Primi passi verso Brexit: sfuma l’EMA per Milano

Confini morbidi con l’Irlanda, pagamento di almeno 40 miliardi di euro come “conto del divorzio” e garanzia di diritti per i cittadini comunitari che risiedono nel Regno Unito. Questi sono stati gli accordi raggiunti lo scorso 8 dicembre sulla Brexit. L’approccio della premier inglese Theresa May è sembrato “morbido” in questa prima parte dei negoziati: tutti i punti decisi possono essere considerati delle vittorie da parte dell’Unione Europea. Uno dei due anni previsti per l’uscita definitiva del Regno Unito dall’Unione è già passato e le trattative non sono di certo a metà dell’opera. Il lavoro da fare è ancora molto e alcuni tra i temi più scottanti, come quello finanziario, non sono ancora stati toccati. La strada è per cui ancora lunga e la linea britannica non è ancora ben chiara: la May continua a oscillare tra una “hard Brexit” voluta dai più conservatori e una “soft Brexit” che le permetterebbe di tenere a bada l’ala più moderata del suo partito.

Mentre i negoziati procedono a rilento, i restanti membri dell’Unione cominciano a fare i primi passi pratici verso un’Europa a 27. Il primo passo è stato il voto sulla riallocazione delle due Agenzie Europee con sede a Londra, l’EMA e l’EBA: Amsterdam sarà la nuova sede dell’EMA, l’Agenzia europea del farmaco. La città olandese ha vinto al sorteggio finale dopo essere finita in parità con Milano. La decisione è stata presa a Bruxelles lo scorso 20 novembre, tramite il voto segreto dei 27 ministri degli Affari europei a margine del Consiglio Affari Generali (il rappresentante italiano è il sottosegretario Sandro Gozi). Le procedure di voto, durate circa tre ore, prevedevano fino a tre turni consecutivi di voto e la successiva eliminazione delle città meno votate.

Diciannove erano inizialmente i candidati in lizza. Molte città, tra cui anche Dublino, hanno deciso di ritirare la loro candidatura prima ancora dell’inizio delle votazioni. Al secondo turno sono passate Amsterdam, Milano e Copenhagen, mentre altre città date per favorite – come Bratislava – sono rimaste escluse. Al terzo turno, poi, Milano e Amsterdam hanno ottenuto gli stessi voti, ovvero 13. L’astensione del ministro slovacco, forse dovuta proprio al rammarico per l’esclusione di Bratislava al secondo turno, ha dunque fatto sì che si andasse al sorteggio, come previsto dalla procedura. La sorte ha premiato la capitale olandese.

Dopo l’annuncio della Brexit e l’avvio dei negoziati, la necessità di spostare le istituzioni europee con sede a Londra era diventata chiara. Punto strategico e spinoso delle contrattazioni, era una decisione obbligata e presa al di fuori delle vere e proprie trattative con la Gran Bretagna. Le due agenzie più importanti con sede nella capitale britannica erano proprio l’EMA e l’EBA (Autorità bancaria europea), assegnate rispettivamente ad Amsterdam e Parigi. La decisione poteva creare tensioni tra i 27 membri dell’Unione, data l’importanza politica ed economica delle due agenzie, ma tutto si è svolto secondo le procedure. Milano, nonostante fosse tra le favorite, non è stata purtroppo premiata dalla sorte.

Le reazioni degli esponenti politici italiani non hanno tardato ad arrivare. Il premier Gentiloni è stato tra i primi a esprimere il suo rammarico su Twitter: «Grazie a Milano e grazie a tutti coloro che si sono impegnati per EMA, nelle istituzioni e nel privato. Una candidatura solida sconfitta solo da un sorteggio. Che beffa!».

Parole di rammarico sono state espresse anche dal ministro della Sanità Beatrice Lorenzin, dal presidente dell’Agenzia italiana per il farmaco Mario Melazzini e ovviamente dalle due figure politiche che hanno lavorato di più alla candidatura di Milano: il sindaco Beppe Sala e il presidente della regione Lombardia Roberto Maroni.

Il primo cittadino di Milano aveva annunciato nel luglio 2016 la candidatura della sua città come nuova sede dell’EMA, confermata poi da una ”Intesa istituzionale di programma” tra il comune e il governo italiano. Milano era sicuramente la città italiana con più chances di essere scelta, considerata la sua vocazione internazionale e il fervente tessuto economico. Negli ultimi mesi, in collaborazione con la regione Lombardia, c’erano state diverse iniziative per promuovere la candidatura. La delusione è forte, ma la consapevolezza di aver fatto tutto il possibile per permettere alla città di arrivare tra le favorite lo è altrettanto. Milano ha comunque avuto l’occasione di mostrare le sue potenzialità.

Cos’è l’EMA e di cosa si occupa?

Attuale sede dell’EMA a Londra.

L’Agenzia europea del farmaco (European Medicines Agency) è una delle più importanti istituzioni dell’Unione. Fondata nel 1995, ha il compito di vigilare e valutare i farmaci messi in commercio nello spazio economico europeo. L’EMA non esegue direttamente test ed esami in laboratorio, ma rivede la documentazione fornita dalle case farmaceutiche, controllando che tutto il materiale rispetti i criteri fissati. Coordina l’attività delle aziende del settore e controlla la sicurezza dei farmaci messi in circolazione. Inoltre diffonde periodicamente informazioni in ambito medico, sia per quanto riguarda i medicinali, sia riguardo ai vaccini.

