Svolta a sinistra: la rivoluzione colombiana di Gustavo Petro

La Colombia ha eletto il suo nuovo presidente, Gustavo Petro, il primo capo di Stato di sinistra della storia del Paese andino. Oltre al significato ideologico rappresentato dalla salita al potere di Petro e di Francia Márquez, la prima donna afro-discendente eletta vicepresidente, desta grande attenzione il programma ambizioso portato avanti in campagna elettorale. Un’occasione unica per scrivere una pagina democratica destinata a segnare la storia della Colombia e dell’intera America Latina. 

Un risultato storico

Il 19 giugno Gustavo Petro, leader del partito di sinistra Pacto Historico, ha trionfato nel secondo turno delle elezioni presidenziali colombiane. Dopo aver sbaragliato la concorrenza al primo turno, risultando il candidato più votato con più del 40 per cento delle preferenze, Petro si è riconfermato al secondo turno ottenendo addirittura il 50,47 per cento dei voti. Lo scarto nei confronti dello sfidante Rodolfo Hernandez, imprenditore ed esponente della corrente liberale della Liga de gobernantes anticorrupcion, è stato di soli tre punti percentuali. Seppur esiguo, in realtà l’esito va riletto alla luce dell’affluenza registrata per la tornata elettorale, aumentata di oltre due punti rispetto al primo turno.

La percentuale al ballottaggio è stata la più alta degli ultimi decenni: più di 21 milioni di colombiani e colombiane hanno infatti esercitato il proprio diritto di voto, per un totale di circa il 58,01 per cento degli aventi diritto. In questa ottica infatti è possibile osservare come  Petro abbia ottenuto 11,2 milioni di voti dei circa 21,6 milioni espressi (su 39 milioni di aventi diritto), diventando il presidete più votato della storia del Paese.

Economista, 62enne e senatore di lungo corso, Gustavo Petro sarà il primo presidente di sinistra nella storia del Paese. Al suo primato si aggiunge anche quello di Francia Márquez, eletta come vicepresidente, che sarà infatti la prima donna di origini afroamericane a occupare la seconda carica più alta dello Stato. Avvocata femminista di 40 anni, Francia Márquez è famosa per la sua strenua opposizione alle miniere illegali nonché per essere stata in prima persona l’obiettivo di diversi attentati durante la sua attività da ambientalista.

I due profili in corsa per le presidenziali colombiane si distinguono per storia e orientamento: ex combattente della milizia M-19 il primo, magnate populista degli affari e outsider politico il secondo.

Un’ulteriore differenza che ci aiuta a comprendere la geografia del voto la si registra andando ad analizzare i dati demografici e strutturali delle elezioni. Petro ha conquistato la maggioranza nelle periferie delle grandi città, sulla costa, nel sud e nel nord del Paese, a differenza dell’avversario, sostenuto dall’est e dal centro (a eccezione di Bogotà). Fondamentale, anche a livello sociale, è stato il voto delle donne, 1,8 milioni in più nel registro elettorale rispetto alle ultime elezioni di quattro anni fa, e dei giovani, che hanno approvato il piano progressista, femminista ed eco-sociale di Petro e Márquez, in opposizione alla politica populista dell’avversario, il “re di TikTok”, più volte protagonista di affermazioni discutibili riguardo a povertà, diritti e parità di genere.  L’insediamento nel palazzo presidenziale Casa de Nariño avverrà il 7 agosto, da qui comincerà il percorso presidenziale del primo presidente di sinistra della Colombia, ma anche del primo nato nella costa colombiana, a Ciénaga de Oro, e della sua fiera compagna di “lotta”. 

Gustavo Petro: storia di un predestinato

Nato a Ciénaga de Oro, sulla costa caraibica, 62 anni fa, Gustavo Petro vive la sua infanzia prevalentemente in campagna. Cresce tra i contadini e prova sulla sua pelle le difficoltà delle classi più povere ed emarginate. Elemento che ricorrerà spesso durante la sua campagna elettorale. Da giovanissimo si tuffa in politica, aderendo ai movimenti di protesta che negli anni Settanta del secolo scorso spuntano in tutta l’America Latina. La Colombia di quegli anni è lacerata dalla violenza, dai morti e dagli omicidi, ed è in questo clima che si sviluppa il senso civico di Petro, parallelamente alla necessità di servire il suo popolo alla ricerca di un percorso progressista che elevi la condizione economico-sociale delle frange più povere della società. 

