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Robert Cornish – John Wayne Gacy
Situata ai piedi del monte Fuji in Giappone, Aokigahara, conosciuta anche come Jukai (letteralmente “mare di alberi”) è una foresta di trentacinque chilometri quadrati. Essa si formò dopo l’eruzione del monte Nagaoyama, un vulcano parassita del Fuji, nell’anno 864. Aokigahara è composta da rocce laviche, caverne ghiacciate e fitti alberi e arbusti. Questi fermano l’azione del vento, rendendo la foresta silenziosa in modo surreale.
Appare come un luogo quasi inaccessibile ed è meta di turisti ed escursionisti, che per evitare di perdersi, utilizzano nastro adesivo e il metodo “del filo di Arianna” per segnare il percorso. Questo luogo è però tristemente conosciuto per essere stato teatro di numerosi suicidi.
I suicidi
La foresta di Aokigahara è il luogo in cui si verifica il numero maggiore di suicidi in Giappone, seconda solamente dopo il Golden Gate Bridge a San Francisco, negli Stati Uniti. Le statistiche documentano che dal 1950 si sono verificati una media di trenta suicidi all’anno. Nel 2003, centocinque persone si sono tolte la vita. Da allora, il governo giapponese ha smesso di rendere note le statistiche per non far associare la foresta al suicidio.
L’apice dei suicidi si verifica nel mese di marzo, che coincide con la fine dell’anno fiscale in Giappone, riconducendo questi gesti a motivazioni economiche. I mezzi più usati per togliersi la vita sono l’impiccagione o l’overdose.
All’ingresso della foresta, è possibile trovare cartelli in varie lingue che recano scritte come «La tua vita è un prezioso dono ricevuto dai tuoi genitori» oppure «Per favore, rivolgiti alla polizia o a un medico prima di commettere un suicidio» per scoraggiare il gesto estremo. Inoltre, dagli anni Settanta, è stata istituita una particolare ronda per la ricerca e la rimozione dei corpi.
Nei media
La foresta di Aokigahara è molto nota nei media. Il romanzo del 1960 Nami no tō di Seichō Matsumoto narra le vicende di due amanti, che finiscono entrambi suicidi nella foresta. Già dal XIX secolo vi sono però testimonianze dei suicidi nella foresta. Nell’antico Giappone esisteva una pratica denominata ubasute, letteralmente “abbandonare una donna anziana”. Essa consisteva nel lasciar morire di sua spontanea volontà un membro anziano o infermo della famiglia, spesso in caso di carestia o siccità, per non pesare sui membri giovani della famiglia. Le testimonianze riportano che proprio la foresta di Aokigahara venisse scelta per questo abbandono. Nella tradizione nipponica, gli spiriti dei poveri abbandonati si trasformavano in yūrei (“spiriti arrabbiati”), che si dice infestino ancora la foresta. Non mancano poi leggende riguardanti spirti di alberi malvagi, che imitano le voci dei defunti e impediscono ai visitatori di uscire dalla foresta.
Il film del 2015 La foresta dei sogni (The Sea of Trees), diretto da Gus Van Sant, racconta la vicenda di un uomo statunitense che si reca a Aokigahara per togliersi la vita e di un uomo giapponese con le stesse intenzioni che si incontrano proprio in quel luogo. Nel film del 2016 Jukai – La foresta dei suicidi (The Forest), una ragazza viaggia fino a Aokigahara, per ritrovare la sorella gemella.