Arte contemporanea: chi ne pensa cosa

Si era già tentato di parlare di quella infezione imbarazzante che, colpendo qualcuno, pare costringerlo a reinventarsi scrittore costi quel che costi, a scapito tanto di forma quanto di contenuto; che conduce ad autopubblicazioni coraggiose. Del tutto convinti di essere stati incoronati dalle Muse o da Apollo stesso, queste persone sono sicure di essere entrate quasi di diritto nell’Olimpo dei letterati. Insomma: hanno le visioni. Un meccanismo non dissimile è quello che riguarda l’arte contemporanea: in questo caso non si sogna però di essere artisti, si sogna di essere critici.

L’arte ha iniziato, da vari decennio ormai, a essere un prodotto di vasto consumo, non più un appannaggio di pochi. Il valore dell’arte in sé, incontestato fino a questo momento, è diventato fruibile ai più. Ma come meccanismo d’inflazione, alla più alta possibilità di fruizione del prodotto è seguita la svalutazione del suo valore. Non si intende dare, in questo senso, alcun giudizio di merito: non si delinea questo processo né per rimpiangerlo né per incoraggiarlo.

Comunque, questa è stata solo una rapida cronistoria. Infatti, non è detto che tra quei pochi fruitori degli oggetti d’arte non ve ne fosse più d’uno che se ne circondava solo in quanto oggetti istituzionalmente belli. Così come non è detto che in mezzo a quei singolari oggetti d’arte non ce ne fosse anche qualcuno di scarso valore, meschino o mediocre.

Quale arte?

La naturale conseguenza del fatto che l’arte contemporanea sia anche merce è che ovviamente si produce merce anche qualitativamente opinabile. Basti un caso esemplare: The physical impossibility of death in the mind of someone living, di Damien Hirst. Tale opera, molto famosa, consiste in uno squalo tigre di quattro metri circa, posto in una teca a vetri riempita di formalina.

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Damien Hirst, The physical impossibility of death in the mind of someone living (1991).

Indipendentemente da ogni interpretazione e significato, il significante rimane sempre quello di uno squalo morto in una teca blu. Avendo continuato l’artista negli anni a collezionare animali morti, la polemica è continuata a lungo, toccando i sentimenti animalisti. Nel 2017, ad esempio, in occasione della mostra di Hirst Treasures from the Wreck of the Unbelievable presso il Palazzo Grassi di Venezia un gruppo di animalisti decise di manifestare pacifico dissenso disponendo davanti all’ingresso una ingente quantità di sterco.

La morte, per Hirst, è sempre stata oggetto d’ossessione. Lui stesso raccontò di aver vissuto in maniera traumatizzante l’esperienza dei corpi in putrefazione degli animali nell’obitorio di Leeds.

Alcuni parlano d’arte contemporanea…

Da quando le arti sono diventate questo tipo di risultato prodotto oggi, è difficile pensare a una separazione netta tra cosa intimamente si considera arte e cosa no. Non tanto di cosa abbia significato e cosa ne sia privo, perché quello è mestiere dei critici, quanto quale prodotto artistico possieda (in breve) il potere di influenzare la propria percezione della realtà, quale induce un certo tipo di pensiero o un certo tipo di reazione persistenti e con vasti strascichi. Questo, invece, può essere compito anche degli appassionati.

Ma questo schema si può applicare a tutti? Questo sistema vale anche per chi si reca in visita presso mostre e musei perché vede nei quindici euro del biglietto l’unica cosa che lo separa dall’arte contemporanea e non? E tralascia che, invece, una vera recezione di un prodotto d’arte ha bisogno non di amore, ma almeno di un profondo interesse? Ha bisogno di essere fruito quando si è completamente scevri di ogni preconcetto di dosso, non quando si è completamente vestiti di cliché, luoghi comuni, notizie risalenti agli studi delle scuole medie.

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Jeff Koons, Tulips.

… altri anche

C’è chi, vestito degli stessi indumenti, nemmeno li getta quei quindici euro per dell’arte contemporanea, perché onestamente ammette che sarebbero sprecati – non gli importa, non la capisce ma non vuole neppure capirla. Tuttavia, non manca di fare visita ai Musei Vaticani a Roma, alla Galleria degli Uffizi quando è a Firenze, al Louvre se passa per Parigi, come in un Grand Tour del XVII secolo; solo che per fortuna abbiamo l’aereo e quindi ci spingiamo anche più lontano.

C’è poi chi apprezza indistintamente tutte le mostre alle quali presiede: ognuna è migliore e più sensazionale della precedente. E lì perché di nuovo e all’opposto, se l’arte ha le due caratteristiche ormai istituzionali di essere bella e di essere merce, allora la posso fruire e apprezzarne il valore, passivamente. Ma si finge un’estasi, si parla qualche minuto dei colori e delle luci e sulla strada di casa è già entrata nella lista delle cose di cui vantarsi ma non ancora in quella delle cose a cui pensare.

A conti fatti, non è certamente facile stabilire cosa sia arte contemporanea e cosa non lo sia. Se non c’è sempre qualcuno che sappia dire cosa sia arte, chi sa dire almeno cosa l’arte non è? Le stesse persone che probabilmente sanno di non poter rispondere alla domanda e non chi semplicemente ha la presunzione di farlo – sebbene troppo spesso si scusi di non trovare le “parole adatte”.

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