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In quegli anni entrerà a far parte del M-19, un gruppo armato rivoluzionario di sinistra, attivo negli atti Settanta e Ottanta, che rivendicherà attentati e sequestri creando un elemento di ambiguità che getterà varie ombre sul passato di Gustavo, non ultimo durante la campagna elettorale. L’M-19 fu infatti protagonista di una delle pagine più tragiche della già drammatica storia della Colombia, quando il 6 novembre 1985 i guerriglieri attaccarono il Palazzo di Giustizia nel cuore di Bogotà, tenendo in ostaggio per due giorni 350 persone, tra cui molti magistrati. Nel raid lanciato dall’esercito per liberarli, morirono 98 persone e 11 furono dichiarate desaparecidasAll’epoca dei fatti Petro non era però presente, dichiarando di non aver mai preso parte ad azioni armate, e trovandosi sotto sequestro durante il periodo delle stragi.

Dopo l’accordo di pace e il disarmo, che portò alla destituzione delle armi da parte del M-19 nel 1990,  Petro verrà costretto alla clandestinità, vivendo per un anno nella giungla. Da intellettuale, resterà sempre nelle retrovie, parlando e discutendo nelle infinite riunioni del gruppo, mentre molti dei  suoi compagni vengono torturati dai gruppi armati filo-governativi di estrema destra. 

Il Palacio de Justicia de Colombia a Bogotà. Foto: Wikimedia Commons.

Quando l’organizzazione firma l’accordo di pace con il governo Samper, Petro, inizialmente eletto deputato nel 1991, torna alla legalità dopo esser stato arrestato e torturato dall’esercito insieme ai suoi compagni del M-19, molti dei quali troveranno la morte in attentati ed esecuzioni sommarie. Fuggito così in Belgio, diventa rappresentante diplomatico per i diritti umani nell’ambasciata colombiana presso l’Unione europea a Bruxelles, dando finalmente concreto inizio alla sua carriera politico-diplomatica. L’esperienza in Belgio sarà per lui estremamente formativa, consentendogli di affacciarsi a una realtà europea, che viveva in quegli anni l’apice del suo sogno idealista di pace e comunione tra Stati.

Il clima di solidarietà respirato in Europa si scontra ferocemente con quello ancora estremamente teso della Colombia. La seconda metà degli anni Novanta infatti è un periodo caratterizzato dall’azione degli squadroni della morte e dalla nascita dei Comitati di autodifesa che i conservatori e la destra estrema usano come falange armata dei propri dettami repressivi. Petro in quegli anni si avvicina al movimento ambientalista e rientrato in patria nel 1998 verrà nuovamente eletto al Congresso nel 2002, potendo questa volta esercitare il suo ruolo di pungolo della maggioranza conservatrice al governo e in Parlamento. 

Durante i suoi anni al congresso, è stato il più feroce oppositore delle élite al potere, rivelando alcuni dei più gravi scandali come la «parapolitica», ovvero l’infiltrazione dei paramilitari in politica, o i cosiddetti «falsi positivi», cioè gli assassinii extragiudiziali operati dall’esercito nelle zone controllate dai guerriglieri delle Farc. Nei suoi anni all’opposizione capitalizzò il malcontento dei giovani e di altri settori emarginati dello strato sociale che cominciarono a manifestare nelle piazze il loro malcontento nei confronti delle disuguaglianze, delle ingiustizie sociali, della disoccupazione e del lavoro in nero. Intorno a questi temi si creò lo zoccolo duro dell’elettorato di Petro, e la sua politica cominciò sempre più a parlare della mancanza di assistenza sanitaria, della cattiva qualità e dei costi elevati dell’istruzione così come dell’assenza di politiche d’inclusione a favore di donne e minoranze etniche.

