Dovremmo essere tutti un po’ tutti come Christopher McCandless

La vicenda poetica e straziante di Christopher McCandless, il giovane statunitense di buona famiglia che lasciò tutto per viaggiare in solitaria nel cuore della natura selvaggia per poi morire in Alaska dentro un autobus abbandonato, ci ha toccato tutti. Chi liquida con troppa facilità e una certa dose di snobismo la sua avventura estrema con frasi come: «Era un figlio di papà, se l’è andata a cercare» nega il fine ultimo e l’insegnamento della sua vicenda umana.

La felicità è reale solo se condivisa.

Questa frase, diventata felicemente (o tristemente, dipende dal vostro grado di assuefazione ai social) un mantra per milioni di giovani, racchiude la poetica e l’estetica che hanno guidato il viaggio di Chris. Solo nella solitudine e nell’assenza della relazione con gli altri si scopre quanto la società, con tutte le sue contraddizioni, sia fondamentale nella definizione del nostro essere.

Nelle scorse settimane la vicenda di Christopher McCandless è tornata sotto i riflettori a causa della rimozione del Magic Bus, dentro al quale trascorse le sue ultime settimane di vita, da parte delle autorità dell’Alaska.

Troppi, infatti, gli escursionisti che, rapiti dall’avventura di Christopher, si erano messi sulle sue tracce negli anni, con conseguenze anche mortali. Il Magic Bus è stato rimosso da un elicottero che l’ha fatto planare nella zona di boschi e fiumi in cui il giovane laureato trovò la morte. Una plateale uscita di scena per l’oggetto divenuto negli anni feticcio di tanti giovani, affascinati dalla sua storia. Complice anche il celebre film di Sean Penn con la colonna sonora di Eddie Wedder, Into the Wild, tratto dal romanzo Nelle terre estreme di John Krakauer, che per primo raccontò la vita di Chris, contribuendo a farne un fenomeno sociale.

Lo stesso leader dei Pearl Jam si è detto addolorato per la rimozione del bus, constatando però come non ci potesse essere altra soluzione per impedire alla gente di rischiare la vita a costo di raggiungerlo. Costruire un sentiero, altra opzione per rendere più accessibile la Stampede Trail, il percorso intrapreso da Chris, avrebbe senz’altro snaturato la bellezza selvaggia dei boschi.

Perché tanti giovani (ma non solo) sentono il richiamo dell’avventura così forte da mettersi in viaggio in una zona conosciuta per essere impervia e pericolosa, seguendo le tracce proprio di colui che lì trovò la morte, a causa di una natura inclemente e di una certa avventatezza e ingenuità? Negli ultimi anni si è imposto, anche a causa della incerta situazione economica, un trend che vede le giovani generazioni darsi a mestieri e stili di vita che appartenevano ai loro nonni, come coltivare la terra, puntare all’autogestione energetica e alimentare, lasciare la città prediligendo i luoghi di campagna.

Queste scelte di vita, in aperta controtendenza rispetto al clamore della città e all’imperativo categorico di essere produttivi e in carriera, sono la risposta a una società che vede crescere sempre di più le disparità sociali, richiede sempre più competenze senza offrire in cambio tutele economiche e indottrina fin dalla nascita i giovani a essere consumatori anziché cittadini.

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Christopher McCandless
Il Magic Bus rimosso dalle autorità dell’Alaska. Foto: l’Adige.it

Uno stile di vita che media quello radicale intrapreso da Christopher McCandless, ma che nasce dalle stesse esigenze: ritrovare il contatto con la natura che l’uomo dell’Antropocene ha dimenticato.

L’esigenza di tornare alla terra, fuggendo o distaccandosi dall’influenza maligna della società degli uomini è uno dei temi centrali della filosofia. Soprattutto dell’era post industriale, che avrebbe trasformato il pianeta in una gigantesca fabbrica a cielo aperto, fagocitando ogni anelito di vita in nome del profitto. La vicenda di Chris McCandless rievoca in molti aspetti quella di uno dei più importanti filosofi americani, Henry David Thoreau, che trascorse due anni in una capanna costruita con le sue mani sulla riva del lago Walden in Massachusetts.

