India vs. Cina: the clash of the titans

La Cina, in quanto potenza in espansione, va inevitabilmente a cozzare contro altre forze in campo. Essendo terminato il periodo storico in cui sul pianeta esistevano ancora delle res nullius, il processo di espansione comporta inevitabilmente degli attriti con altri stati. È il caso di quel complesso di paesi le cui spiagge sono bagnate dal Mar Cinese Meridionale e che subiscono continuamente le rivendicazioni di Pechino sull’estensione delle proprie acque territoriali. Questo è probabilmente il caso più importante e che suscita un maggior numero di preoccupazioni tra i commentatori internazionali, considerando che attraverso quello specchio d’acqua passa circa un terzo del commercio marittimo mondiale. Ma non è l’unico caso: ne esiste un altro che, in potenza, rischia di scatenare conseguenze molto più gravi in quanto coinvolge direttamente altre due potenze con capacità atomiche, ovvero Pakistan e India.

Le direttrici di espansione cinesi si dipanano essenzialmente lungo due assi e mezzo, che sono strettamente legate all’ambito commerciale. Le questioni legate al Mar Cinese Meridionale sono collegate a doppio filo alla volontà di proteggere la rotta marittima che porta verso i mercati europei attraverso la porta d’ingresso dell’Oceano Indiano. Il “mezzo asse” è un progetto in divenire e legato alle trasformazioni dovute ai cambiamenti climatici che individua un’alternativa alla rotta indiana nella rotta artica verso i mercati europei: a tale scopo, Pechino sta favorendo l’immigrazione cinese in Siberia. La rotta che interessa maggiormente questo articolo è tuttavia la terza.

La Cina, infatti, sta cercando di ricreare una sorta di via della seta terrestre che sia in grado di spostare le merci dal celeste impero al vecchio continente nel modo più rapido possibile: per farlo ha individuato una serie di metodi di trasporto multimodali (quindi in grado di utilizzare più forme di transito: su gomma, su rotaia e via dicendo) per creare un asse solido, che però non può prescindere dai paesi su cui passa il nuovo asse viario. Tra questi paesi vi è il Pakistan, acerrimo nemico dell’India e con il quale Nuova Delhi presenta diversi punti di attrito, primo tra tutti il Kashmir, regione montuosa di confine al momento sotto sovranità indiana, che i due paesi si contendono dall’indipendenza, con alcune rivendicazioni avanzate dalla stessa Cina.

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L’espansione cinese avviene anche per mare, costringendo l’India ad un’attenzione particolare ai rapporti con il sudest asiatico

Mentre sembra che Pechino e Islamabad abbiano trovato una certa compatibilità tra i propri interessi nella regione, il discorso è molto diverso per quanto riguarda Nuova Delhi, che in passato occupò militarmente la regione dopo le richieste del maharaja del Kashmir (di religione induista) a Lord Mountbatten (vicerè dell’India e facente funzioni di Sua Maestà britannica) di far rimanere la regione sotto l’Unione Indiana, diventandone così il venticinquesimo stato, il Jammu-Kashmir. La regione, a maggioranza musulmana, venne quindi divisa in due, divenendo teatro di schermaglie tra i due eserciti dai tempi dell’indipendenza fino ai giorni nostri, con una particolare recrudescenza dopo il 1989 dovuta anche al rinnovato interesse cinese nella regione.

La cooperazione tra Pechino ed Islamabad si dispiega su più livelli: in primis quello militare, con esercitazioni congiunte e vendita di materiale bellico e sistemi d’arma al Pakistan. L’India, dal canto proprio, si vede attaccata da due potenze nucleari su due fronti: quello nordorientale e quello nordoccidentale. Altro ambito in cui vi è una forte cooperazione tra i due paesi è quello economico: per la Cina, infatti, il Pakistan è anche un territorio di transito per le merci in entrata e in uscita dall’Africa, che Pechino sta progressivamente portando nel proprio alveo economico sia come colonia di sfruttamento che come mercato di assorbimento della propria offerta produttiva.

Lo schierarsi della Cina a fianco del Pakistan nel conflitto del Kashmir non è dovuto solo ed esclusivamente a questioni legate alla sfera economica, ma anche a quella della proiezione della propria forza sull’Himalaya, regione di confine di notevole importanza sia economica che strategico-militare. L’importanza del tetto del mondo per Pechino si nota anche grazie ai plurimi tentativi (di scarso successo, i polmoni dei coloni non sopportano a lungo l’aria rarefatta di quei luoghi) di colonizzazione del Tibet e l’insediamento di popolazioni di etnia Han sull’altopiano tibetano. I punti d’attrito tra Cina e India sono molteplici e uno tra questi è rappresentato da un piccolo staterello che come confinanti ha solo questi due giganti: il Bhutan. Questa piccola monarchia costituzionale ha tratti decisamente particolari: ad esempio, non vi viene calcolato il PIL, bensí la felicità interna lorda, e sono presenti una capitale estiva ed una invernale (Thimpu e Punakha). La famiglia reale si trasferisce da una città all’altra a seconda della stagione.

