Il piano vaccinale di Biden: cento milioni in cento giorni

Il 21 gennaio, al momento della cerimonia di insediamento del presidente americano Biden, gli Stati Uniti registravano una media di novecentomila vaccini contro il Covid-19 alla settimana. Poco più di un mese dopo, la cifra è più che raddoppiata. Oggi, due milioni di dosi vengono distribuite settimanalmente, secondo i dati del CDC, il principale organo di sanità pubblica della nazione. Questo spiccato incremento nella distribuzione riflette l’impegno preso con i cittadini dal Presidente nei primi giorni della carica: vaccinare almeno cento milioni di persone nei primi cento giorni della presidenza. Con un piano vaccinale che i detrattori hanno definito persino poco ambizioso, Biden si è posto l’obiettivo di arrivare a somministrare un milione e mezzo di dosi al giorno.

Dopo l’approvazione dei vaccini proposti da Pfizer-BioNTech e Moderna, nella prima settimana di marzo è arrivato il via libera a livello federale anche per quello di Johnson&Johnson. Nonostante la minore efficacia comprovata, quest’ultimo dovrebbe velocizzare ulteriormente il processo di vaccinazione, in quanto richiede una sola dose e non necessita di refrigerazione, al contrario dei due già approvati.

Una vittoria per il governo Biden, che spera di iniziare a vedere la luce in fondo al tunnel, poco dopo aver sorpassato la dolorosa cifra di cinquecentomila morti a causa del Covid-19.

A inizio marzo, più di cento milioni di nuove dosi sono già state distribuite in giro per il Paese. 

Un piano costruito da zero

Il successo della campagna vaccinale della nuova amministrazione è tanto più notevole quanto più si considera la situazione in cui gli Stati Uniti si trovavano con Trump. Secondo alcune fonti citate dalla CNN, Biden ha ereditato un piano vaccinale praticamente inesistente, che ha messo in seria difficoltà i suoi consulenti. Nei primi giorni dopo l’insediamento, il Presidente ha firmato oltre dieci ordini esecutivi immediati, per tentare di arginare la mancanza di organizzazione del suo predecessore. «C’è ben poco da modificare», avrebbe detto uno dei consulenti. «Dobbiamo costruire un piano da zero».

Tra le misure prese, la creazione di una task force federale di supporto al presidente, per aiutarlo a ripartire le risorse economiche e prevenire le disparità fra le comunità maggiormente colpite, e maggiori aiuti ai diversi Stati per poter creare cento nuovi centri di vaccinazione federali e rendere i vaccini disponibili anche nelle farmacie.

Per quanto riguarda la prevenzione, è stato introdotto l’obbligo di indossare mascherine a tutti i viaggiatori sui voli interni, treni, navi e pullman, e quello di mostrare un test negativo a chi arriva dall’estero. In più, una cifra considerevole è stata stanziata per aumentare la disponibilità di mascherine gratuite, guanti e test rapidi.

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Un gruppo bipartisan di membri del Congresso discute il piano vaccinale nello Studio Ovale.

Supporto economico da duemila miliardi, con l’American Rescue Plan

La stoccata finale, poi, è arrivata il 6 marzo: nonostante un Senato ancora fortemente diviso dalle critiche repubblicane, è stato approvato l’American Rescue Plan, un importante piano di aiuti economici da 1,9 trilioni di dollari, che promette di dare una scossa ancora maggiore agli sforzi della nuova amministrazione. Il pacchetto di stimoli prevede lo stanziamento di fondi non solo per contenere la pandemia, ma anche per risanare un’economia che ormai da un anno si trova in condizioni disastrose. Secondo le stime del Bureau of Economic Analysis, che analizza i dati economici del Paese, anche se nell’ultimo quadrimestre del 2020 il PIL è cresciuto, su scala annuale si trova comunque a -3,5% rispetto al 2019.

Fra le misure proposte figurano pagamenti diretti fino a 1400 dollari per decine di milioni di americani in difficoltà, sussidi di disoccupazione settimanali da trecento dollari e misure anti Covid-19 senza precedenti per il Congresso. Per quanto riguarda il vaccino, la cifra si aggira intorno ai 14 milioni di dollari, più altri 49 per l’incremento di test e controlli.