Walden ovvero Vita nei boschi è lo scritto più importante di Thoreau, che teorizza l’esigenza per l’uomo di ricostruire un rapporto con la natura per spezzare l’influenza della società, in ottica anti materialista. L’avventura di Chris ricorda però anche le teorie di Leopardi sulla natura maligna, soprattutto l’inquietante morale che emerge da testi come Dialogo della natura e di un Islandese.

L’iniziale entusiasmo del ragazzo, che partì zaino in spalla e bruciò i pochi soldi che aveva per potersi trovare a provvedere a sé stesso con le sue sole forze, si spense una volta trovatosi di fronte alla realtà dei fatti. La natura non perdona, il suo fine ultimo è la morte: parole che Leopardi mette in bocca all’entità che le dà voce nell’operetta morale.

Christopher McCandless è morto solo, dopo una lunga agonia (non è chiaro se di fame o a causa di una pianta velenosa), consapevole di essere senza speranza. Nei suoi scritti però non traspaiono angoscia e disperazione, semmai una velata rassegnazione e una serena accettazione del suo destino, illuminato dalla consapevolezza che il centro dell’esistenza umana è il rapporto con gli altri.

«Ho avuto una vita felice e ringrazio il Signore. Addio e che Dio vi benedica!»

(scritta lasciata da McCandless all’interno del Magic Bus)

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La morte di Christopher McCandless e l’avventura che lo ha portato a quel Magic Bus sono la risposta che l’islandese non riesce a ottenere sul senso dell’esistenza umana, flagellata dalla natura e sottoposta a decadimento e morte. Per questo i pellegrinaggi degli escursionisti sui luoghi della sua morte sono un insulto alla sua memoria, oltre a rappresentare l’ennesimo triste capitolo del turismo dell’orrore.

L’errore che Chris ha fatto è stato mettere sé stesso al centro dell’universo, facendo affidamento sulle sue capacità e sulla sua intraprendenza per piegare la natura al suo volere. Ma l’uomo non è più un “animale” da migliaia di anni. Il suo habitat e il suo fine ultimo sono la sua stessa specie, nella forma della società che lui tanto rifuggiva. L’avventatezza di presentarsi al cospetto della forma più pura di wilderness con nient’altro che il puro, semplice ingegno è stato il peccato di presunzione che lo ha condotto alla morte.

Christopher McCandless
Foto: Pinterest

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Cosa sarebbe diventato Christopher McCandless se fosse uscito incolume dal Magic Bus e fosse riuscito a guadare il fiume che lo ha tenuto in ostaggio fino a portarlo a morire di stenti? Forse, come Thoreau, il cui Walden fu ritrovato accanto al cadavere del giovane, sarebbe diventato un esteta del viaggio e dell’avventura. O invece, come Leopardi, avrebbe teorizzato la malvagità intrinseca della natura. Oppure, sull’onda dei movimenti globali contro il cambiamento climatico, cercherebbe di salvare il pianeta, ostaggio della presunzione umana.

Una possibile risposta, nonché uno spunto di riflessione interessante per tutti coloro che vogliono replicare la vicenda di Chris senza averne colto la morale, è la conclusione a cui arriva proprio Leopardi. Se l’uomo dinanzi alla natura è disarmato e destinato a soccombere, tanti uomini uniti in una “social catena” possono alleviare le proprie sofferenze e provvedere al raggiungimento della felicità, nonostante tutto.

La risposta non è nella solitudine auto imposta, nella ricerca di una libertà che non è altro che un’illusione, ma nel rapporto con gli altri che è alla base della costruzione della società.

Perché dovremmo essere tutti un po’ Christopher McCandless? La ricerca della libertà fa parte di quello spinta vitale che ha portato il genere umano a sfidare ogni limite. Perché “anche no”? Chris è un esempio da cui trarre insegnamento, non da seguire pedissequamente.

La natura non è né buona né cattiva: ma sfidandola l’uomo perderà sempre. Ora che il Magic Bus è stato rimosso, onoriamo la memoria di Chris agendo nel modo in cui avrebbe fatto se fosse sopravvissuto. Un po’ Thoreau, un po’ Leopardi, un po’ Fridays for Future.

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