Le software house e lo sfruttamento dei dipendenti

Le aziende produttrici di videogiochi non sempre sono state sotto i riflettori, prese sottogamba nel periodo in cui il mondo videoludico non era considerato un vero e proprio mercato di cui parlare. In passato era facile sentir parlare di quanto guadagnasse una software house ma raramente venivano analizzate le tempistiche di creazione di un videogioco, il perché ci fossero enormi differenze tra una software house e l’altra e quali fossero le condizioni di chi, per l’appunto, si occupava della creazione di questi prodotti.
È bastato iniziare a fare qualche ricerca per scoprire come il mondo dei videogiochi non sia poi così roseo come si possa immaginare e sia, come altri settori, portatore di molte ingiustizie.

Rockstar e gli orari massacranti dei suoi dipendenti

Rockstar è da sempre conosciuta per essere una software house di successo, produttrice di videogiochi diffusi in tutto il mondo come GTA e Red Dead Redemption ha sempre fatto parlare di sé in maniera positiva. Nel 2018, però, è bastata una semplice intervista per far sì che si diffondesse a macchia d’olio una consapevolezza che era stata taciuta per parecchio tempo.

Dan House, il co-fondatore, in un’intervista del 14 ottobre 2018 con il New York Times ha affermato che per la realizzazione del famosissimo sequel Red Dead Redemption II è stato necessario ricorrere a misure estreme, a causa della vastità di contenuti del videogioco, ed è così che ha parlato di come i dipendenti Rockstar siano stati costretti a lavorare cento ore a settimana per poter portare a termine un progetto molto più grande di quanto avessero creduto. Lo stesso House ha poi cercato di ritornare sui propri passi, affermando di star parlando soltanto del Team Design e che si stesse riferendo solo alle ultime settimane di lavoro, ma le sue parole si son diffuse velocemente e da lì ha iniziato a diffondersi la voglia di saperne di più.

La stessa Rockstar ha provato a passar sopra le parole di House, aprendo i propri social ai dipendenti, in dimostrazione della correttezza delle proprie azioni, ed in effetti nessuno dei lavoratori ha parlato di turni che arrivassero a cento ore settimanali ma molti hanno affermato di lavorare tra le 55 e le 60 ore a settimana e che fosse loro richiesto di lavorare sia nei weekend che di notte, senza ovviamente ottenere alcun pagamento straordinario.

Nel vano tentativo di tornare sui propri passi Rockstar ha comunque aperto una visione su un mondo fatto di orari massacranti, richieste un po’ fuori dal normale e dipendenti restii ad ammettere la verità sulle proprie condizioni.

Lo stress causato dal “crunch lavorativo”.

Il “crunch lavorativo” e le motivazioni delle software house

Con la fuga di notizie interne alla gestione delle software house si è diffuso un nuovo termine, ad oggi molto utilizzato, ovvero il crunch lavorativo. Crunch significa letteralmente “scricchiolare”, mentre Crunch Time sta per “momento critico” e la traduzione non letterale dei due termini è “condizioni di lavoro massacranti”.

Questo termine ha iniziato a diffondersi negli ambiti delle software house quando si è scoperto che la maggior parte del dipendenti era costretta a lavorare ben oltre le richieste contrattuali e costituzionali, con una prassi di almeno dieci ore giornaliere, ovvero di cento ore settimanali.
Il crunch lavorativo sembra essere tipico delle grandi produzioni. Quando il team di lavoro è molto numeroso e i budget sono altissimi vi sono delle aspettative altrettanto alte e ci si ritrova a dover rispettare delle tempistiche a volte quasi irreali. Come è stato reso noto, lo sviluppo di un videogioco è imprevedibile ed è spesso soggetto a dei ritardi: non sempre un’azienda può far fronte agli imprevisti e spesso è costretta a prendere delle decisioni. Una di queste potrebbe essere quella di ritardare l’uscita del videogioco in produzione per poter così riorganizzare il lavoro e non creare disagi all’interno del proprio organico.

Un esempio reale è quello di The Last Of Us 2. Naughty Dog, la software house responsabile della creazione del videogioco, si è ritrovata costretta a posticipare l’uscita del gioco per evitare un crunch lavorativo, dimostrandosi meritevole di lode in quanto non ha costretto i propri dipendenti a lavorare più di quanto richiesto ma ha preso del tempo per riorganizzare l’organico e riuscire a far fronte alle modifiche per poi portare all’uscita un gioco completo e degno del rinvio.

L’alternativa all’imprevedibilità di un videogioco è quella di ricorrere al crunch lavorativo, portando i lavoratori ad aumentare le ore di lavoro richieste, chiedendo straordinari spesso non pagati e aumentando la loro produttività il più possibile per far sì che il prodotto venga pubblicato entro la data d’uscita ufficiale. Questo porta ovviamente a un peggioramento anche dal punto di vista fisico di ogni lavoratore, messo sotto stress e incapace di prendere le necessarie pause dal proprio lavoro.

