“Sorelle per la vita”: intervista alla psicoterapeuta Valeria D’Ambra

Sorelle per la vita è il primo romanzo della psicoterapeuta siracusana Valeria D’Ambra, edito nel 2021 da AUGH! Edizioni. Il volume racconta di Agnese, la quale ha due sorelle, di cui la più piccola, Sara, ha la sindrome di Down. Ora con delicatezza, ora con ironia, si raccontano aneddoti e spezzoni di vita quotidiana, passando dalla leggerezza di una giornata al mare all’ansia per gli esami di maturità.

Oggi theWise Magazine ha incontrato l’autrice.

Cosa è l’Associazione DiversaMente?

«DiversaMente è un’associazione siracusana, che ho co-fondato nel 2009, nata da un desiderio preciso: progettare e offrire percorsi di autonomia per giovani adulti con la sindrome Down, per i quali spessissimo si interrompe il processo educativo/formativo, con conseguente marginalizzazione sociale. L’associazione si è occupata inoltre di offrire sostegno alle famiglie di persone con disabilità, inclusi i fratelli e le sorelle.

Altro suo ambito di intervento è stata la promozione di giornate studio, incontri e convegni al fine di promuovere una corretta informazione e formazione su questi temi. Per me è importante poter dire che tutto questo è nato non solo dal mio percorso di studi e formazione in Psicologia, ma soprattutto dalla mia personale esperienza di sorella di una ragazza con sindrome Down».

La copertina di Sorelle per la vita, il primo romanzo di Valeria D’Ambra.

In che modo un fratello si sente responsabile? Come si guarda al futuro di un fratello o una sorella con sindrome di Down?

«Premetto che tutto quello che riguarda l’esperienza di un fratello/sorella di persona con disabilità (da ora in poi utilizzerò per praticità il termine inglese sibling, che sta a indicare proprio questa condizione di vita, se così si può dire) è sempre legata a tante variabili, per cui si tratta di un’esperienza unica e sempre diversa. Ciononostante ci possono essere dei vissuti comuni e ricorrenti.

Qualche bambino potrebbe anche chiedersi perché lui è nato “normale” e il proprio congiunto no. Questo può portare un senso di tristezza, di pesantezza emotiva. Non sempre questo accade. Più frequentemente avviene che il sibling si senta molto coinvolto nella vita del proprio fratello o sorella che ha una disabilità, che si responsabilizzi anzitempo rispetto al suo percorso di crescita, alle sue maggiori difficoltà di inserimento nella comunità dei pari, e così via. 

La questione futuro, poi, è sicuramente molto delicata. Il sibling sa che un domani i genitori non ci saranno più, e che le questioni legate alla vita del proprio fratello lo riguarderanno in prima persona. Credo che questo possa essere vissuto con più o meno serenità a seconda di quanto i genitori siano in grado di affrontare l’argomento man mano che i figli crescono, cogliendo le domande del proprio figlio. È importante poter rispondere a dubbi, domande, paure per tempo, non sottovalutare questa questione rimandandola a tempi futuri, piuttosto parlandone anche nei suoi aspetti più pratici».

In che senso Agnese, la protagonista di Sorella per la vita, si erge a Don Chisciotte?

«Agnese si accorge, sin da piccolina, che non sempre il mondo è accogliente nei confronti di Sara, la sua sorellina con sindrome di Down. Dunque, nonostante il suo temperamento piuttosto mite, quando sente odore di ingiustizia o discriminazione nei confronti di Sara avviene in lei una “trasformazione interiore”.

Sente forte il dovere morale di dover difendere la sorella, e spontaneamente si fa guerriera ad armi non violente perché i diritti di Sara vengano rispettati. Perché Sara raramente riesce a difendersi da sola. Agnese, da questo addestramento non voluto cui la vita la chiama, ne uscirà con qualche ferita ma anche con un animo più attento e sensibile ai temi sociali più difficili, aldilà del personale vissuto».

Come è possibile tutelare un fratello senza ledere la sua autonomia?

