Strage di via D’Amelio: la morte del giudice Paolo Borsellino

Il 19 luglio si verificava la strage di via D’Amelio a Palermo. In questo attentato organizzato dalla mafia siciliana persero la vita il magistrato antimafia Paolo Borsellino e cinque membri della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi (la prima poliziotta italiana facente parte di una scorta morta in servizio di una scorta di polizia e la prima a essere uccisa in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’attentato seguì quello del 23 maggio dello stesso anno, che costò la vita al giudice Giovanni Falcone, alla moglie e ad alcuni agenti della scorta.

L’attacco

La strage di via D’Amelio è avvenuta alle 16:58 del 19 luglio 1992, cinquantasette giorni dopo l’attentato di Capaci. L’unico sopravvissuto della scorta di Borsellino, Antonino Vullo, dichiarò che il magistrato era di rientro dalla sua residenza estiva fuori Palermo, diretto verso casa della madre. La bomba, contenente circa una tonnellata di materiale esplosivo, era stata collocata a bordo di una Fiat 126. La normale procedura quando Borsellino viaggiava era quella di sgombrare la strada dalle auto prima del suo arrivo. Ciò non fu consentito dall’amministrazione del Comune di Palermo. Dopo lo scoppio l’auto su cui viaggiava Borsellino esplose insieme a una delle auto di scorta, mentre Vullo era seduto in una terza macchina.

Via d’Amelio dopo lo scoppio della bomba.

La strage di via D’Amelio provocò non poca indignazione. La notte successiva al fatto, i manifestanti assediarono pacificamente la prefettura di Palermo. I funerali di Borsellino hanno visto poi veementi proteste della folla. Il capo della Polizia Arturo Parisi fu colpito colpito mentre cercava di scappare. Pochi giorni dopo furono trasferiti il ​​questore Vito Plantone e il prefetto Mario Jovine. Si dimise anche il procuratore capo di Palermo, Pietro Giammanco. Nel frattempo, settemila soldati furono inviati in Sicilia, per pattugliare le strade al fine di evitare possibili nuovi attacchi.

L’agenda rossa

Il giudice Paolo Borsellino era solito portare un taccuino rosso, la cosiddetta agenda rossa, in cui annotava i dettagli delle sue indagini. L’ufficiale dei carabinieri Rosario Farinella dichiarò in seguito di averla consegnata al magistrato Giuseppe Ayala, giunto sul posto dopo la notizia dell’esplosione. Nel settembre 2005, Ayala disse di aver preso l’agenda rossa mentre esplorava l’auto distrutta e di averla consegnata a un ufficiale dei carabinieri che era sul posto.

La Procura di Caltanissetta aprì nel 2006 un’indagine sulla scomparsa dell’agenda rossa del giudice Borsellino. Nel 2008 fu accusato del furto dell’agenda l’allora capitano dei Carabinieri Giovanni Arcangioli. L’accusa fu rigettata, poiché la borsa del giudice rimase per quattro mesi presso la squadra mobile di Palermo senza essere aperta. L’agenda poteva essere stata sottratta in un momento successivo. Si avanzò anche l’ipotesi che il giudice Borsellino avesse l’agenda in mano al momento dell’esplosione e che essa sia stata distrutta in quell’istante.

Le indagini

Borsellino uno

Le prime indagini sulla strage di via d’Amelio vennero coordinate dal Procuratore capo di Caltanissetta Giovanni Tinebra e dai sostituti procuratori Ilda Boccassini e Fausto Cardella. Si arrivò nel settembre 1992 alla cattura di Salvatore Candura e Vincenzo Scarantino, che si autoaccusarono del furto della Fiat 126. Nell’ottobre 1994 iniziò il processo Borsellino uno. Gli imputati erano Scarantino, Salvatore Profeta, Giuseppe Orofino e Pietro Scotto. Quest’ultimo era un tecnico telefonico (e fratello del mafioso Gaetano) accusato di aver manomesso gli impianti telefonici del palazzo di via D’Amelio per intercettare le telefonate della madre del giudice Borsellino al fine di conoscere i movimenti del magistrato.

