Milo De Angelis: poesie di cerchi e linee

Nel 2021 Milo De Angelis ha compiuto settant’anni. Qualcuno ha perciò pensato di leggere l’ultima sua raccolta, Linea intera, linea spezzata, come il libro della sua maturità, una sorta di decretata acmè. Come il luogo, per meglio dire, in cui tira le somme della poetica precedente. A ben guardare, ogni fatica che sia momentaneamente l’ultima fatica è passibile di una lettura del genere. Quello di De Angelis è in verità un rimaneggiamento della stessa materia che non si arresta dagli anni Ottanta.

Milo De Angelis

Declinazioni di una poetica: linea intera, linea spezzata

Nell’intervista di Carla Gubert il poeta raccontava come l’interesse verso la parola “cielo” fosse nato addirittura durante gli anni del liceo, per arrivare a svilupparsi più da adulto. Allora è nata prima la rivista Niebo – in polacco “cielo” – e poi la verticalità si è sviluppata in tutte le sue sillogi. Non è per forza una tensione che si mostra nel campo semantico dell’empireo, che pure è ben presente soprattutto nei lavori giovanili, quando di orfismo è intrisa ogni parola di De Angelis. No, è un cielo che si mostra nell’altezza, nello sguardo verso gli appartamenti dei palazzi di Milano. Nel lungo dubbio circa la pienezza di quel cielo si è realizzata una poetica della solitudine e dell’abbandono.

Non del tutto in modo diverso, allora, sarà da leggersi la silloge del 2021. Un riconoscibilissimo De Angelis nei temi e nelle maniere. La morte che l’accompagna, “dal mattino alla sera, insonne, / sorda, come un vecchio rimorso, / o un vizio assurdo”. Una presenza, quindi, non diversa da come l’aveva presentata Cesare Pavese anni prima, uno dei nomi della crestomazia del poeta. E un dialogo, quello coi morti, che non si arresta in nessuna delle sue raccolte. Le voci che arrivano dal cielo configurano i colloqui con le vite spezzate degli altri. Ma la linea spezzata non indica, come potrebbe sembrare, una vita giunta al termine. Sono quelli dei tracciati volontariamente recisi. La vita umana, per propria natura provvisoria, non può che terminare. Il rammarico è per quelle esistenze che si stancano anzitempo.

Leggi anche: Mario Benedetti: qualche parola in più.

Milo De Angeli e quello “sbriciolarsi delle linee”

Sarà pur vero, come si è detto, che ricompaiono i temi ossessionanti di De Angelis. Ma quello che si nota in quest’ultima raccolta è una forma per così dire inedita, che pure non giureremmo essere definitiva. La morte, lo spazio vissuto, il tempo percorso, si ripresentano variate nell’alveo dello stesso tema. Il meccanismo non è distante da quello di Tema dell’addio, in cui si declinava variamente il dolore di una perdita e l’ansietà della scomparsa (morire fu quello / sbriciolarsi delle linee). La dinamica di rivisitazione è medesima. Allo stesso modo saranno allora rintracciabili variazioni strutturanti.

Se nelle raccolte precedenti il tasso di narratività derivava dalla lunghezza del verso e dallo svolgimento delle storie nelle poesie; in questa raccolta è la sovrastruttura a determinare il racconto. Le sezioni di cui Linea intera, linea spezzata si compone sembrano riferirsi con chiarezza a certi periodi della vita del poeta. La biografia di Milo De Angelis è in questo senso pervasiva. Ma di una pregnanza che non si arresta al mero dato biografico, poiché l’esperienza si sviluppa nel segno della sua percezione. Si noterà allora l’influenza dello studio di Maurice Blachot, di cui De Angelis cura nel 1978 l’edizione per Guanda di L’attesa, l’oblio.

Milo De Angelis

Se il cerchio non congiunge

C’è evidente quell’idea mitica della vita, come ripetizione dell’identico, come dispositivo in cui il tempo si eternizza per definizione. Non perché si blocca, ma perché si ripropone secondo una leggere naturale impossibile a evitarsi. Così si spiegano i cerchi, per così dire, che si stringono attorno alle poesie. Sono quelli delle linee 90 e 91, che seguono la circonvallazione esterna di Milano. O ancora i riferimenti ai canali che attraversano il capoluogo meneghino (“Cammini stasera verso le risaie della Barona, cammini / verso le grandi acque che circondano Milano”). O generalmente le ripetizioni sintomatiche della parola cerchio, in occorrenze significative come “ho già disegnato il cerchio sulla pelle”.

Un cerchio, quindi, che riprende in sé la geometria del titolo e che richiama al ciclo di vite di cui la raccolta parla. Un cerchio che si spezza o che non arriva a congiungersi nell’ultima sezione, unica tematica, che raccoglie storie di suicidi.

La vita continuerà altrove. La mia strada incontra un divieto
di accesso e le bacche gelate dall'inverno ripetono
che la mia voce non supera il cerchio,
che la giovinezza ha trovato la sua funebre essenza
che questa maglietta rossonera non sarà più vista
dai compagni e nessun abbraccio la riempirà di esultanza
rimpiango solo quel battere tumultuoso del sangue
che divampava ogni volta negli spogliatoi,
prima delle tribune intraviste e del fischio di partenza.
Il mondo continuerà altrove e io saluto tutti voi nella corsa,
saluto la mia vita, breve, recisa, definitiva.

Ed ecco allora nei testi queste manifestazioni formali, nei termini soprattutto di ripetizioni lessicali e anafore. Ma anche di recupero di un linguaggio tipico di Milo De Angelis, che riesce a configurarsi in questo senso come l’ossatura, la grammatica attorno a cui ruota la sua poesia. La morte, in questa raccolta come nelle precedenti, è allora “quello sbriciolarsi delle linee”, così come era declinato in Tema dell’addio (2005).

Milo De Angelis in un tempo circolare

L’ultimo segnale di questa circolarità, di questa mitizzazione, arriva come un’eco dalle raccolte precedenti. La ritualità, la ripetitività del tempo è segnalata dai percorsi dei mezzi di trasporto. Le linee ferroviarie, quelle degli autobus che percorrono sempre la stressa tratta, così come le stazioni del tram che attendono sempre un medesimo arrivo. Linee dunque che conducono o hanno condotto i posti noti, che si riconfermano puntuali in una struttura rigidissima. Ma come dispostivi contengono in sé una matrice temporale. Solo cioè segnali, punti salvi, che servono a tenere il conto del tempo trascorso, a posizionare i punti sulla linea.

Ecco quindi fare di nuovo comparsa ricorrenze, calendari, orologi e anniversari. Momenti di raccordo, vale a dire, luoghi il cui raggiungimento rappresenta allo stesso tempo il punto da cui guardare il passato e la possibilità di tirare un sospiro di sollievo. Una poesia, in ultimo, che si sostanzia nella ripetizione stremata, ma che non può sfibrare i suoi temi. Al massimo, sfibrate le parole, si riduce il loro spazio nella pagina. Rimane il silenzio del bianco – il colore del nulla, secondo una lezione che De Angelis impara da Beppe Salvia.

Impostazioni privacy