Francisco, il “matto” buono dei frati

Gabriella La Rovere è scrittrice, autrice di teatro, medico e giornalista. È in libreria con il suo ultimo libro, Francisco. La vita del matto buono dei frati, edito da AUGH! Edizioni.

Dal 2015 collabora con il sito Per noi autistici, il più importante aggregatore di senso e di cultura sull’autismo in Italia, ideato e diretto da Gianluca Nicoletti. È inoltre presidente dell’associazione L’orologio di Benedetta, nata con lo scopo di condividere le esperienze personali che hanno portato al superamento delle limitazioni indotte dall’autismo.

Oggi theWise Magazine ha incontrato Gabriella La Rovere.

Chi è Francisco? Da dove nasce la sua storia?

«Francisco Pascal è un personaggio realmente esistito, vissuto in Spagna nella seconda metà del Cinquecento, dichiarato Venerabile. Era un frate carmelitano converso: pur vestendo gli abiti religiosi e facendo vita monastica, non poteva celebrare la Messa. A distanza di nove anni, credo che Francisco abbia scelto me per far conoscere la sua storia perché il modo con cui è piombato nella mia vita ha dello straordinario.

Stavo facendo una ricerca in rete su classici della letteratura nei quali ci fosse un personaggio che potesse essere considerato autistico. Dopo diverse ore, quando già la stanchezza aveva preso il sopravvento, è comparso il titolo di un libro francese: Vie du Vénérable Frère François de l’Enfant Jésus. La cosa mi ha incuriosita e sono andata alla ricerca di informazioni in inglese che mi facessero capire meglio. Non è stato facile e quando è apparsa una breve sinossi nella quale si parlava delle sue stranezze e di un omicidio da lui compiuto senza esserne consapevole, né minimamente impressionato, mi è sembrato di vincere chissà quale premio!

Immediatamente mi sono rimessa in azione per cercare il manoscritto nelle biblioteche oppure nei siti di libri antichi e introvabili. Ancora ricordo la sorpresa nel trovare questo tesoro, unico esemplare, da un rigattiere a trenta chilometri da casa mia. E così Francisco è entrato nella mia esistenza, riempiendola di tenerezza».

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La copertina di Francisco. La vita del matto buono dei frati.

Cos’è l’autismo? Quali sono le sue caratteristiche?

«L’autismo, o meglio la neurodiversità, è un modo altro di percepire la realtà circondante e di relazionarsi con essa. La persona autistica ha difficoltà nell’interagire e comunicare con gli altri. Alcuni sono non verbali, altri hanno un linguaggio molto scarno, con tendenza a ripetere alcune espressioni. Hanno difficoltà a comprendere il sarcasmo e le metafore, mancano di pensiero astratto. Ci possono essere deficit nella comunicazione non verbale, quindi mancanza della gestualità.

Le persone autistiche manifestano comportamenti ripetitivi e interessi ristretti che li assorbono totalmente. Nella prima infanzia sono frequenti gli atteggiamenti oppositivi che ogni genitore ha sperimentato con grande senso di frustrazione. Accanto a queste caratteristiche comuni c’è tutta una gamma di sfumature, perché ogni persona è un’entità unica e irripetibile».

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Qual è il rapporto fra autismo e discriminazione oggi?

«Da quando sono usciti i primi libri italiani sull’autismo – mi riferisco a quello di Fulvio Ervas e ai tre di Gianluca Nicoletti – si è avviato un progressivo processo di consapevolezza che ha portato a una maggiore comprensione e accettazione della persona con neurodiversità e della sua famiglia. Rispetto al passato, c’è più attenzione al bambino nelle sue prime fasi di sviluppo e questo ha portato a diagnosi sempre più precoci, già dai diciotto mesi.

Al raggiungimento della maggiore età, la persona autistica viene abbandonata. Non può più fare riferimento al neuropsichiatra infantile, con il quale ha percorso una parte importante della sua esistenza, e viene preso in carico dagli psichiatri i quali, il più delle volte, sono impreparati a relazionarsi con la neurodiversità, sia in termini di comunicazione che di terapia farmacologica. Se c’è una inadeguatezza sul versante sanitario, c’è una totale débâcle dal punto di vista sociale, con mancanza di opportunità occupazionali e di strutture residenziali che non siano il solito parcheggio nel quale vedere passare il tempo in attesa della morte».

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Gabriella La Rovere. Foto per gentile concessione dell’intervistata.

Come è stato possibile diagnosticare a posteriori l’autismo di Francisco?

«Quello che ho fatto con Francisco è stato una diagnosi deduttiva sulla base di quanto raccontato nel manoscritto originale sui suoi comportamenti. Una cosa simile è stata fatta con Mersault, personaggio principale de Lo straniero di Camus. Una rilettura critica di questo classico della letteratura non può che confermare l’ipotesi diagnostica».

Come possono l’arte, la scrittura, il disegno migliorare le capacità relazionali e comunicative di soggetti con disturbi dello spettro autistico?

«L’arte favorisce la crescita intellettuale, emotiva e spirituale. Essa consente di esprimere, in maniera autonoma, le proprie sensazioni, le gioie, le paure, le idee, le tensioni e i desideri. I laboratori artistici (scrittura, pittura, disegno, scultura, fotografia o teatro) non sono solo uno spazio del fare, ma uno spazio di relazione, uno spazio preverbale, dove è possibile imparare a ricordare, pensare, organizzare e contenere la propria esperienza.

Oltre ad avere una grande importanza sul piano pedagogico l’arte, nelle sue diverse forme, può essere usata come mezzo abilitativo, per sviluppare e migliorare le competenze individuali. Ultima, ma non meno importante, è la possibilità di creare uno sbocco lavorativo e occupazionale».

Come dovrebbero cambiare le politiche e le pratiche per l’inclusione?

«Da anni si chiede una maggiore professionalità degli insegnanti di sostegno, un aumento delle ore dedicate all’alunno con neurodiversità, una attenzione alle sue esigenze e competenze in modo da poter avviare da subito un percorso di vita adeguato. Per quanto riguarda l’adulto è ancora tutto da fare, perché la neurodiversità non è la psicosi, né la schizofrenia ma un universo ancora incompreso, destinato all’infelicità».

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