Su Renatino, Parmigiano Reggiano, sistemi assoluti e capitalismo

Renatino è un personaggio de Gli Amigos, discussissimo mediometraggio di Paolo Genovese per Parmigiano Reggiano. È stato definito alternativamente un problema, una metafora cinematografica, una finzione e uno schiavo. E se invece fosse l’espressione di un sistema? Il manifestarsi in particolare di un assoluto? La struttura che si fa evento? E se questo sistema assoluto non fosse altro che l’ideologia neoliberista, e lo spot un’inconsapevole operazione di propaganda?

I fatti

Il celebre regista Paolo Genovese (che ha diretto, fra le altre cose, il successo internazionale Perfetti sconosciuti) ha realizzato per Parmigiano Reggiano un mediometraggio in cui gli studenti di una scuola di cucina partecipano a una gara per aggiudicarsi uno stage con Massimo Bottura. In tutte le ricette deve essere presente lo stesso ingrediente: il Parmigiano Reggiano. Il film è in sostanza un viaggio alla scoperta dei luoghi in cui il famoso formaggio viene prodotto.

Durante una visita al caseificio, il personaggio interpretato da Stefano Fresi, il maestro della scuola di cucina, pronuncia questa frase: «Nel Parmigiano Reggiano c’è solo latte, sale e caglio. Nient’altro. Nel siero ci sono i batteri lattici. L’unico additivo è Renatino, che lavora qui da quando aveva diciotto anni, tutti i giorni. Trecentosessantacinque giorni l’anno». Seguono le paternalistiche e classiste battute dei giovani studenti. Questi, sottolineando tutto quello che il casaro si è perso lavorando non-stop, e lanciandosi in stucchevoli manifestazioni di stima, chiedono al lavoratore se sia felice. Renatino risponde di sì.

La polemica

Il film, concepito affinché se ne estrapolassero degli spot da trenta secondi, veicolabili anche sui social, ha scatenato, proprio in rete, delle accese polemiche. Per moltissimi utenti, Renatino non è altro che uno schiavo, mentre l’ammirazione degli studenti si presenta come la celebrazione di uno stakanovismo tossico. Tutta la trovata pubblicitaria si ridurrebbe, insomma, a un’apologia dello sfruttamento.

Giustificazioni e scuse non si sono fatte attendere: a partire dal Consorzio, che si è detto dispiaciuto per il fraintendimento del messaggio, promettendo di modificare lievemente la pianificazione della campagna, ad arrivare all’attore Stefano Fresi, che con un videomessaggio sui social ha cercato di spiegare come l’intento fosse esclusivamente quello di magnificare il prodotto.

Promozione, pubblicità, propaganda

Ma non esiste, magari, la possibilità che il punto centrale della questione stia proprio qui: nella precedenza esclusiva della promozione e della pubblicità? È evidente che lo scopo principale di uno spot, o di una collaborazione commerciale come questa, sia pubblicizzare un prodotto; ma fino a che punto questa missione può occultare l’attenzione alla sensibilità sociale e collettiva?

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Nessuno mette in dubbio che non fosse minimamente nelle intenzioni dello sceneggiatore, della produzione o del Consorzio stesso veicolare esplicitamente il messaggio che poi è passato. Ci vuole poco a capire che l’intento perseguito fosse invece quello di usare Renatino come metafora dell’impegno quotidiano che effettivamente è necessario a realizzare un prodotto di qualità come il Parmigiano Reggiano. Ma è possibile che nessuno si sia accorto che fra le righe di questo intento si stava scrivendo anche un’altra storia, si stava propagandando un’ideologia?

La risposta purtroppo è no, proprio perché si trattava di un’ideologia, qualcosa che vive e cresce nelle contraddizioni e nell’inconscio collettivo. Nessuno (o comunque una minoranza) affermerebbe convintamente e con coscienza che lavorare trecentosessantacinque giorni l’anno da quando si è maggiorenni sia una figata, o che sia la porta per la felicità. Tuttavia, tutti (o comunque la maggioranza) provano una stima inconscia per chi si spacca la schiena con diligenza, per chi solertemente si sveglia la mattina e svolge la sua mansione sottopagata, per chi tollera ingiustizie e sfruttamenti pur di portare il pane a casa. A fianco alla compassione che chiunque prova per i rider e le loro condizioni, c’è anche una certa dose di ammirazione per la loro abnegazione.

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L’arte (il cinema ancora lo è) dovrebbe anche fare i conti con l’immaginario, metterlo eventualmente in discussione. Se l’arte si allinea completamente alla mentalità egemone, sia pure perseguendo intenti differenti, allora perde qualcosa, diventa propaganda.

Non è un caso, infatti, che ciò sia accaduto proprio laddove l’arte ha incontrato la pubblicità in maniera così esplicita. Lo spot del Parmigiano Reggiano ricorda a tutti che la pubblicità commerciale è pur sempre una forma di propaganda. Nella nostra società, mentre rende appetibile un prodotto, ogni spot vende contemporaneamente il capitalismo, nel bene e nel male. Questo può avvenire con gradi più o meno alti di consapevolezza, giocando sull’ironia, lasciando il capitalismo come assoluto e come sistema su uno sfondo molto lontano. Ma può avvenire anche con una certa evidenza, ed è ciò che è successo in questo caso. Lo spot del Parmigiano Reggiano si è ritrovato a essere, involontariamente, lo spot degli spot, la pubblicità a tutto ciò che il capitalismo neoliberista cerca sempre di tenere nascosto, o, quando non ci riesce, di rendere appetibile. È così lo sfruttamento diventa dedizione, lo schiavo è «un grande» (in questi termini si rivolge a Renatino uno degli studenti).

Tuttavia, è interessante notare che quando la propaganda fa un passo falso, quando esagera, la gente se ne accorge e si indigna. In Realismo capitalista, Mark Fisher scriveva che il principale punto di forza dell’ideologia dominante del nostro tempo (il realismo capitalista, appunto) fosse l’essere riuscito a inglobare in sé le contraddizioni che produce, colorarle di un significato aderente all’ideologia stessa. È il meccanismo per il quale, ad esempio, la musica alternativa finisce per essere prodotta e distribuita dalla stessa industria del pop mainstream; oppure il ragionamento che conduce un’azienda ad applicare il greenwashing e ritenerlo una soluzione al problema ambientale. Ciò non toglie, però, che le persone possano accorgersi non solo delle storture, ma anche del tentativo del sistema dominante di addolcirle inglobandole.

Il filosofo, blogger e saggista Mark Fisher nel 2015. Foto: Wikipedia Commons

La soglia dell’indignazione (quasi) unanime si sta abbassando sempre di più. Le chance di incanalare le polemiche verso la contestazione stanno aumentando. Nel caso del Parmigiano Reggiano, ogni commentatore, dal personaggio pubblico alla persona comune, ha guardato dietro Renatino, e ha visto gli assoluti e il sistema che lo hanno prodotto. E non gli sono piaciuti per nulla.

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