I figli del divorzio

Nonostante la citazione nascosta nel titolo, non ci concentreremo su presunti e possibili effetti disastrosi della crisi matrimoniale nella salute psicofisica dei figli così come nel noto film. Quando si parla di divorzio o, prima ancora, di separazione, normalmente si tende a concentrarsi sulle conseguenze che si riverberano sui coniugi tralasciando e dando per scontato il destino della prole. In realtà i figli, in tali situazioni, diventano il punto cruciale intorno a cui ruotano una serie di norme e tutele come e soprattutto l’affidamento, l’assegno di mantenimento e l’assegnazione della casa coniugale. Il giudice nel prendere una decisione, in primis quella dell’affidamento, deve infatti valutare l’interesse primario dei figli e, sempre su tale presupposto, gli accordi di separazione o di divorzio consensuale sono sottoposti al vaglio del pubblico ministero che ne valuta la corrispondenza all’interesse della prole. Il ruolo di centralità dei figli, all’interno del diritto di famiglia, è stato ulteriormente ribadito nel 2012 quando il legislatore ha introdotto la possibilità di ascoltare gli stessi anche in età inferiore ai dodici anni, se capaci di discernimento, nonché ha sostanzialmente ridisegnato il loro ruolo da centro di diritti a soggetti portatori di diritti e doveri. L’argomento è stato toccato anche dal famoso contratto di governo in cui venivano auspicati provvedimenti diretti ad evitare “l’alienazione genitoriale” e a incentivare un affidamento condiviso reale. Tali premesse si sono tradotte, in modo fallimentare, nel cosiddetto ddl Pillon ascrivibile all’omonimo senatore della Lega, Simone Pillon. Il disegno in questione, per i contenuti e le modalità in cui questi sono stati espressi, è stato oggetto di forti critiche dalle più svariate associazioni nonché di manifestazioni pubbliche di protesta. Ma andiamo con ordine.

 

I provvedimenti in favore dei figli

Come già accennato, i principali provvedimenti adottati nell’interesse dei figli in sede di crisi matrimoniale sono l’affidamento, l’assegnazione della casa coniugale al genitore convivente e l’assegno di mantenimento.

Partendo dal primo di questi, l’istituto dell’affidamento condiviso così come lo conosciamo è relativamente recente e conseguente a una riforma legislativa del 2006. Prima di tale data, infatti, i figli venivano abitualmente affidati alla madre, considerata, in maniera pressoché unanime, il miglior soggetto per la loro cura e per il loro sviluppo. Allora la scelta appariva la più adatta essendo la madre, nella quasi totalità dei casi, casalinga: tuttavia, il rovescio della medaglia era dato dalla figura del padre che veniva, così, ridotta a una semplice fonte di denaro, un padre-salvadanaio che, snaturato della propria natura, lasciava di fatto un figlio orfano tanto negli affetti quanto agli occhi della società. Attraverso la citata legge, la bigenitorialità ha acquistato un ruolo centrale nei rapporti familiari traducendo, così, l’affido condiviso nell’ordinarietà e l’affido esclusivo nell’eccezione. I genitori, inoltre, sono tenuti al rispetto dell’altro coniuge evitando comportamenti denigratori in presenza dei figli, anche se tale punto, come spesso avviene nella pratica, risulta purtroppo disatteso. L’affidamento condiviso, comunque, non deve intendersi come uno spaccato matematico dei giorni in cui i figli stanno presso uno o l’altro genitore. In questi casi viene individuato un genitore collocatario, che nella pratica è rappresentato nel 60% dei casi dalla madre, e vengono stabiliti dei giorni di spettanza per l’altro genitore. Questi giorni, individuati in modo generico da protocolli dei singoli tribunali o comunque da linee guida nazionali, possono essere liberamente modificati dalle parti o dal giudice purché venga tutelato, ancora una volta, l’interesse dei figli a mantenere un rapporto stabile con entrambi i genitori. A grandi linee, comunque, i giorni solitamente individuati per il genitore non collocatario prevedono un fine settimana alternato, così come saranno alternate le festività e un giorno infrasettimanale.