«È possibile mantenendo delle “antennine attente”, che sappiano rispondere alla domanda: “Questa cosa serve a lei/lui, perché ha reale bisogno o perché non riesce da solo, o serve a me, per placare la mia ansia, o per sentirmi utile?”. Non credo sia semplice mantenere questo equilibrio, perché il rapporto di fratellanza “condito” dalla disabilità mette in campo delle componenti emotive con cui non è sempre facile confrontarsi.

Penso sia importante non perdere di vista che il proprio fratello/sorella, pur con la sua disabilità, è portatore di una sua capacità, variabile, di autodeterminazione che va tutelata e sostenuta. Non bloccata, sostituendosi a lui/lei. In questo un sibling può essere di grande aiuto: nel farsi compagno nel percorso di autonomia del proprio fratello/sorella. Spesso anche più di un genitore, per il rapporto alla pari tipico dei fratelli/sorelle».

Secondo te, è possibile creare un’identità diversa da quella di “fratello/sorella di…”?

«Sì, lo credo fortemente: è possibile. Se si viene guardati dai propri genitori, insegnanti, parenti nelle proprie caratteristiche uniche e irripetibili, se vengono incoraggiati i talenti, le proprie passioni, se si rivolgono al sibling delle attenzioni esclusive, al di là della presenza del fratello/sorella con disabilità. Se al sibling sarà concesso di poter realizzare i suoi progetti, i suoi sogni. Allora sarà possibile crescere con una identità ben chiara, allora quel/quella sibling potrà essere innanzitutto Anna, Federico, Noemi e non “il fratello/sorella di…”».

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Come cambiano i rapporti famigliari quando nasce un figlio con disabilità?

«Anche questo credo cambi molto da famiglia a famiglia. Alcune famiglie si sgretolano, altre si rinsaldano. In alcune emerge nel tempo un livello di conflitto e sofferenza difficile da reggere, con costi molto alti. In altre i familiari mettono in campo energie inaspettate, uniscono le forze in vista di un obiettivo comune, la crescita e il bene del nuovo arrivato.

Di certo l’arrivo di un figlio con disabilità è quasi sempre un evento destabilizzante per tutti i familiari, è un cambiamento che riguarda tutti, genitori e fratelli/sorelle. È per questo che la famiglia non deve restare mai sola a vivere questo momento della nascita, e neanche quelli successivi. Il sostegno ambientale, sia informale che “istituzionale”, è fondamentale e può fare molto la differenza in termini di qualità di vita per una famiglia che vive questa nascita inusuale».

Può capitare che sul fratello normodotato si riversino aspettative e frustrazioni esagerate?

«Sì, può succedere. Lavorando con famiglie che vivono la realtà della disabilità mi è capitato di vedere che questo accade. Come è facile intuire, questo non gioca a favore del sibling (del fratello normodotato, appunto), perché gli renderà difficile il compito di conoscenza e realizzazione di sé, per quello che lui/lei veramente è, e non secondo quello che i propri genitori desiderino che lui/lei sia. Penso che tanto più i genitori hanno realmente accettato e accolto nel profondo il proprio figlio con disabilità, senza desiderarlo diverso, tanto più questo rischio di riversare attese e richieste sul figlio normodotato è fugato».

Qual è il tuo concetto di inclusione? Questa società lo è veramente?

«Una società inclusiva, per me, è una società in cui ogni persona abbia possibilità pari, a partire dalla propria condizione. Non, quindi, una società in cui tutti debbano raggiungere gli stessi traguardi, fare gli stessi percorsi, ma una comunità in cui ognuno possa scegliere e camminare secondo le proprie possibilità, nel rispetto della propria dignità e unicità di persona.

Un messaggio, poi anche un monito, insito in Sorelle per la vita è proprio questo: non che a Sara sia dato di essere come le altre persone, ma che a Sara sia dato il permesso di essere pienamente Sara, non nonostante ma alla luce del suo cromosoma in più».

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