Bisogna anche affermare che molte delle software house più piccole, al passaggio a un organico maggiore, a una produzione più alta e quindi alla trasformazione da piccole a grande aziende, subiscono un insieme di imprevisti che portando al bivio di cui sopra: rinvii di pubblicazione o crunch lavorativo? Per una piccola azienda non è facile gestire produzioni di successo e non è altrettanto semplice riuscire a reintegrare l’organico a progetto ormai avviato. È sicuramente molto più difficile per una piccola azienda diventata grande gestire i propri dipendenti, ritrovandosi spesso e volentieri con l’acqua alla gola, ma è più frequente che siano proprio le grandi a aziende a essere vittime del crunch lavorativo.


È noto come, nel mondo della produzione videoludica, i dipendenti cambino a seconda della fase della produzione. Si inizia con i designer, coloro che si occupano della prima parte della realizzazione di un titolo. Queste figure vengono man mano ridotte per far spazio ad altre ancora che si occuperanno di diverse parti di realizzazione: nel caso di ritardi, di errori e di cambiamenti all’ultimo minuto non è affatto facile trovare nuova forza lavoro poiché formare nuove figure in corso d’opera richiederebbe una quantità di tempo ancora maggiore.
Tutto questo, ovviamente, non va a giustificare le scelte discutibili delle software house che, in alternativa al crunch lavorativo, possono sempre scegliere di ritardare l’uscita delle proprie pubblicazioni, consce che qualsiasi affezionato accetterà di aspettare del tempo in più per avere un prodotto migliore e maggiormente curato.

Activision/Blizzard e le numerose denunce a suo carico

Nel 2021 la notizia di numerose denunce a carico della software house Activision/Blizzard ha portato a galla moltissime problematiche legate al crunch lavorativo e non solo. L’azienda è stata denunciata dai propri dipendenti per sfruttamento, abusi, discriminazioni e molestie. A questo è seguita la consapevolezza che soltanto i pochi raccolgono i frutti del successo mentre i molti, la forza lavoro, vengono penalizzati e subiscono uno sfruttamento che viene considerato un male necessario. Al fine di portare a termine un lavoro, di sopravvivere e di aumentare gli incassi, sembra che alcune aziende si permettano di avere dei comportamenti illegittimi poiché fanno prevalere le leggi di mercato su quelle costituzionali.

Dalle accuse rivolte ad Activision sono venuti fuori numerosi altarini che hanno portato l’azienda a numerosi licenziamenti prima che essa venisse inglobata da Microsoft/XBox. Molte dipendenti hanno testimoniato contro uomini che hanno commesso molestie nei loro confronti e hanno anche affermato di aver subito delle istigazioni al suicidio, con annessa condivisione di loro foto intime tra colleghi di sesso maschile. Ovviamente Activision/Blizzard ha preso le distanze da questi atteggiamenti, prendendo immediatamente provvedimenti, ma la fuga di notizie è stata troppo veloce e ha portato a numerose indagini e a uno sciopero generale dei dipendenti per avere condizioni lavorative migliori e per ridurre gli abusi.

Si è inoltre scoperto, in merito alla produttività di Activision/Blizzard che ai tempi delle accuse il personale femminile fosse soltanto il venti per cento e che ricoprisse dei ruoli molto marginali: l’ennesimo segno di una discriminazione sessuale di cui l’azienda ha dovuto rispondere.

I ritmi incessanti a cui sono sottoposti i dipendenti delle software house.

Steam e la ricerca di “volontari”

Nel 2022, oltre al crunch lavorativo e alle varie problematiche discriminatorie venute fuori, si è scoperto che esiste un ulteriore modo in cui le software house cercano di sopperire ai costi di produzione e alla mancanza di tempo a disposizione. Steam, una delle aziende più famose di distribuzione e gestione di videogiochi, è stata aspramente criticata per aver utilizzato dei volontari non pagati per produrre l’attesissimo The Day Before. Secondo l’azienda, i volontari hanno due tipi di contratto: il full time, che viene regolarmente retribuito, e il part time, che viene retribuito con delle certificazioni e dei codici gratuiti a disposizione dei singoli volontari. La giustificazione della software house non convince i molti che considerano quello dei volontari un lavoro del tutto gratuito e che sostengono che non si può lavorare gratis, soprattutto per un’azienda così importante.

Era già accaduto, in passato, che l’azienda fosse coinvolta in controversie simili. In occasione dell’uscita di Mechwarrior 2: Mercenaries aveva chiesto ad alcuni volontari di fare dei beta test, senza ovviamente dare loro alcuna retribuzione o fare una citazione in merito.

A differenza di aziende come Blizzard, che ai volontari hanno richiesto di testare il gioco in uscita, inviando ai fan delle copie gratuite del loro titolo preferito, come Overwatch 2, ci sono software house che richiedono azioni come la localizzazione e la gestione della comunità che vengono considerate a tutti gli effetti “lavoro” e “responsabilità” e che andrebbero sicuramente retribuite. Anche questa, nel suo piccolo, è l’ennesima discriminazione nell’ambito delle software house.