Una riforma fiscale e pensionistica e politiche più attente all’ambiente furono i temi centrali durante la campagna elettorale nella quale Petro tentò il grande salto alla presidenza, nel 2010, con esito negativo per ben due volte. Il primo importante successo lo otterrà  invece nel 2011 con l’elezione a  sindaco di Bogotà, carica dalla quale viene destituito dopo tre anni a seguito di un’inchiesta sugli appalti per la raccolta dei rifiuti. Lo scandalo, che avrebbe potuto affossarlo politicamente segnando la fine prematura della politica di sinistra al suo primo vero e proprio palcoscenico nazionale, diventa invece l’occasione per conquistare fama e seguito. È in quel momento che Petro comincia davvero a riempire Plaza Bolivar, il cuore pulsante di Bogotà, per difendersi e diffondere l’immagine di un politico perseguitato, alla ricerca di una rivoluzione dello status quo. Quando la Corte interamericana dei Diritti umani, nel 2014, ordina il suo reintegro alla guida della capitale, Petro è ormai il leader indiscusso della sinistra colombiana.

Uomo della sinistra radicale, accusato dalle opposizioni di voler seguire il modello autoritario del Venezuela di Maduro, Petro ha spiazzato molti durante il suo primo discorso da presidente eletto, nel quale ha fatta chiara la sua intenzione di voler sviluppare una forma di capitalismo che consenta alla Colombia di uscire da una fase di pre-modernità, di feudalesimo, così come lui stesso lo ha definito, nella ricerca di un pluralismo di coscienze, un pluralismo ideologico e un pluralismo di colori, che consenta al paese di svilupparsi autonomamente. La sinistra vista come uno spettro che avrebbe aperto le porte al chavismo di Maduro e alla Cuba di Fidel, è riuscita ad imporsi nella sua forma più progressista e autentica, portando alla Casa del Nariño un leader politico apprezzato con una lunga esperienza istituzionale alle spalle e una vicepresidente donna  molto popolare sulla costa atlantica dei Caraibi, il cui apporto alla vittoria è stato determinante.

Storia della Colombia dal 1940 ad oggi

Per comprendere la portata storica della rivoluzione realizzata da Petro è opportuno fare un passo indietro e analizzare il percorso politico che ha segnato il Paese andino lungo i suoi anni di interminabili conflitti e tensioni economico-sociali. La vicenda politica della Colombia dagli anni Quaranta ad oggi si può riassumere nel conflitto storico tra le due frange polarizzatrici della popolazione caraibica, ovvero lo scontro fra liberali e conservatori. All’interno di questo quadro politico si innestavano fattori diversi, come la protesta contro l’oligarchia dominante e un’insurrezione contadina nelle campagne, cui storicamente i latifondisti risposero con l’impiego di milizie private, accrescendone la dimensione di massa e l’impatto sociale. Nonostante il raggiungimento di un accordo che sancì di fatto l’alternanza al potere delle due forze tra il 1958 e il 1974, non si riuscì mai ad allargare in modo significativo le basi sociali del sistema politico colombiano. Di qui lo sviluppo, negli anni Sessanta, di movimenti di guerriglia parastatali e paralleli alle forze politiche come le Farc (Fuerzas armadas revolucionarias de Colombia), vicine al Partito comunista, ai quali si aggiunse, negli anni Settanta, l’M-19 (Movimiento 19 de Abril).

La crisi economica degli anni Ottanta favorì un aumento della violenza sociale e politica, anche in relazione al forte sviluppo dell’industria illegale della cocaina; numerose vittime furono provocate, soprattutto dopo il 1985, dal conflitto tra le forze di sicurezza e le organizzazioni dei narcotrafficanti, che hanno condizionato  e ancora condizionano il corretto e autonomo funzionamento stesso delle istituzioni. Nel 1989 il presidente liberale Barco Vargas riuscì a ristabilire il dialogo con le principali organizzazioni guerrigliere e nel 1990 l’M-19 pose termine alla lotta armata; tuttavia, nel biennio 1992-93 si assistette a una ripresa dell’attività terroristica, per schiacciare la quale il neoeletto presidente della Repubblica Uribe Velez, nel 2002, si affidò al gruppo paramilitare delle Autodefensas Unidas de Colombia (Auc, estrema destra). Il gruppo fungeva da forza ausiliaria dell’esercito governativo , utilizzata per diffondere il terrore e sviare i sospetti sulla responsabilità delle forze armate nella violazione dei diritti umani durante il conflitto. Anni più tardi Vélez giunse a un accordo fra il governo e i paramilitari di destra, ai quali fu promessa l’impunità se avessero deposto le armi. Negli anni a lui successivi la Colombia ha sperimentato un periodo di lieve miglioramento della situazione macroeconomica, mentre molto critica è rimasta la situazione sociale.

