo».

 

In questi giorni sei stato contattato da molti tifosi del Napoli critici verso l’uso dei social della loro squadra. Tu cosa ne pensi?

«L’interesse dei tifosi partenopei mi ha fatto molto piacere. Ho notato anche io il tenore spesso negativo dei loro commenti sulla comunicazione della società, specie su Twitter. Spesso i follower sono troppo critici nei loro giudizi. Non mi sento di esprimere un parere su questo metodo mediatico: credo che ogni club sia unico nel suo modo di parlare ai suoi supporter e che ciò dipenda da un lavoro corale. Ogni società ha un proprio vestito: fare confronti ha poco senso. Nel caso del Napoli, vista la longevità di questo approccio, sembra essere funzionale, o quantomeno condiviso appieno all’interno della società. Non sono solito giudicare l’operato degli altri, fa eccezione quello della Roma perché è sotto gli occhi di tutti ed è forse il più innovativo in Serie A».

 

 

Quanto influisce la categoria di appartenenza della squadra sul lavoro di social media manager?

«Mi capita spesso di parlare con i colleghi di altre realtà. Credo ci siano professionisti nelle serie minori che lavorano molto bene e meritino un’opportunità in realtà più blasonate. Anche in Serie C esistono squadre molto brave sui social, ma spesso non basta. A fare la differenza non è tanto il prestigio della società, quanto il budget e l’assetto societario: più una realtà è strutturata al suo interno, più investe nella comunicazione, più il team di comunicazione ha risorse e strumenti per fare un lavoro di qualità».

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