Le software house irlandesi e le problematiche nel 2022

A causa delle varie lamentele emerse negli ultimi anni, i controlli sulle condizioni lavorative nelle software house sono aumentati. Proprio di recente si è notato come le industrie di videogiochi irlandesi siano sature di lavoratori a bassa retribuzione e con contratti non sicuri.
Il Game Workers United, un’organizzazione indipendente che riunisce i professionisti e cerca di dare supporto ai lavoratori americani ed europei, aveva già fatto un sondaggio a riguardo nel 2020 che ha mostrato come:

  • il 64 per cento dei dipendenti ha una bassa retribuzione;
  • il 17 per cento risulta avere dei pagamenti mancati;
  • il 45 per cento ha a carico degli straordinari non pagati.

Inoltre ha rilevato nuovamente del crunch lavorativo, con un lavoro settimanale che va dalle sessanta alle settanta ore, mostrando anche come il 62 per cento dei lavoratori non ha contratti sicuri mentre il 55 per cento sta vivendo nella “cultura della crisi”.

Da ciò si evince come non ci sia trasparenza per quanto riguarda la regolamentazione dei lavoratori nelle software house e che gli stessi dipendenti hanno paura di parlare delle loro retribuzioni, probabilmente per quello che possiamo considerare un sistema “coercitivo” basato su un cameratismo tossico che porta coloro i quali vogliono alzare la testa a sentirsi in difetto e a preferire il silenzio a una lamentela che potrebbe costare cara lavorativamente parlando.

Nel 2022 la Global Union ha redatto un nuovo sondaggio, stavolta in ventinove Paesi, e sono emersi ulteriori dati preoccupanti:

  • il 66% dei dipendenti ha una bassa retribuzione;
  • il 43% ha degli orari di lavoro massacranti e riceve dei benefici inadeguati;
  • il 35% subisce discriminazioni e/o molestie;
  • il 79% richiede una sindacalizzazione del lavoro.

Tutto quello che si evince da questi sondaggi e dalle varie dichiarazioni da parte di lavoratori di grandi aziende è che il lavoro nelle software house risulta ingiusto, disuguale e insostenibile per alcuni lavoratori, come afferma Christy Hoffman, segretario generale di Global Union.
È proprio questo il motivo per cui i dipendenti, a gran voce, richiedono la sindacalizzazione e la regolamentazione di un lavoro che sembra quasi essere quello dei sogni di molti ma che, nella realtà, risulta davvero troppo dispendioso in fatto di energie e spesso e volentieri anche irrispettoso.

Lavorare nelle software house non è sempre come sembra.

Le possibili soluzioni

Non è ancora chiaro quali possano essere le soluzioni a un mondo lavorativo che porta con sé gli effetti di numerose problematiche taciute da tempo ma sono stati ipotizzati alcuni suggerimenti alquanto semplici da seguire, che coinvolgono tutti i soggetti di una software house.

Innanzitutto, la creazione di sindacati degli sviluppatori aiuterebbe i dipendenti delle aziende produttrici ad avere un maggiore sostegno e una figura a cui rivolgersi in caso di sfruttamento e di discriminazioni. I sindacati potrebbero iniziare a difendere i diritti dei lavoratori e a cercare un modo ottimale per risolvere le controversie con le aziende che dovranno, però, impegnarsi a loro volta nel risolvere le problematiche di crunch lavorativo e di discriminazioni sul posto di lavoro.

Oltre alle figure interne alle software house anche quelle esterne potrebbero impegnarsi nel far sì che questo fenomeno venga combattuto: i giornalisti potrebbero dare spazio alle parole dei lavoratori, sensibilizzando il pubblico ai problemi che questi vivono ogni giorno, e lo stesso pubblico di videogiocatori potrebbe cercare di supportare i dipendenti, spingendo le aziende a regolamentare un ambito lavorativo pieno di lacune e accettando i ritardi in cambio di orari lavorativi molto più umani di quelli attualmente utilizzati per creare un videogioco.

Alcune figure interne alle software house hanno, invece, provato delle vie alternative. Ken Levine, fondatore di Irrational Games, nonostante il successo ottenuto grazie al lavoro effettuato per creare Bioshock, uno dei videogiochi di punta della software house, ha sperimentato sulla propria pelle uno stress eccessivo a causa della gestione di team dislocati, della ricerca di finanziamenti adatti e del sostenimento di un marketing molto pressante, decidendo così di abbandonare la Irrational Games per aprire una nuova compagnia molto più piccola: la Ghost Story.

Il mondo delle software house non è così roseo come spesso si immagina, ma pieno di disagi per i molti e di eccessivi guadagni per i pochi. Esso, come molti settori attualmente riconosciuti, subisce le conseguenze di un mondo non ancora preparato a gestire situazioni di forte stress e incapace di regolamentare situazioni imprevedibili, e proprio per questo motivo necessita maggiori attenzioni e, oltre a soluzioni concrete, una maggiore pubblicizzazione di quello che è il suo lato più nascosto.

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