L’impegno di Biden per dare una spinta al piano vaccinale è a dir poco necessario per il Paese, che da mesi registra non solo il maggior numero di casi, ma anche il maggior numero di morti al mondo. Sebbene il numero di contagi e di decessi si stia abbassando da qualche settimana, il Presidente ha sempre reso chiaro di avere un piano definito per semplificare e velocizzare il processo di immunizzazione. «Stiamo per lanciare un piano di vasta scala, di portata bellica, per sistemare la carenza di dosi che abbiamo ereditato dalla precedente amministrazione», ha detto a fine gennaio.

In un editoriale pubblicato sul New York Times il 20 gennaio, la strategia di Biden viene analizzata chiaramente: il governo deve trattare il coronavirus come un atto di bioterrorismo, non come l’influenza stagionale. Con l’approvazione del piano vaccinale di Biden da quasi duemila miliardi, l’investimento economico necessario per affrontare il “nemico invisibile” è arrivato. Un piano vaccinale che ha la stessa portata dell’interno PIL italiano. 

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Persone in attesa di ricevere il vaccino a Baltimora, Maryland.

L’ostacolo principale: uno scetticismo dilagante

Adesso c’è però ancora un ostacolo al processo di vaccinazione, più difficile da affrontare di quello economico: lo scetticismo che ancora dilaga fra la popolazione. Secondo un sondaggio del Pew Research Center di Washington, D.C., a febbraio ancora il 30% degli americani dichiarava di non aver intenzione di vaccinarsi. Biden ha dalla sua il supporto unanime dei governatori di tutta la nazione, che continuano a portare avanti la campagna di sensibilizzazione indipendentemente dal loro schieramento politico.

A complicare la situazione sono anche le diverse sfaccettature di questo scetticismo.  Da un lato la popolazione afroamericana, che tende storicamente a fidarsi poco dei programmi medici gestiti dallo Stato. La principale ragione alla base della loro diffidenza è il ricordo del trauma collettivo dello studio sulla sifilide di Tuskagee, un esperimento clinico portato avanti per quarant’anni sui giovani uomini neri, che venivano infettati a loro insaputa con il batterio della sifilide per essere oggetto di studio sull’evoluzione della malattia.

Dall’altro lato, esiste una grossa fetta della popolazione rurale condizionata dalla generale disinformazione. Questa minoranza è preoccupata dagli effetti collaterali a lungo termine ed è convinta che il Covid-19 non sia una minaccia tale da giustificare la necessità di vaccinarsi.

È questa la vera sfida all’immunità di gregge: solo quando l’80% della popolazione avrà ricevuto il vaccino Biden potrà tirare un sospiro di sollievo. Fino ad allora, l’amministrazione dovrà proseguire con una campagna di sensibilizzazione pubblica, volta soprattutto a sradicare la terminologia quasi guerresca utilizzata da Trump. Secondo Paul Offit, direttore del Vaccine Education Center al Children’s Hospital di Philadelphia, Trump usava un linguaggio “terribile”. «Operazione Warp Speed, corsa al vaccino, finalisti. Fa paura. Una terminologia del genere genera terrore». 

Frank Lutz, uno dei più importanti sondaggisti del Partito Repubblicano, suggerisce di parlare usando termini semplici, evitando di puntare il dito contro chi non vuole vaccinarsi o assumere atteggiamenti paternalistici. «Bisogna puntare sulla famiglia» ha detto. In particolare, enfatizzare come il vaccino potrebbe proteggere i propri cari e aiutare a tornare a una vita normale. «Molti più americani si vaccinerebbero per il bene della famiglia, molto di più che per “la patria”, “l’economia”, “la comunità” o “gli amici”». Per il momento, la strategia comunicativa del governo Biden cerca di avvicinarsi di più a queste direttive. La sfida che sta affrontando questa presidenza ha ancora diversi ostacoli da superare davanti a sé, prima di potersi dire vinta, ma per il momento sembra che sia sulla buona strada. 

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