Il secondo provvedimento più diffuso è l’assegnazione della casa familiare. Anche se, solitamente, si è portati a pensare che ciò sia disposto molto spesso in favore della moglie, così non è. Il giudice, infatti, già in sede di separazione può decidere sull’assegnazione della casa a uno dei due coniugi nel caso vi siano figli minori o maggiorenni non autosufficienti. In questo caso il diritto acquisito resterà in essere fino al raggiungimento dell’autosufficienza dei figli nell’interesse di cui lo stesso è sorto. Il coniuge, dunque, non acquista la proprietà della casa se questa è dell’altro coniuge mentre, nel caso in cui vi sia comproprietà, sono possibili gli ordinari rimedi offerti dal codice come la divisione della comunione una volta cessata l’assegnazione. L’assegnazione della casa può venire meno anche per diverse motivazioni, come il trasferimento della residenza del coniuge o, ancora, che lo stesso abbia contratto un nuovo matrimonio. Questo istituto, quindi, non è un’ulteriore ripicca da parte dell’ex coniuge ma, secondo l’intento del legislatore, un modo di conservare l’habitat familiare, inteso anche come centro di interessi, in una situazione di forte stress per la prole che viene, così, tutelata quantomeno in parte.

Da ultimo, anche se per i più dovrebbe trovarsi al primo posto, vi è la previsione dell’assegno di mantenimento. Questo deve ovviamente tenersi separato da quello disposto in favore dell’altro coniuge ed è diretto a far fronte a tutte le spese ordinarie, continuative e prevedibili della prole. La determinazione del contenuto economico dell’assegno è proporzionale al reddito dell’obbligato e deve, in ossequio ai dettami del codice, tener conto di diversi elementi come le esigenze dei figli, le risorse economiche di entrambi i genitori, il tempo di permanenza presso ciascun genitore ma anche del tenore di vita goduto dal figlio in cogenza del matrimonio. Nei tribunali italiani è prassi, in caso di più figli, il semplice raddoppio dell’assegno o, che dir si voglia, individuare una cifra unica e dividerla per il numero dei figli. Tale pratica risulta, in realtà, sconosciuta in tutti i tribunali stranieri, nonché matematicamente scorretta. L’assegno, infatti, serve a contribuire alle spese necessarie per il mantenimento dei figli fra cui rientrano, ovviamente, anche le spese fisse come quelle di elettricità, gas, acqua e vacanze. Queste spese non solo non raddoppiano, ma semplicemente aumentano in modo impercettibile creando, così, un surplus che va a gravare sul genitore obbligato. Un criterio così preciso, tuttavia, non ha ancora trovato riscontro abituale nella giurisprudenza interna divenendo, ingiustamente, di rara applicazione. Sempre sulle spese dei figli, i genitori rimangono tenuti a pagare quelle straordinarie nella misura, normalmente, del cinquanta per cento in alcuni casi con un previo accordo, in altri senza. Tale divisione è rimandata, così come le giornate di visita, ai protocolli dei singoli tribunali: comunque, volendo fornire una definizione, si ritengono spese straordinarie quelle relative a eventi caratterizzati da atipicità, occasionalità e voluttuarietà. A titolo esemplificativo rientrano, fra le spese senza accordo, quelle mediche e non coperte dal sistema sanitario se urgenti, le spese scolastiche ed extrascolastiche così come quelle sportive. Necessita, invece, di preventivo accordo l’acquisto di un autovettura per la prole da cui, in futuro, conseguirà l’obbligo di divisione delle spese di carburante, manutenzione, bollo e assicurazione. Occorre precisare che l’obbligo non viene meno con la maggiore età ma con il raggiungimento dell’indipendenza economica o, quantomeno, quando il figlio sia messo nelle condizioni di ottenerla.

