Un insolito spettacolo – seconda parte

Un insolito spettacolo – prima parte


Il sole scaldava le ringhiere del palazzo e tutto era avvolto da una luce giallastra e sonnolenta. Fuori le strade erano vuote, ad eccezione di qualche bambino coraggioso che girava in bicicletta, ma tutti a malapena riuscivano a respirare o a urlarsi tra di loro le filastrocche.

Avevo deciso di passare il pomeriggio con il mio taccuino e indagare su quel pollo che aveva tanto fatto impazzire la mamma. La prima casa che volevo visitare era quella di Giorgina, perché mi era sembrata molto provata alla vista dell’animale. Abitava al quarto piano, così ho dovuto fare sei rampe di scale. Alla terza rampa però mi è venuta fame: ho mangiato la merenda preparata da mamma e poi sono ripartito.

L’appartamento di Giorgina era quello più moderno del palazzo, tanto che, quando l’aveva arredato, tutto il vicinato aveva fatto la fila per vederlo, con moltissimo orgoglio di tutto il nostro condominio. Era tutto pizzi e merletti e pavimenti di un colore diverso in ogni stanza, per non parlare della quantità immensa di soprammobili che comprendevano una collezione di 268 uova di ceramica, come lei mi aveva illustrato una volta. Giorgina era così fiera di mostrare il suo appartamento che solitamente faceva entrare tutti senza troppe domande: forse lo faceva anche perché si sentiva un po’ sola. Insomma, mi sono ritrovato nel suo salottino, seduto sul divano bianco e lei davanti a me con un vassoio d’argento sul quale aveva messo tutti i possibili gusti di succo di frutta. Io, in modo molto professionale e con gentilezza, ho rifiutato, anche se desideravo tanto un bicchiere di ognuno di quei succhi: ma avevo preso con molta serietà il mio lavoro e non potevo lasciarmi distrarre. Così sono arrivato subito al punto: «Cosa ne pensi di quello che è successo stamattina?»

Probabilmente lei non si aspettava questa domanda ed è scappata in cucina per mettere le bevande al loro posto. È tornata con gli occhi un po’ lucidi e un fazzoletto di pizzo con le sue iniziali. «Insomma, bambino» ha iniziato, «quando due persone si amano molto è una cosa bella, vero Mimmù?». Io annuivo piano, appuntando qualcosa sul foglio. «Ecco, vedi» continuava Giorgina, che nel mentre si era seduta, «io amavo tanto il mio defunto marito, Peppuzzo, cheDiolabbiaingloriapaceallanimasuapadrefiglioespiritosanto» diceva alzando gli occhi e le braccia al cielo. «Ma, ahimè, ci ha lasciati quando io ero ancora picciridda e sula sula dovetti occuparmi della casa, senza nemmeno un figlio da crescere». Io mi fingevo interessato, ma in realtà scarabocchiavo sul taccuino polli vestiti in lutto. Lei continuava: «Ero la picciridda più bella del quartiere, anche se oggi non si direbbe, cà tu mi vedi come una vecchia ora, onnò Mimmù? Comunque andavo tutta sola a fare la spesa, a comprare la frutta, la verdura, il pollame di Rosario…». E si pizzicava le guance, sempre a cercare qualcosa sul soffitto che io non vedevo. «Il figlio… Quel picciotto… ah, l’età! La gioventù! Quei capelli spettinati, le mani da lavoratore, non ho saputo resistere» diceva, mentre alzava il tono di voce con le sopracciglia aggrottate: «Mimmuzzo!» ha urlato per attirare la mia attenzione, che nel mentre ero sempre più concentrato sui disegni nel taccuino.

«Ascoltami bene, c’è un fantasma! Te lo debbo dire e mai mi pentii così tanto di aver fatto quello che ho fatto alle spalle del mio defunto marito Peppuzzo cheDiolabbiaingloriapaceallanimasuapadrefiglioespiritosanto… è venuto a dirmi che m’ha vista, m’ha vista che mi sono macchiata del peccato!» E di nuovo si faceva il segno della croce. Io di quelle parole non è che ci avessi capito tutto, avevo solo capito che il pollo era stato mandato dal suo defunto marito PeppuzzocheDiolabbiaingloriapaceallanimasuapadrefiglioespiritosanto e che probabilmente aveva sbagliato piano o era stato troppo pigro e si era fermato al primo. Un fantasma, mi piaceva l’idea. Me lo immaginavo svolazzare tra l’aria bollente che trasudava dai muri, dondolando da una parte all’altra senza tregua, come il povero pollo. Ma non poteva lasciarle un messaggio scritto? Quel giorno ho imparato che i fantasmi non sanno scrivere. Ho lasciato poi l’appartamento di Giorgina che barcollava tra sogni e sensi di colpa.

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