La primavera di Natsume Sōseki

Natsume Sōseki è considerato il padre del romanzo moderno nipponico. Un autore molto conosciuto in patria, ma tristemente meno noto in occidente, dove è stato negli ultimi anni ripubblicato e rivisitato nelle traduzioni. Anche in Italia sono stati ristampati i grandi capolavori di Sōseki, ma anche le sue opere più piccole o comunque meno celebri. Tuttavia l’autore giapponese rimane ancora molto poco conosciuto, soprattutto nel nostro paese, data la sua mentalità profondamente ancorata alla tradizione del medioevo nipponico, un modo di vedere il mondo, l’arte e la letteratura molto contorto da approcciare da parte degli occidentali. Ciò ovviamente non esclude, a chi decida di dedicare il suo tempo leggendo uno dei suoi romanzi o una delle molte raccolte di racconti e poesie, di immergersi negli scenari primaverili e fiabeschi di Sōseki, capaci di distorcere la realtà e creare una dimensione di pace e sollazzamento artistico.

Biografia

Natsume Sōseki nasce il 9 febbraio 1867 a Edo, nome antico della città di Tokyo, con il nome di Natsume Kinnosuke. Il suo profondo interesse per la letteratura nasce a quindici anni, interessandosi alla letteratura cinese. A diciassette anni entra all’università di Tokyo per studiare architettura su spinta del padre; nel frattempo inizia lo studio della lingua inglese. Nel 1887, tre anni dopo, incontra e diventa amico di Masaoka Shiki che lo introduce alla poesia haiku e lo spinge a scrivere. È in questo periodo, con le prime piccole composizioni poetiche, che Natsume adotta il nome Sōseki, un idioma cinese che significa ‘testardo’. Dopo la laurea si sposa e insegna in diverse scuole secondarie sino il 1900, quando viene invitato dal governo giapponese a essere il primo giapponese a studiare letteratura inglese in Inghilterra. Scriverà dei suoi tre anni a Londra come «i peggiori della mia vita, costretto a vivere come un cane tra i gentiluomini inglesi». Visse in condizioni tendenti al miserabile, costantemente chiuso nello studio della letteratura inglese, sfiorando la pazzia. Conclusi gli studi in Inghilterra torna in Giappone, dove divenne presto detentore della cattedra di letteratura inglese all’università di Tokyo. In questo periodo pubblica il suo primo romanzo e uno dei suoi più grandi successi, Io sono un gatto. Lascia poi l’insegnamento per dedicarsi completamente alla scrittura, sino la sua morte nel 1916 a quarantanove anni. Nonostante la morte a nemmeno cinquant’anni Sōseki ha lasciato ai posteri una bibliografia di grandi dimensioni, non avendo mai interrotto la sua produzione letteraria dall’età universitaria sino alla sua morte, lasciando perfino alcuni lavori incompleti. Dato il grande numero di romanzi, racconti e poesie possiamo delineare un profilo della poetica e del pensiero di Sōseki, che ha mantenuto col passare degli anni una filosofia pressoché invariata (tranne per un pessimismo, comunque già presente in giovane età, sempre più rovinoso con l’avanzare degli anni). Il suo stile e le sue idee sono riassumibili in poche, emblematiche parole, onnipresenti nelle sue narrazioni e nelle sue fantasie.

Sorriso

Il primo romanzo mai pubblicato da Natsume Sōseki, Io sono un gatto (Wagahai wa Neko de Aru in originale) viene generalmente considerato un romanzo umoristico, ma l’autore non dichiarò mai che fosse quello l’intento primario dell’opera. Il libro tratta delle disavventure di un gatto pensatore adottato dalla tipica famiglia giapponese dei primi del Novecento che sono, di fatto, esilaranti, ma l’opera non si concentra, o basa la propria narrazione, sulla risata del lettore. Molti dei lavori di Sōseki hanno una sfumatura ironica e irriverente, ma si tratta appunto di una sfumatura al corpo principale del lavoro. Sōseki dipinge scenari e avvenimenti buffi e piacevoli, ma mai esagerati: non vedremo mai i suoi personaggi in situazioni eccessivamente volgari o imbarazzanti, ma piuttosto in disguidi o coincidenze tranquille, che provocheranno ai lettori un mezzo sorriso.

