In Spagna la sinistra vince le elezioni, ma è la fine di un’era

Lo scorso 28 aprile si sono tenute in Spagna le elezioni per rinnovare i 350 membri del Congresso dei Deputati e i 266 membri del Senato. Il partito più votato è stato il Partito Socialista Obrero Español (PSOE) con il 28% dei suffragi, davanti al Partido Popular con il 16%, ai liberali di Ciudadanos con il 15%, alla sinistra di Podemos con l’11%, ai nazionalisti di Vox con il 10% e ai partiti indipendentisti. Un’importante conferma per i socialisti, mentre i popolari hanno ottenuto il peggior risultato della loro storia. Non riesce a sfondare invece Ciudadanos, che aumenta i propri voti rispetto a tre anni fa, ma non riesce a frenare l’avanzata di Vox.

La campagna elettorale, ufficialmente iniziata qualche mese prima delle elezioni, era già cominciata l’anno scorso. Quando il leader del PSOE Pedro Sánchez è diventato Presidente del Governo grazie alla mozione di sfiducia contro il governo Rajoy, buona parte del Paese ha cominciato a chiedere nuove elezioni. Una storia a dir poco incredibile quella di Pedro Sánchez, se pensiamo che appena tre anni fa si era dimesso da segretario del partito. Le batoste elettorali del 2016 erano diventate impossibili da gestire per Sánchez, costretto dalla direzione del PSOE a fare un passo indietro. Nel 2017 ci riprova e, a sorpresa, vince le primarie contro Susana Díaz, l’ex Presidente della Comunità Autonoma dell’Andalusia. Un nuovo corso per Sánchez ma soprattutto per la sinistra spagnola, che era vicina ad uno storico accordo con la destra.

La mozione di sfiducia presentata nel giugno 2018 contro il governo Rajoy è stata una manna dal cielo per Sánchez, diventato capo del governo grazie al meccanismo costituzionale della sfiducia costruttiva. Tuttavia, il è 2018 stato un anno complicato per il governo spagnolo. I migranti al confine col Marocco, la redistribuzione dei rifugiati (la Spagna è la principale terra di approdo via mare dei migranti e rifugiati diretti in Europa, con oltre 30.000 l’anno, circa il 40% di tutta l’Unione Europea), la sconfitta in Andalusia e la richiesta di nuove elezioni non hanno reso semplice la vita alla Moncloa.

In febbraio arriva il colpo più duro alla stabilità del governo spagnolo. I partiti indipendentisti che hanno appoggiato la mozione di sfiducia decidono di bocciare la legge di bilancio e si uniscono all’opposizione. Sánchez convoca immediatamente le elezioni, previste per il 28 aprile. Lo scenario politico-economico sembrerebbe sfavorevole al PSOE, anche se i sondaggi lo danno saldamente in testa al 28%. Alle elezioni, dunque, si presenta una sinistra che fa leva sulla stabilità e la guerra alla povertà. Il blocco di destra, invece, è apparentemente frammentato, con Ciudadanos, Partido Popular e Vox pronte però a collaborare in caso di vittoria.

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Il Presidente del Partido Popular Pablo Casado durante un’assemblea tenuta a Madrid. 38 anni, cattolico, contrario ai matrimoni gay e all’aborto, Casado è il leader più giovane di sempre del PP. Foto: WikiCommons.

È importante ricordare che la Spagna è diventata una democrazia appena 44 anni fa, dopo la caduta del franchismo. Da allora, popolari e socialisti si sono contesi la leadership del Paese, senza doversi preoccupare di altri grandi partiti. Il nuovo millennio, tuttavia, ha ispirato la nascita di nuovi soggetti politici che sono stati in grado di diffondersi rapidamente. Il partito di centrodestra Ciudadanos è l’esempio di questa recente tendenza. Nato nel 2006 ad opera di Albert Rivera, Ciudadanos ha impiegato nove anni per entrare in parlamento.

Il risultato elettorale del 2015 ha suscitato un certo entusiasmo negli ambienti del partito, che con il 13% delle preferenze (ripetuto anche nel 2016) si è affermato come partito di rottura. Ma rottura di cosa? Il sistema politico spagnolo è storicamente fondato su un bipolarismo. I due partiti principali (PSOE e PP) riescono ad attirare attorno a sé la maggior parte dei consensi, costringendo i partiti regionalisti e indipendentisti a scendere a patti per governare. Oggi questo sistema è crollato a causa della presenza di nuovi partiti, che hanno comportato un’enorme perdita di voti sia per il PSOE che per il PP. Analizziamo adesso questi nuovi partiti e il modo con cui cercano di intercettare i consensi degli spagnoli.

Ciudadanos, come abbiamo già detto, è un partito liberale, con tendenze centriste, economicamente di centrodestra e progressista per quanto riguarda i diritti civili. È unionista, ovvero non sostiene i vari movimenti a favore dell’indipendenza presenti in Spagna, e recentemente ha svoltato decisamente a destra, accettando di governare l’Andalusia non solo con i popolari, ma anche con i populisti di Vox.

