Ernesto De Martino e la crisi della presenza

Ernesto De Martino è un antropologo che nella sua attività ha affrontato il tema della presenza minacciata nel mondo primitivo. Per l’autore, il concetto di presenza significa essere inseriti in un rapporto indissolubile con il proprio mondo culturale. Se decade il rapporto avviene una crisi della presenza che diviene una minaccia costante. Questa presenza dunque deve essere sempre consolidata e conquistata.

Ogni momento storico difficile che mette in crisi la cultura rende necessario un ripensamento dei valori. Ernesto De Martino analizza la modalità tramite cui gli uomini reagiscono alla crisi della presenza, ovvero il rito magico.

crisi della presenza
Ernesto De Martino.

La crisi della presenza e la magia

La magia è il modo in cui le popolazioni primitive reagiscono alla crisi della presenza. Questa perdita si presenta attraverso fasi precise. Prima di tutto, la persona sente minacciata la propria identità. Successivamente vi è l’inizio della crisi della presenza e solo con l’intervento del rito magico la frattura viene sanata.

La modalità in cui si palesa la crisi della presenza è la ripetizione, o ecolalia. Essa consiste in una sostituzione dell’azione con una ripetizione di qualcosa. Il soggetto non agisce, ma “è agito da”. La ritualità magica offre allora un senso all’agire e un controllo significante delle ripetizioni.
Un esempio è il pianto rituale ripetuto del lutto. Il pianto della vedova si inserisce nella ritualità di un pianto collettivo che fa acquisire un senso al singolo pianto personale del sofferente.

Gli studi antropologici

Per spiegare il concetto di crisi della presenza, De Martino prende in considerazione alcune popolazioni primitive della Siberia, della Melanesia e del Nord America. Essa si presenta nelle popolazioni della Melanesia con il nome di latah. Questo stato è dato dalla perdita (o meglio dall’alterazione) della coscienza che causa una perdita del controllo di sé. Una persona in stato di latah, per esempio, se fosse attratta dal movimento oscillatorio dei rami scossi dal vento, imiterebbe passivamente tale movimento. Nel popolo siberiano dei tungusi, si parla di olon, uno stato molto simile a quello precedentemente descritto.

Tutto ciò accade quando una presenza labile abdica, ovvero viene meno dopo uno shock. Non trovando energia sufficiente per padroneggiare e affrontare l’evento traumatico, si fonde con esso. Un ulteriore esempio è l’amok, caratterizzato dallo scatenarsi di impulsi violenti in seguito a un evento scioccante. Tutti i fenomeni descritti da De Martino sono possibili perché gli uomini primitivi possiedono una presenza fragile e labile. Ma di fronte a questa angoscia, vi è la volontà di esser-ci, come presenza davanti al rischio di non esser-ci.

Il rituale

Proprio da questa volontà si sviluppa il rito magico. Il mondo magico è il risultato del dramma tra assenza e presenza, è quell’elemento che offre all’uomo la possibilità di non crollare di fronte ad un evento sorprendente. Un esempio di rito magico è l’atai, praticato presso la popolazione dei Turik. Essi credono di poter trattenere la propria anima mediante pietre unciniformi. Questo è il modo in cui il primitivo trattiene l’anima perché la sua presenza non è data di fatto. Davanti a una situazione di compromesso tra sua propria identità e l’oggetto magico, esso diventa l’unico modo per consolidare la propria presenza senza né rubare l’anima né diventare dipendente dall’oggetto.

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La crisi della presenza in epoca contemporanea

Nel volume La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali (1977), De Martino analizza la crisi della presenza anche in epoca contemporanea. Per fare ciò prende in considerazione La nausea di Sartre (1938). Emerge chiaramente che nella nostra epoca queste crisi esistono ancora, ma sono spesso individuali. Quelle collettive sono dovute a cause di grande significatività come guerre e pandemie.

La nostra quindi è una presenza più forte, ma non al riparo. Studiare quindi il mondo primitivo significa capire che la presenza non è data alla nascita ma deve essere continuamente conquistata. L’autore riflette poi sul nesso fra perdita della presenza e malattia mentale. Secondo De Martino, la presenza nel mondo primitivo non è ancora consolidata mentre, nel caso di una possibile malattia mentale di un uomo contemporaneo, la perdita della presenza diventa un fatto puramente individuale. La malattia mentale è quindi un dramma privato che non trova riscatto nella mentalità comune. La nostra società contempla solamente una presenza stabile ed è escludente. Non sa arginare i crolli individuali, a differenza del mondo indigeno, che trovava un riscatto collettivo nel rito magico.

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Un uomo tunguso.

Il paradosso di un mondo inautentico

Appare chiaro che in De Martino sia nel mondo magico che in quello moderno si produce una crisi della presenza, che nel mondo moderno si declina come malattia mentale. La magia del mondo magico è autentica perché tutti vi partecipano, mentre quella del malto mentale è inautentica perché la sua realtà non è la realtà di tutti. Tutto ciò appare una contraddizione, in quanto il mondo culturale è sia ciò che consolida la presenza, sia ciò che produce esclusione e perdita di presenza. Di ciò De Martino è consapevole.

La nostra cultura è quindi un processo troppo netto di costruzione della persona che presenta una “falsa” presenza stabile. Noi siamo presenze labili in una cultura che ci fa credere di essere presenze stabili.
Nella nostra cultura non c’è più un rito che sostenga la crisi della presenza. Anzi, è la cultura stessa a produrre l’esclusione. Per questa ragione, in un certo senso, il mondo magico primitivo è superiore al mondo moderno. Se la presenza è così granitica, la nostra vita diventa già decisa a priori.

La filosofia di De Martino è dunque un invito a rivedere le nostre presenze come processi in formazione, inserite in rapporti collettivi. La vita collettiva è centrale in questo discorso. Il mondo culturale nel mondo primitivo è una rete che salva dalla labilità della presenza, nel nostro mondo invece vi è un irrigidimento delle figure istituzionali e non si sostiene la presenza che crolla ma, al contrario, la spinge verso il crollo, mancando di una cultura collettiva da ricoltivare e ricostruire.

Per una trattazione più completa si consiglia la lettura del volume “Il mondo magico: Prolegomeni a una storia del magismo” (1948) di Ernesto De Martino.

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