L’Agenzia è stata creata per ridurre la spesa che le case farmaceutiche dovevano affrontare per far approvare i loro farmaci da ogni stato Europeo. Impiega circa 900 persone e lavora tramite una serie di comitati scientifici che fanno capo a un Segretariato, formato da due membri per ogni stato membro, due commissari europei e due parlamentari. Il suo budget annuale è di circa 300 milioni di euro, il che la rende una delle più grandi e importanti nell’ambito europeo. Non è stato dunque solo il prestigio internazionale o la migliore posizione politica all’interno dell’Unione, ma anche – e soprattutto – il risvolto economico che ha spinto 19 stati membri a presentare la loro candidatura.

La città che ospiterà la nuova sede – Amsterdam, a questo punto -, trarrà un buon indotto economico dall’agenzia. Dovrà innanzitutto essere pronta ad accogliere circa mille dipendenti che avranno bisogno di immobili e sistemazioni per le proprie famiglie. Inoltre, i numerosi meeting e le conferenze che l’EMA organizza annualmente portano con sé migliaia di esperti e visitatori professionali che andrebbero a influire non poco sull’economia e sul turismo della città ospitante. Per l’Italia, dunque, avere la sede dell’EMA sul proprio territorio sarebbe stata un’ottima occasione per guadagnare prestigio all’interno del quadro europeo. Milano avrebbe inoltre avuto modo di sviluppare il suo tessuto economico e migliorare nella competizione con le maggiori città europee. La sorte non è stata favorevole in questo caso, ma è stata sicuramente l’occasione per dimostrare la competitività della città lombarda.

La premier britannica Theresa May, protagonista di Brexit.
La premier britannica Theresa May.

Brexit avrà molte conseguenze, alcune più incisive, altre meno. Sia sul campo politico che economico i cambiamenti saranno molti, ma le questioni più pratiche non possono essere ignorate. Con le trattative ancora in pieno corso e la Brexit da avviare, la decisione per la riallocazione delle agenzie europee potrebbe sembrare non urgente, ma un trasferimento del genere richiede tempo e pianificazione adeguata. Lo spostamento dell’Agenzia europea del farmaco e dell’Autorità bancaria non avverranno da un giorno all’altro. Il governo britannico ha più volte provato a chiedere che lo spostamento delle due agenzie fosse subordinato alle trattative in corso, ma ha sempre ricevuto risposte negative, non avendo alcun potere in merito. «Brexit means Brexit» ha tenuto a sottolineare il capo dei negoziati per l’Europa, Micheal Barnier, ripetendo le parole di Theresa May. Non c’è alcuna possibilità per il Regno Unito di rimanere parte integrante di queste agenzie e di mantenere le loro sedi nel proprio territorio. L’EMA (così come l’EBA) è una parte integrante dell’Unione Europea e i 27 paesi membri continueranno a sviluppare i loro programmi al suo interno, condividendo successi e costi. Nessun stato esterno potrebbe avere un ruolo senza essere parte dell’Unione.

Londra ha comunque tenuto a sottolineare che manterrà una stretta collaborazione con Bruxelles in fatto di ricerca medica. Il settore farmaceutico è fondato su una forte integrazione e cooperazione, e un’uscita definitiva del Regno Unito significherebbe effetti negativi per tutti. La necessità di un accordo transitorio sembra dunque chiara per evitare ulteriori costi e per far sì che la ricerca vada avanti in modo proficuo, con l’importante collaborazione britannica. Si cominciano comunque a vedere i primi passi concreti verso la fuoriuscita del Regno Unito dall’Unione Europea. 

A che punto sono i negoziati?

«Il Regno Unito lascerà l’Unione Europea il 29 marzo 2019 alle 11 di sera». La premier britannica Theresa May ha dunque deciso la data e l’ora della Brexit, come si può leggere dall’editoriale dello scorso 9 novembre sul Telegraph. Le trattative sono arrivate ad un punto di stallo e l’ostacolo più grande è sicuramente una leadership britannica fin troppo debole e poco capace di affrontare il periodo di transizione. Il partito conservatore si sta dividendo sempre di più, con l’ala dei “remainers” che diventa più forte e gli “hard brexiteers” che sono poco inclini al compromesso.

Il capo negoziatore per l’Unione Europea Micheal Barnier lo scorso 10 novembre aveva chiesto dei sostanziali progressi entro due settimane, ma le risposte della Gran Bretagna sono state confuse e discordanti. Lo snodo principale delle trattative è, sicuramente, quello riguardante il cosiddetto conto del divorzio. Inizialmente i britannici avevano messo sul tavolo un conto di circa 20 miliardi, contro i 60 calcolati dalle autorità europee. La premier May ha poi ceduto al compromesso, accettando, nel vertice dello scorso 8 dicembre, di saldare il conto a 40 miliardi di euro. Dopo l’approccio flessibile tenuto in questa prima parte delle trattative, ora il Regno Unito si aspetta che l’Unione Europea si mostri più flessibile nella seconda parte, quella riguardante gli accordi commerciali. I negoziati sono un continuo tira e molla tra le controparti, ma ciò che sembra chiaro a tutti è che i rapporti tra Regno Unito e Unione Europea non possono essere tagliati in tronco. La cosiddetta “hard Brexit” sembra impossibile su tutti i fronti: da quello politico a quello economico, fino alle questioni meramente pratiche. C’è bisogno di compromessi in ogni campo per far sì che il recesso sia il meno doloroso possibile per entrambi le parti.

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