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Il disegno Pillon

Nel quadro appena delineato interviene o, meglio, vorrebbe intervenire in maniera diretta il disegno di legge Pillon. Come già detto, tale disegno troverebbe la sua ragione d’essere, a grandi linee, nel contratto di governo e si pone l’ambizioso traguardo di parificare totalmente i genitori ed eliminare la così detta “alienazione genitoriale”.  Con quest’ultima definizione si intende il mancato rispetto di quella che è la parità genitoriale e, in particolare, la denigrazione da parte di un genitore nei confronti dell’altro che si traduce, in pratica, nell’aizzare la prole contro l’altro genitore. Secondo lo stesso senatore, vi è infatti una violazione dell’affidamento condiviso che tale risulta, a suo dire, solo sulla carta: ciò in relazione a quanto esposto prima, ossia alla collocazione permanente presso un genitore. Il disegno di legge si apre con la previsione di un tentativo di mediazione obbligatoria. Un simile istituto, in realtà, è già presente e utilizzato in diversi ambiti del processo civile e prevede, in sostanza, un preventivo ricorso di risoluzione stragiudiziale della controversia al fine di evitare il giudizio, pena l’improcedibilità di quest’ultimo. In questo caso si vorrebbe l’instaurazione di un apposito albo di “mediatori familiari”, individuati con rigidi criteri fra avvocati esperti in diritto di famiglia, il cui compito è quello di salvaguardare l’unità familiare. Un simile tentativo dovrebbe essere reso obbligatorio in caso di figli minorenni e durante questa procedura, che sarà a pagamento, verrà redatto un apposito piano genitoriale contenente le attività del minore, frequentazioni dello stesso, vacanze e via dicendo. Tale piano, molto rigido e puntuale, dovrà essere rispettato minuziosamente da entrambi i genitori indipendentemente da variazioni e necessità della vita concreta. La procedura di mediazione, poi, dovrà applicarsi a ogni caso e nel segreto professionale senza tener conto, minimamente, dei pregressi fra i due coniugi, quindi sia in situazioni pacifiche sia in situazioni dove il conflitto fra i due è, se non pericoloso, intollerabile.
Ciò che ha mosso il senatore è appunto il contrasto all’alienazione genitoriale: tale intento trova espressa previsione all’interno dello stesso disegno di legge. Per superare un tale pericolo si vorrebbe che, nel caso in cui il minore manifesti rifiuto o disagio verso uno dei genitori anche in assenza di evidenti condotte di quest’ultimo, il giudice possa adottare provvedimenti d’urgenza, fra cui spicca l’inversione della collocazione principale. Il giudice potrà poi sanzionare direttamente il genitore responsabile delle condotte con un risarcimento dei danni subiti o, addirittura, con la perdita della responsabilità genitoriale.

Un ulteriore punto, particolarmente criticato per il modo in cui trova espressione, è quello dell’equilibrio tra entrambe le figure genitoriali. Questo equilibrio, che trova nel disegno una spiegazione e giustificazione teorica dettagliata, si concretizza in un semplice calcolo matematico che comporta la necessità per il figlio, salvo impossibilità materiale o pericolo di pregiudizio per la salute, di trascorrere almeno dodici giornate al mese presso ciascun genitore. Questa previsione dovrebbe riflettersi in maniera diretta sul mantenimento dei figli, che passerebbe dal contributo economico, l’assegno, a quello che viene definito mantenimento diretto. Ciascuno dei genitori, quindi, contribuirà direttamente alle spese sostenute dal minore quando questi è presso di lui e null’altro.
Il disegno, infine, vorrebbe far salva la previsione dell’assegnazione della casa coniugale seppur con alcune, rilevanti, modifiche. Il giudice potrà infatti stabilire l’assegnazione in favore dei figli, però il genitore intestatario del diritto dovrà versare all’altro un indennizzo il cui computo sarà dato dalla media dei canoni di locazione nella zona.

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Il quadro attuale, comunque, non dovrebbe al momento essere oggetto di modifiche. Il disegno di legge Pillon, infatti, non costituisce priorità per l’attuale governo e ciò è quanto dichiarato dal ministro Di Maio. Lo stesso disegno è stato oggetto di forti e pesanti critiche da diverse associazioni fra cui centri antiviolenza, movimenti femministi, associazioni di giudici e avvocati. Il dissenso è diretto soprattutto verso l’oggettiva difficoltà ad accedere e ottenere tanto la separazione quanto il divorzio, che una modifica così come delineata comporterebbe. La mediazione familiare, infatti, è un costo attualmente non previsto e che si muove in direzione opposta al cosiddetto divorzio breve di recente introduzione per cui, nei casi di consenso, la procedura è relativamente economica e rapida. Tale costo impedirebbe, dunque, alle famiglie meno abbienti l’accesso a un istituto che è la più grande espressione di libertà e autodeterminazione offerta dal nostro ordinamento. La volontà di raggiungere a tutti i costi una bigenitorialità perfetta, poi, si scontra con la polivalenza delle diverse situazioni reali e, soprattutto, col naturale sviluppo dei figli e con le diverse esigenze degli stessi anche in periodi particolarmente complessi e delicati come quello dell’adolescenza. Il figlio, così, finisce con l’essere trattato come una res, un bene, che viene passato da un genitore all’altro senza considerare le sue necessità e, soprattutto, la sua stabilità. Risulta particolarmente pericoloso anche l’istituto delle sanzioni nei confronti del genitore in caso di alienazione genitoriale, posto che non è previsto alcuno strumento di controllo diretto sull’effettività della condotta se non un libero apprezzamento del giudice e, inoltre, ignorando quanto espresso dai figli che, nonostante le recenti riforme, risulterebbero nuovamente posti in un piano secondario e senza possibilità di esprimersi.

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