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Il Bhutan è stretto tra India e Cina: un paese caratteristico e molto piccolo è l’ago della bilancia di questo scontro.

Il Bhutan ha una contesa territoriale aperta con la Cina: il Doklam (dai cinesi detto Donglang), è una regione di confine tra i due paesi in cui l’esercito popolare cinese sta costruendo una strada che parte da Dokala, attraversa la zona, e si dirige verso il campo dell’esercito bhutanese presso Zompelri. Questo, secondo Thimpu, è una chiara violazione degli accordi presi dai due paesi nel 1998 e nel 1988 secondo i quali i due paesi si sarebbero impegnati a mantenere le aree contese sgombre da ogni possibile attività o costruzione di infrastruttura. Il Bhutan ha pregato quindi l’India di intervenire in supporto delle forze bhutanesi, e la replica di Nuova Delhi è stata positiva.

Pechino, tuttavia, ha subito eccepito che l’intervento indiano era in palese contrasto con l’accordo sottoscritto tra Cina e Regno Unito nel 1890 e che determinava i confini tra Sikkim e Tibet, identificandoli nella cresta della catena montuosa che separa gli affluenti del Teesta (in India) e del Mochu (in Cina). Sempre secondo il trattato firmato a Calcutta, tale linea di demarcazione inizia dal monte Gimpochi e segue le divisioni fino al punto in cui inizia il Nepal. Stando così le cose, l’India avrebbe seriamente invaso un pezzo di Cina, ma considerando la regola dello spartiacque e non il Gimpochi, il confine bhutanese inizierebbe più a nord, rendendo de jure lecita l’azione indiana. Essendo le fonti di diritto confuse, Pechino ha deciso di irrobustire le proprie mire su quel territorio dichiarando che l’area è cinese da sempre e bloccando contestualmente il passaggio verso il monte Nathula, considerato sacro da indù e buddhisti che vi si dirigono dall’India in pellegrinaggio.

Nuova Delhi vive con timore lo sviluppo della faccenda: il Doklam sovrasta il corridoio Siliguri, una striscia di terra indiana che porta dal subcontinente indiano alla sua propaggine orientale aggirando il Bangladesh, per sfociare nella propaggine orientale dell’India, composta da sette regioni (Sikkim, Assam, Arunachal Pradesh, Meghalaya, Manipur, Tripura e Mizoram). L’invasione di questa regione da parte cinese è difficile a causa della natura del territorio, ma le regioni orientali risultano essere un nervo scoperto che Nuova Delhi intende proteggere ad ogni costo.

Le dispute tra Cina e India trovano le proprie radici nel 1914 con l’accordo di Simla, siglato tra il Tibet, la stessa Cina e il Regno Unito. Il documento definiva i confini tra i tre stati, affidando l’U-Tsang e il Kham occidentale al governo di Lhasa, che diventava un protettorato di Pechino, con quest’ultima che riceveva l’Amdo e il Kham orientale. Pochi giorni dopo, il plenipotenziario cinese rigettò l’accordo e Regno Unito e Tibet si accordarono bilateralmente, con l’istituzione della linea MacMahon che definiva il confine tra Tibet e Regno Unito.

Nel 1950, grazie all’impugnazione dell’accordo del 1914, Mao invase e annesse il Tibet, con il governo di Lhasa e il Dalai Lama che si ritirarono presso Dharamsala con il benestare di Nuova Delhi. L’accoglienza indiana nei confronti di un governo in esilio che contestava la dominazione cinese sulla regione ha sempre disturbato moltissimo Pechino, che anche nei confronti degli altri paesi ha sempre cercato di applicare una certa pressione per impedire i viaggi della più alta autorità teocratica del Tibet all’estero.

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Nehru, presidente dell’India al momento della guerra con la Cina (1962)

Nel 1962 vi fu un conflitto durato un mese esatto che vide diverse azioni militari da una parte e dall’altra, con oltre duemila morti. In quegli stessi giorni stava anche avvenendo la crisi dei missili di Cuba. L’offensiva cinese ebbe successo, e nel giro di pochi giorni il fronte avanzò di sedici chilometri. Il conflitto venne ricomposto con la definizione della LAC (Line of Actual Control), che però non è stata mai considerata come un confine vero e proprio, generando un’ulteriore sequela di attriti tra i due paesi: l’Aksai Chin andò alla Cina e l’Arunachal Pradesh all’India.

L’India si trova accerchiata: a nordovest il Pakistan, a nordest la Cina, a sud lo Sri Lanka dove la Cina sta (con parecchie difficoltà) investendo sempre di più per tirare a sé Colombo e completare l’accerchiamento. Per contrastare la Cina, il premier indiano Narendra Modi sta cercando attivamente l’appoggio degli Stati Uniti, forte dell’identità di vedute sulle attività di Pechino. In tale ottica devono essere viste le esercitazioni navali tra India, Stati Uniti e Giappone. La costante opposizione indiana ai progetti infrastrutturali cinesi, tuttavia, potrebbe rivelarsi una scelta sbagliate per Nuova Delhi, che rischierebbe di vedersi aggirata dalle linee di proiezione cinesi senza raccoglierne i vantaggi politici ed economici.

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