Libia, la terra di nessuno

Nel suo capolavoro autobiografico Il ritorno. Padri, figli e la terra fra di loro lo scrittore libico Hisham Matar narra il ritorno da adulto nella patria che era stato costretto a lasciare da bambino. Il libro, come una pellicola che si apre in medias res, mostra l’autore a Tripoli, città finalmente libera dalla dittatura che aveva costretto la sua famiglia di dissidenti politici a girovagare per il mondo. Hisham ripercorre a ritroso i quarantadue anni di vita durante il regime di Muammar Gheddafi. Decenni di sofferenze, limitazioni della libertà e fughe. Durante i quali tuttavia la Libia è stata non solo sempre al centro delle sue attenzioni ma anche della scena internazionale. 

La storia della Libia è una storia complessa, una storia fatta di personaggi ingombranti ma anche di coraggio e resilienza. Una terra di tutti o forse di nessuno. In nessun Paese più che nella Libia si incrociano infatti le orme di civiltà tanto diverse e allo stesso tempo tanto determinanti nello scacchiere politico della storia. 

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Quel passato seppur lontano, come appare nello scritto di Matar, è ritornato con forza prorompente per farsi spazio nel presente, forse per chiudere un cerchio che da anni non ha concesso al pascialato turco della Tripolitania di trovare una sua dimensione stabile nel quadro economico e sociale africano.  Il prossimo 24 dicembre si terranno infatti le elezioni presidenziali in Libia, le prime democratiche in cinquantadue anni, che sanciranno la salita al potere del “nuovo” Rais. 

Le virgolette si rendono necessarie in questo caso perché, come detto, il passato si è fatto presente in vista delle consultazioni elettorali con la discesa in campo di Khalifa Haftar e Saif al-Islam Gheddafi.  Ma un passo alla volta. 

La Libia a Ginevra

Il 12 novembre, i principali capi di Stato mondiali si sono ritrovati a Ginevra, su spinta del presidente francese Macron, per definire con chiarezza e perentorietà il percorso verso le elezioni libiche annunciate in febbraio. Obiettivo dell’incontro: dare continuità al processo di unificazione statale della Libia e garantire il ritiro delle truppe straniere sul territorio

Come spesso accade, però, a far più notizia delle buone intenzioni manifestate durante il summit, alle quali non sono seguite chiare regole, è stata l’assenza rumorosa di Erdogan, Putin e dei rispettivi ministri degli Esteri. Molte fonti e analisti riportano infatti che le mire espansionistiche delle due potenze sui confini libici abbiano determinato il mancato dietrofront di circa ventimila soldati stranieri tra il contingente pro-Ankara a sostegno di Tripoli e i soldati del Gruppo Wagner affiliati al presidente russo, dalla parte di Haftar. 

A pochi giorni di distanza dall’incontro di Ginevra, il 16 novembre, il secondogenito dell’ex dittatore Muammar Gheddafi ha annunciato ufficialmente la sua candidatura alla presidenza, alla quale è seguita quella dell’uomo forte della Cirenaica Khalifa Haftar, già al potere nel 2014. 

Ritorno al passato

Ed è qui che il passato si fa nuovamente protagonista. Da un lato, infatti, in testa a tutti i sondaggi si trova il figlio dell’ultimo Rais libico. Il suo cognome richiama inevitabilmente la storia di Muammar Gheddafi salito al potere nel 1969 con un colpo di Stato: trasformò profondamente il Paese, seppure con il pugno di ferro, guidandolo per quarantadue anni e facendolo diventare uno dei più ricchi e temuti dell’intero continente.

Dall’altro canto a tornare in auge è Haftar, il capo delle Forze armate arabe libiche (Faal): colui che nel 2019 tentò con l’appoggio di Emirati Arabi, Egitto e Russia di prendere il sopravvento sul fragile Governo di Accordo Nazionale di Fayez al-Sarraj. 

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Il candidato Saif al-Islam Gheddafi.

Gli snodi politici della Libia

Analizzando il passato più recente della Libia, e quindi dei suoi esponenti principali, è possibile imbattersi in alcuni snodi storici fondamentali. Ripercorrere gli avvenimenti che hanno profondamente segnato il Paese africano è cruciale per fare chiarezza sul quadro all’interno del quale vanno letti gli sviluppi politici più recenti e per comprendere come le storie dei protagonisti siano intrinsecamente legate tra di loro. 

Il primo di questi snodi è rappresentato dalla caduta del regime dittatoriale di Muammar Gheddafi. 

