Bad to the bone: i cattivi (o presunti tali) della NBA

I Playoff NBA sono la massima espressione della pallacanestro professionistica mondiale, e contestualmente il luogo dove i migliori giocatori del mondo si sfidano per l’ambito anello di campione, mostrando al mondo il loro talento e la loro capacità di giocare di squadra; qui è dove squadre e singoli costruiscono la loro fama sportiva e trovano il loro posto nella storia di questo sport, fosse anche per una singola partita.

Nel corso dei Playoff di quest’anno, tuttavia, è tornato prepotentemente alla ribalta un problema che ciclicamente genera infinite discussioni e acredine fra addetti ai lavori e tifosi, ovverosia quello della sottile linea che separa un difensore, magari rude ma corretto, da un macellaio collezionista di malleoli. Il casus belli è stato il famigerato intervento di Zaza Pachulia su Kawhi Leonard nella serie fra Golden State Warriors e San Antonio Spurs, che ha infortunato gravemente la caviglia della stella nero-argento ponendo una grave ipoteca sul prosieguo della serie per la squadra texana.

In uno sport che si gioca con le mani, è palese come il giocatore in attacco sia fortemente avvantaggiato rispetto al difensore, così come è palese che – in uno sport di cui il contatto fisico è una componente intrinseca – la difesa sia fatta sì di tecnica individuale e fondamentali, ma anche e soprattutto di concentrazione, durezza mentale e cattiveria. Se a questo aggiungiamo anche il bacino di provenienza della maggior parte dei giocatori NBA – ovvero situazioni familiari ed economiche abbastanza disagiate – otteniamo un certo tipo di approccio alle varie fasi della partita.

Lasciando in sospeso il giudizio sull’intervento di Pachulia – visto che non si avrà mai la certezza dell’effettiva volontarietà del gesto, né se abbia effettivamente cambiato il risultato della serie – l’attenzione si sposta sull’ondata di sdegno che è seguita sui social e sui media classici. Gli addetti ai lavori ed i tifosi hanno calcato fortemente la mano sulla presunta scorrettezza del giocatore, per l’innaturalezza del gesto e la sua fama di giocatore duro all’interno della NBA, accostandolo ad una serie di atleti che hanno fatto della difesa aggressiva e asfissiante  il loro marchio di fabbrica.

Ma è realmente così? O sono invece solo il contesto  e il nome del giocatore stesso  a indirizzare il giudizio di media e tifosi? Per cercare di fare luce sulla questione si andranno a prendere in esame dei giocatori la cui percezione presso il grande pubblico non è esente da qualche difetto.

L’articolo completo è disponibile sul nostro magazine alle pagine 36-39.

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