Il calcio è un trionfo di sponsor e milioni, ma cosa vuol dire giocare nelle categorie minori? Lo abbiamo chiesto a un giovane calciatore campano.
Il concetto di sport viene fin troppo spesso abbinato esclusivamente a quello di ricchezza. Questo – almeno in Italia – avviene sicuramente con grande frequenza per quanto concerne il calcio, vero e proprio sport nazionale oltre che fenomeno in grado di muovere cifre astronomiche. I milioni guadagnati da alcuni tra i più importanti calciatori presenti nel nostro campionato consentono sovente anche illazioni moraliste e populiste sull’utilizzo di certi soldi, quando invece il calcio è forse una delle poche “industrie” che nel Bel Paese non va mai in crisi, almeno dal punto di vista economico e di seguito generale. Nonostante questo, è giusto affermare come spesso sia necessario riportare a certi valori del pallone la maggior parte degli interpreti e dei tifosi coinvolti da queste dinamiche. Come, d’altronde, risulta anche importante raccontare storie che possono dare un’opportunità di riconciliazione con i vecchi valori di questo sport. Raccontare il percorso di persone come Antonio Carpino, calciatore napoletano che gioca in una categoria non riguardante il professionismo, risulta quindi quasi una necessità per tornare ad apprezzare con una certa costanza l’incredibile bontà che il calcio può generare.
Timido e riservato, Antonio è un calciatore che fin da piccolo è sempre stato talentuoso: quel pallone rotolava solo per i suoi piedi, gli altri ragazzini cercavano di prenderlo ma lui era già andato via, verso la porta. Col tempo, molte cose nella sua vita sono cambiate ma una è rimasta: la volontà di continuare a giocare, per allontanare i pensieri quotidiani di una vita felice ma stressante, lontano dai riflettori e dai milioni del professionismo.
Ritorno alle origini
«In realtà io da piccolo sono stato quasi costretto da mio padre a fare basket: lui pensava ci fosse un ambiente migliore», spiega lo stesso Carpino. «Poi però ho insistito per giocare a pallone, facendo anche leva sul fatto che i miei cugini frequentassero già una scuola calcio. Così, dopo un po’ di pressione, l’ho convinto e ha deciso di iscrivermi. Dopo i primi allenamenti praticamente non ho mai smesso di giocare a pallone. Ho giocato con papà a livello amatoriale: ho sempre avuto passione, ma non avevo contatti per passare a un livello agonistico, anche perché mio padre non voleva». Antonio, ex studente di liceo Classico, insegue passioni anche al di fuori del terreno di gioco: «Faccio l’educatore cinofilo. Mettere insieme calcio e lavoro è molto difficile, bisogna decidere se essere carne o pesce e contestualizzare il ruolo del calcio nella tua vita. Tante persone che ho conosciuto, anche più forti di me, si sono fermate. La più grande difficoltà è riuscire a trovare il tuo posto nel mondo del calcio. Io stesso ho fatto qualche passo indietro ma quando mi feci male e non ebbi l’impegno della partita per un po’, capii immediatamente che non volevo stare senza giocare a pallone».
Come già accennato, Antonio Carpino non è un calciatore professionista. Nonostante questo, però, da ben cinque anni è impegnato nelle categorie minori in Campania. «Gioco nella Pianurese: abbiamo fatto qualche anno in Promozione e adesso siamo in Prima Categoria. La società è strutturata a livello familiare, è un po’ la squadra del quartiere (Pianura, ndr). Per me conta molto più fare gruppo che il resto, anche dei soldi m’interessa relativamente: io non gioco per un eventuale rimborso spese ma per me stesso e i miei compagni, mi trovo benissimo e quindi non ho mai lontanamente pensato di mollare», spiega il calciatore.
Avevamo già trattato l’argomento riguardante la percezione del calcio minore, a livello di strutture e di fondi sempre più carente rispetto ai piani alti. Una situazione che però non sembra pesare troppo nel cuore di Carpino: «Ovviamente c’è sempre qualcosa da poter migliorare ma, per i mezzi che sono destinati a queste categorie, chiedere di più sarebbe un po’ cadere nell’errore di pretendere garanzie che si danno a categorie superiori. Non penso sia giusto chiedere troppo, tutto sommato adesso ci divertiamo e quindi la situazione attuale mi sembra un giusto compromesso».
Ne vale la pena
Inevitabilmente, come lo stesso Antonio ha spiegato, giocare a calcio comporta sacrifici enormi per quanto concerne la vita privata: «Ognuno ha una testa diversa, io dico che ne vale la pena però perché il calcio mi dà tanto e mi consente di sfogarmi, oltre che di allontanare i pensieri negativi. Quando non c’è la partita ti pesa». E a proposito di partita, il ruolo in campo è molto chiaro: «Io sono un terzino, gioco per lo più sulla fascia sinistra ma spesso anche a destra». Gli idoli? «A me piace una visione romantica del calcio, perciò faccio i nomi di Zanetti, Maldini, Nesta o anche Totti, giocatori che hanno messo in campo sempre grande passione».
Quando si parla di un eventuale approdo nel professionismo, però, Antonio resta molto cauto sulle reali possibilità di svolta: «Parlando personalmente, sono molto più distaccato di prima rispetto alla concezione del calcio nelle categorie maggiori. Per molti versi è uguale, come il sentore dell’importanza della partita, però noti anche come più si salga e più tutti diventi maggiormente sporco. Preferisco giocare a calcio in ambienti più tranquilli, potevo andare avanti un minimo, ma ho preferito sacrificare questo aspetto per una maggiore sicurezza e per l’affetto nei confronti del gruppo. Non sono mai stato uno di quei ragazzini già “mentalizzati” sul dover emergere per forza, magari anche per dare modo alla propria famiglia di andare avanti economicamente grazie al talento. Io ho sempre voluto solo divertirmi». A dispetto di ciò, Antonio Carpino ha però avuto l’opportunità di giocare anche contro calciatori che poi si sono affermati tra i professionisti: «Ci sono varie persone. Sicuramente posso citare Lorenzo Insigne, che adesso gioca nel Napoli, così come anche Raffaele Maiello (attualmente al Frosinone in Serie B, ndr) e Umberto Varriale, che ha giocato anche nell’Avellino».
Nel bilancio della vita di Antonio Carpino il calcio rappresenta, dunque, un bonus e mai un malus. E lo stesso calciatore, se potesse tornare indietro, rifarebbe tutto: «Se avessi la testa che ho adesso darei più importanza alle piccole cose, nell’età in cui potevo davvero emergere. A livello di sacrifici però non ho mai visto il calcio come un male, dunque ripeterei ogni cosa». Come tanti altri ragazzi, anche Antonio Carpino – calciatore e uomo – rappresenta la faccia pulito di un pallone sempre più sporco ma che non ha perso la voglia di sognare e migliorarsi. Una voglia che, si spera, possa non smarrirsi per strada.