Nel 2011, l’ondata delle primavere arabe, scoppiata in Tunisia, travolse impetuosamente i Paesi del mondo arabo e del Nord Africa. Violente e incessanti dimostrazioni infiammarono varie città libiche, partendo da Bengasi per poi estendersi al resto del Paese. Ovunque, scontri tra ribelli e forze governative puntarono i riflettori sulla necessità sempre più impellente di riconoscere e dare applicazione concreta ai diritti e alla libertà dei cittadini. Tale respiro sociale si poneva in forte contrapposizione a un regime autocratico che, per oltre quarant’anni, aveva vessato i cittadini facendo della nazionalizzazione delle industrie e della centralità della guida governativa i capisaldi della sua sedimentazione. Il rifiuto di Gheddafi di abbandonare il potere, prima, e l’azione militare della Nato, poi, portarono alla cattura dell’ex dittatore e infine alla sua uccisione per mano dei ribelli. 

Il generale Haftar. Foto: Wikimedia Commons.

Ed è proprio nel contesto delle primavere arabe che la figura di Saif al-Islam Gheddafi, secondogenito di Muammar e attuale candidato presidenziale, conquistò per la prima volta gli onori della cronaca. Quarantanove anni, laureato in economia con dottorato presso la London School of Economics, Seif, considerato durante il regime dell’ex Rais il nuovo volto della liberalizzazione economica libica, tornò in terra natia su richiamo del padre per perorare la causa dell’Unione Socialista Araba Libera. Preso parte agli scontri, il Saif riformatore divenne presto repressore, guidando il soffocamento delle proteste prima, e poi a capo dell’esercito libico, la persecuzione dei ribelli. Catturato dopo non molto, venne condannato a morte per le responsabilità nel periodo delle rivolte e della destabilizzazione del regime e alfine graziato, per mano dell’amnistia varata nel 2015 dal governo di Tobruk (controllato dal generale Haftar). 

La morte di Gheddafi e la successiva instaurazione di un governo legittimo da parte del Consiglio nazionale di transizione, nel 2012, aprirono un ulteriore periodo di scontri e insurrezioni che ebbero come teatro principale Bengasi, centro della Cirenaica, ricca di petrolio. 

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Proprio quest’ultimo, la cui importanza è al centro delle attuali contese espansionistiche tra Turchia e Russia, si rivelò essere fattore determinante nel tentativo di presa del potere del generale Khalifa Haftar. Fu infatti a seguito dell’occupazione dei terminali degli impianti petroliferi, e dell’interruzione nell’erogazione del greggio, da parte dei ribelli, che nel 2014 l’uomo forte della Cirenaica, lanciato un assalto contro i gruppi islamisti a Bengasi, cercò di sfruttare la situazione di progressiva instabilità della regione per sferrare il colpo decisivo al già debole e sempre più precario governo di Fayez al-Sarraj. 

A gennaio del 2019, il generale lanciò così un’offensiva con l’obiettivo di ottenere dapprima il controllo dei principali giacimenti petroliferi presenti nel sud del Paese e poi di conquistare la Tripolitania tutta. Haftar, al cui fianco si vedono schierati Emirati Arabi Uniti, Qatar, Egitto e Russia, si scontrò in una guerra di procura con il governo di Fayez al-Sarraj fiancheggiato dalla Turchia di Ergodan, suo principale alleato. Lo scontro tra le due frange terminò con la sconfitta e conseguente ritirata di Haftar, e questo innescò la sua inevitabile parabola discendente. 

E arriviamo a oggi. 

Libia: notizie dell’ultima ora

Notizia dell’ultima ora è che le candidature di entrambi i protagonisti di questa storia siano state momentaneamente respinte dall’Alta Commissione Elettorale libica. A questa notizia hanno fatto seguito i ricorsi presentati dai rispettivi entourage, a dimostrazione del fatto che a prescindere che le elezioni si tengano o meno Khalifa Haftar e Saif Gheddafi hanno già segnato un punto, mostrando come il diritto internazionale si possa piegare al processo di transizione politica del Paese. 

In un Paese come la Libia, con la sua storia, i suoi intrighi e i suoi personaggi, sarebbe forse il caso di chiedersi a chi giovino queste elezioni e soprattutto che cosa ci raccontino. Sono forse la premessa per la recrudescenza di scontri mai sanati? Un tentativo dell’Europa di dare seguito o dimostrazione del fatto che il percorso intrapreso a garanzia della stabilità libica prosegua? Oppure l’ennesimo tentativo di trovare un padrone a una terra che forse vuole rimanere di nessuno?

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