Ombre

Sōseki gioca moltissimo sul contrasto tra il dì e la notte, contrapponendo stati d’animo nettamente opposti nei suoi protagonisti durante le due parti del giorno. La notte non porta terrore o immagini raccapriccianti, ma una inquietudine che attira personaggi e lettori a investigare. L’attrazione per l’occulto e l’ignoto è una caratteristica tipica di ambo le letterature occidentali e orientali, e in Sōseki spesso vediamo momenti essenziali delle narrazioni svolgersi di notte. Il sentimento che avvolge i cuori di chi rimane ipnotizzato dalle ombre, però, non è considerabile “attivo”, ma più “passivo”. Siamo appunto trascinati, insieme ai protagonisti, da questa forza oscura che è l’ignoto, senza vero controllo delle nostre emozioni e, nel caso dei personaggi, delle nostre azioni; in questo modo Sōseki ci intrappola in un mondo intrigante ma pur sempre cupo, non avendo noi il controllo di ciò che ci accade.

Futuro

«Niente come il treno è adatto a rappresentare la civiltà del ventesimo secolo […] Niente come il treno insulta di più la personalità».

Sōseki visse tra la seconda metà del diciannovesimo secolo e i primi due decenni del ventesimo, che corrispondono al periodo Meiji in Giappone e alla mastodontica opera di Rinnovamento culturale nel paese del sol levante. Fino agli anni Cinquanta dell’Ottocento infatti il Giappone era rimasto pressoché isolato dal resto del mondo, eccezion fatta per una singola colonia olandese. Questa chiusura si scontrò però con gli interessi dell’impero britannico, degli Stati Uniti e della Russia, che forzarono l’apertura del Giappone al resto del globo. Così finisce l’era degli shogun, i capi militari che avevano messo da parte la figura dell’imperatore e assunto ogni potere, e ritorna la figura del sovrano al centro della società giapponese. Lo scrittore nipponico vide nel Rinnovamento, e negli ultimi anni in particolare del periodo Meiji, la fine dell’umanità stessa dei giapponesi. La modernità e le influenze occidentali hanno, per l’autore, corrotto la tradizione nipponica e capovolto l’animo dei connazionali. Sōseki riteneva il mondo occidentale disordinato e caotico, ma affascinante. Non disdegnò mai i classici e fu un grande amante della letteratura inglese, ma ciò non cambiò la sua percezione dell’Occidente. Spesso Sōseki critica, in brevi ma chiare affermazioni, gli errori della società occidentale, le sue malattie. Critica in particolare la società borghese, i suoi usi (lanciandosi perfino, in uno dei suoi romanzi più famosi, Guanciale d’Erba, in una grande filippica contro la cerimonia del té, ritenuta una finzione, tutt’altro che artistica, metodica e ridicola) e come ha plasmato il Giappone sulla dipendenza dal denaro.

Primavera

Sōseki
«La verde primavera due o tre mesi dura // segue una tristezza lunga come le erbe fragranti».

La stagione dei ciliegi in fiore rappresenta per Sōseki qualcosa di molto più significativo di un semplice arco temporale. La primavera è uno stato d’animo tipico degli artisti, distante da qualsiasi volgarità della vita. Chi si lascia andare alla poesia e alla pittura, le arti prime per Sōseki, non potrà che raggiungere uno stato di noncuranza e tranquillità; un pensiero molto simile a quello della filosofia zen. Sōseki spiega che raggiungere “la primavera” è necessario per vivere sereni, o perlomeno non in maniera infelice. Solamente abbandonandosi alla natura, ripudiando ciò che ci rende umani (e quindi diversi dall’universo che ci circonda), possiamo veramente raggiungere uno stato che ci viene negato dalla società.

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