Ma che partito è Vox? Accusato dalla stampa spagnola e internazionale di essere un partito di estrema destra, Vox è stato fondato nel 2013 da Santiago Abascal, ex dirigente del Partido Popular e José Antonio Ortega Lara, un ex militare. Il contesto in cui si è sviluppato questo partito è quello di una delusione diffusa tra i militanti più oltranzisti del Partido Popular. Vox è nato infatti da una scissione avvenuta all’interno del PP. Gli elettori a cui si rivolge questo partito sono perciò di destra. La crescita a livello nazionale non è stata graduale: nel 2015 e nel 2016 aveva ottenuto lo 0,2%. Fino ad un anno fa non compariva nemmeno nei sondaggi.

Com’è stato allora possibile superare il 10% in così poco tempo? La drammatica crisi del Partito Popolare, cominciata con gli scandali giudiziari e culminata nella caduta del governo Rajoy, ha aiutato tantissimo Vox, che in tutto questo tempo ha parlato proprio a quell’elettorato sconfortato. Molti si aspettavano uno spostamento verso Ciudadanos, ma ciò non è accaduto. La nascita del governo Sánchez, inoltre, ha scatenato polemiche durissime, che hanno incattivito un clima politico già di per sé tutt’altro che sereno. Per Vox quella rabbia e quella frustrazione erano terreno fertile e non è stato difficile convincere gli elettori a votarli. I moderati sono rimasti fedeli al Partido Popular e soltanto una sparuta minoranza ha scelto Ciudadanos.

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Santiago Abascal, leader di Vox, e Albert Rivera, leader di Ciudadanos, mentre sfilano insieme durante una manifestazione per l’unità della Spagna. Foto: Twitter.

In tutto questo, non si può dimenticare Podemos, che ha inaugurato la crisi dei partiti tradizionali. Il partito di Pablo Iglesias si era presentato nel 2014 come un partito antisistema, contrario alle politiche di austerity dell’Unione Europea, e sulla scia di quella propaganda era riuscito a raggiungere l’8%. La consacrazione era arrivata nel 2016, appena due anni dopo le europee. Podemos, in coalizione con altri partiti di sinistra, ottiene addirittura il 21%, diventando la terza forza politica del Paese. In tre anni, incredibilmente, è riuscito a perdere il 10% dei consensi, circa due milioni di voti. Malgrado questa parabola discendente, Iglesias è pronto a coadiuvare Sánchez nella nuova legislatura, e magari stavolta, visto il ruolo nella formazione del nuovo esecutivo, il suo partito potrà persino ricevere qualche ministero.

A decidere il destino di Sánchez e della sinistra spagnola saranno, ancora una volta, i partiti indipendentisti. La vittoria elettorale infatti non basta al PSOE e Podemos per governare da soli. Pertanto saranno necessari dei colloqui con gli indipendentisti catalani e baschi, nella speranza di trovare un’intesa con chi lo scorso febbraio ha ritirato l’appoggio al governo socialista.

Siamo di fronte, dunque, ad un nuovo sistema politico. È finita l’era del bipartitismo, soppiantato dal multipartitismo. Il multipartitismo spagnolo è di tipo moderato, perché, nonostante il clima politico suggerisca il contrario, la distanza ideologica tra i partiti è bassa. I compromessi sono molto più comuni (per questo si parla di democrazia compromissoria o consensuale) e le situazioni di stallo tendono a risolversi, salvo eccezioni come nel 2015, quando Rajoy e Sánchez non sono riusciti a trovare un accordo.

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Mappa elettorale che mostra il partito più votato per municipalità alle ultime elezioni in Spagna. Il PSOE è riuscito a prevalere al sud e al centro nord, mentre i popolari hanno vinto nelle circoscrizioni settentrionali. Boom invece per la sinistra indipendentista (ERC) in Catalogna, mentre Vox aumenta il suo bacino elettorale in Andalusia. Fonte: electoralgeography.com

La sinistra spagnola è quindi in buona salute. Nonostante i voti siano sensibilmente diminuiti rispetto agli anni d’oro, il PSOE di Sánchez ha dimostrato di poter tenere testa alla destra. E se si prende in esame il contesto europeo, la situazione non è poi così grave come viene dipinta dai giornali. L’esplosione dei populisti è stata sovrastimata dai media mainstream: a conti fatti nessun partito populista – eccetto Fidesz in Ungheria – governa da solo in Europa. In Europa Meridionale, sono soltanto tre i Paesi senza il centrosinistra al governo, ovvero Cipro, Croazia e Italia. La Spagna faceva parte di quei Paesi fino a poco tempo fa.

Per capire meglio cosa succederà bisogna aspettare qualche settimana. Le elezioni europee sono dietro l’angolo. Un’eventuale conferma dei socialisti potrebbe soltanto aumentare il potere contrattuale di Sánchez nelle trattative per la formazione del nuovo governo. E nel frattempo uno tra Ciudadanos e Vox potrebbe approfittare del momento di difficoltà dei popolari. Appuntamento dunque al 26 maggio.

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