Politica 2020: l’anno che verrà

Il 2020 è finalmente arrivato e con sé porterà di certo nuovi sconvolgimenti nello scenario politico nostrano. Mai come in questo periodo storico post Seconda Repubblica la situazione politica italiana può essere definita “liquida”: basti pensare alla girandola di entrate e uscite dai partiti e alle imprevedibili alleanze che nell’anno passato si sono succedute al timone del Paese o all’esplosione di movimenti di popolo come le Sardine. Si è assistito infatti alla transizione da un esecutivo di stampo sovranista-reazionario a trazione leghista a un governo giallorosso in cui a far la voce grossa sono i pentastellati, con un Partito Democratico parte della coalizione di governo forse più per riorganizzare le proprie fila stabilizzando la situazione politica che per un reale sentimento di responsabilità nazionale.

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Il carroccio traina la corazzata delle Destre

In queste settimane di festività le compagini politiche stanno serrando i propri ranghi. Il centrodestra si è ormai ricompattato intorno al leader del Carroccio Salvini (al netto del malcontento dei moderati di Forza Italia guidati da Mara Carfagna, in odore di scissione dopo la nascita della sua associazione Voce Libera), forte della sua popolarità e della crescita esponenziale dei consensi della sua gemella guerrafondaia Giorgia Meloni; Silvio Berlusconi, preda dell’età che avanza, pare essersi rassegnato a un ruolo di subalternità pur di non perdere quel poco di popolarità rimasta intorno al progetto politico del suo storico partito, che è crollato dal 14% delle scorse politiche a un esiguo 6% secondo i sondaggi più favorevoli. L’esito delle recenti elezioni in Umbria, che hanno visto le destre doppiare la coalizione sponsorizzata dal governo Conte II, sembra poter cementare ulteriormente la tenuta di questa formazione in vista delle prossime tornate elettorali, prima fra tutte quella in Emilia Romagna.

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Giorgia Meloni, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini. Foto: Giornale di Sicilia.

Scricchiolii sinistri…

Nel centrosinistra l’alleanza con i nemici storici pentastellati ha lasciato dolorosi strascichi nel partito guidato da Nicola Zingaretti, prima fermo sostenitore del “mai con i Cinquestelle”, poi costretto dalla direzione Dem ad accettarne l’alleanza. A uscire dal PD, in seguito a questa decisione, è stato per primo il liberale Calenda, fondatore di Azione e in cerca di alleati per costruire un grande polo centro-riformista. In seguito è toccato a Renzi, che non ha tuttavia alterato gli equilibri nella maggioranza di governo, avendogli garantito il sostegno dei suoi parlamentari e ministri attraverso il suo nuovo partito Italia Viva. È ipotizzabile una convergenza fra l’ex titolare del MISE e l’ex sindaco di Firenze data la compenetrazione dei rispettivi programmi politici (con la partecipazione a latere di +Europa e, chissà, della Carfagna) ma i due dovranno prima appianare le proprie divergenze personali, mai nascoste dalla pubblica piazza dei social network. La segreteria Zingaretti, che ha impostato la propria linea sull’apertura a sinistra del Partito Democratico, ha visto il rientro di alcuni fuoriusciti di Liberi e Uguali (che partecipano al governo con un ministro, Speranza) e Articolo 1; ciononostante, la débâcle alle elezioni umbre sembra aver fiaccato i Dem, che dovranno riorganizzarsi al più presto per cercare di non finire stritolati fra alleanze emergenti e avversari di lungo corso.

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Le (cinque) stelle cadenti

La situazione dei grillini è critica ormai da diversi mesi: la disabitudine alla politica del compromesso e alla responsabilità di governare ha colto impreparato il movimento-partito, resosi succube del più esperto Salvini che, attraverso una comunicazione politica più efficace e una più profonda conoscenza del mestiere, ha prima invertito i rapporti di forza nella fu alleanza gialloverde e ne ha poi polarizzato i consensi e attirato a sé alcuni parlamentari, relegando il M5S a terzo partito in Italia secondo i sondaggi. La figura di Di Maio, logorata dallo scontro con l’ex ministro dell’Interno, è stata ormai soverchiata da quella di Giuseppe Conte, passato dall’essere ostaggio dei suoi vicepremier a vero e proprio rappresentante politico dei pentastellati. Sullo sfondo, l’ala movimentista “di lotta”, capeggiata da Di Battista e Casaleggio (vero deus ex machina del partito), sta preparando le sue carte in vista di un regolamento di conti interno che inevitabilmente dovrà avvenire prima delle prossime politiche, con Roberto Fico spettatore interessato della contesa.

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Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista in un video per le elezioni europee del 2019.

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La tenuta di questo esecutivo è dunque legata a imprevedibili dinamiche di partito e agli impronosticabili eventi politici che l’anno appena iniziato ci riserverà. Una cosa è certa: entro la fine della legislatura è prevista l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. M5S e PD faranno di tutto per impedire al centrodestra di avere la maggioranza parlamentare per indirizzare il rinnovo della più alta carica dello Stato.

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