Nel dicembre 2000 le condanne di Profeta, Scarantino e Orofino (rispettivamente ergastolo, diciotto e nove anni) furono confermate dalla Corte di Cassazione. Scotto venne assolto.

Borsellino bis

Il 14 maggio 1996 iniziò il processo Borsellino bis, per la strage di via D’Amelio. Gli imputati erano, fra i tanti, Salvatore Riina, Pietro Aglieri, Giuseppe Graviano e Salvatore Biondino. Nel settembre 1998, durante un’udienza, Scarantino ritrattò pubblicamente tutte le sue accuse contro queste persone. Dichiarò anche di avere subito maltrattamenti durante la sua detenzione nel carcere di Pianosa e di essere stato costretto a collaborare dal questore La Barbera.

Tuttavia i giudici non credettero a questa ennesima ritrattazione e nel 1999 la Corte d’Assise di Caltanissetta, presieduta dal giudice Pietro Falcone, condannò in primo grado Salvatore Riina, Pietro Aglieri, Salvatore Biondino, Carlo Greco, Giuseppe Graviano, Gaetano Scotto e Francesco Tagliavia all’ergastolo

strage di via d'amelio
Albero commemorativo in via D’Amelio.
Borsellino ter

Nel 1998 iniziò il terzo troncone del processo per la strage di via D’Amelio, denominato Borsellino ter. Questo si basava sulle dichiarazioni dei pentiti Giovan Battista Ferrante, Giovanni Brusca, Salvatore Cancemi, Calogero Ganci, Antonino Galliano e Francesco Paolo Anzelmo. Gli imputati erano, tra i tanti, Giuseppe “Piddu” Madonia, Benedetto Santapaola, Giuseppe Calò e Bernardo Provenzano. 

Il 9 luglio 2003 lo stralcio del Borsellino ter e parte del procedimento per la strage di Capaci vennero riuniti in un unico processo perché avevano imputati in comune. La Corte d’assise d’appello di Catania condannò all’ergastolo Salvatore Montalto, Giuseppe Farinella, Salvatore Buscemi e Benedetto Santapaola mentre, per la strage di Capaci, vennero condannati all’ergastolo anche Giuseppe Montalto, Giuseppe Madonia, Carlo Greco, Pietro Aglieri, Mariano Agate e Benedetto Spera.

Leggi anche: Strage di Capaci: la morte di Giovanni Falcone.

Borsellino quater

Nel giugno 2008 Gaspare Spatuzza iniziò a collaborare con la giustizia. Egli si autoacusò del furto della Fiat 126, smentendo la versione data dai collaboratori di giustizia Scarantino e Candura. La Procura di Caltanissetta riaprì le indagini sulla Strage di via d’Amelio.

Nel 2009 gli ex collaboratori di giustizia Scarantino, Candura e Andriotta dichiararono ai magistrati di essere stati costretti a collaborare dal questore La Barbera, sotto minacce e maltrattamenti. Nell’aprile 2011 anche Fabio Tranchina iniziò a collaborare con la giustizia, confermando le dichiarazioni di Spatuzza. Il 13 marzo 2013 il giudice dell’udienza preliminare di Caltanissetta condannò i collaboratori Spatuzza e Tranchina rispettivamente a quindici e dieci anni di carcere per il loro ruolo avuto nella strage.

Qualche giorno dopo si aprì il quarto processo per la strage di via d’Amelio, che vedeva imputati Vittorio Tutino, Salvatore Madonia e gli ex collaboratori Vincenzo Scarantino, Francesco Andriotta e Calogero Pulci. La pena fu l’ergastolo per Tutino e Madonia, mentre Adriotta e Pulci ebbero dieci anni. Il reato di Scarantino ebbe la prescrizione.

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