Il Comandante del M-19 Carlos Pizarro Leóngoméz. Foto: Wikimedia Commons.

Il clima delle elezioni e le sfide di Petro: il progetto latino-americano

Il respiro democratico che comincia a spirare con le elezioni di Petro ha un significato che va ben oltre la sua mera caratterizzazione nazionalistica. Per comprenderne le ragioni è necessario stressare l’importanza tanto sul clima nel quale le elezioni si sono tenute, quanto nel ruolo che questo esito elettorale giocherà nello scacchiere progressista dell’intero continente latino-americano.  

Partendo dal primo fattore, è fondamentale ricordare che le elezioni si sono svolte in un clima sociale esasperato dai problemi della disuguaglianza crescente, dell’inflazione e della violenza. Il Paese che si è presentato alle urne è stato un paese scosso dalla pandemia, dalla recessione, da un picco di violenza legata al traffico di droga e alla criminalità e dalla rabbia generalizzata nei confronti dell’establishment politico.

Questi fattori hanno spinto gli elettori del primo turno elettorale del mese scorso a punire i partiti tradizionali, di centro e di destra, che governavano da tempo, scegliendo di dar spazio a quelli che si erano posti come i due outsider politici, almeno per appartenenza partitica ma non necessariamente ideologica, nel ballottaggio. A conclusione di una delle campagne più controverse e tese che la patria di Botero e Gabriel Garcia Márquez abbia mai vissuto, a vincere dunque è stato il candidato che più di tutti riunisce in sé le grandi contraddizioni della Colombia. Figura molto spigolosa, quella di Petro è una vita che si dispiega attraverso il passato nella sinistra radicale, fino al cursus honorum delle cariche politiche e diplomatiche ricoperte che lo hanno portato al trionfo presidenziale da tempo agognato.

L’esito elettorale segna la conclusione di un percorso che sembra portare con se tutte quelle connotazioni di realismo magico di cui la Colombia stessa e il suo più grande interprete letterario Gabo Márquez sono stati protagonisti nel corso della storia del Paese andino. Obiettivo primo di Gustavo sarà quindi ricucire insieme un Paese profondamente diviso, dando nuovo significato alle parole unità e integrità, al contempo preservandone il pluralismo. Per portare avanti il processo di pacificazione nel Paese ,Petro dovrà firmare l’accordo con il gruppo guerrigliero dell’Esercito di Liberazione Nazionale (Elm), ma soprattutto attuare integralmente l’accordo di pace firmato nel 2016 tra lo Stato e le Farc (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – Esercito del Popolo), per porre fine alle uccisioni di ex-guerriglieri, leader sociali, indigeni, contadini e ambientalisti sotto i colpi del paramilitarismo al servizio delle élite.

Per quanto riguarda lo sviluppo, la difesa dell’ambiente e l’ingiustizia sociale, Petro condivide con gli altri maggiori Paesi della regione, quali Messico, Brasile, Cile, Argentina, Perù e Venezuela, l’integrazione regionale latinoamericana come risposta comune alle prerogative democratiche dei singoli Stati. Come emerso nel Vertice delle Americhe a Los Angeles, i principali Paesi latinoamericani vogliono essere considerati  come partner e non strumento a servizio degli Stati Uniti, senza esclusioni (quali Cuba, Nicaragua, Venezuela, considerati dagli Stati Uniti “nemici” per via dei regimi socialisti e autoritari). Il cambiamento verso un’America Latina più inclusiva e protagonista non si avverte solo nel territorio latinoamericano, ma il suo eco arriva anche negli Stati Uniti e in Europa.

Le attenzioni riservate alla Colombia arrivano infatti da diverse parti del mondo. Agli Stati Uniti che storicamente hanno esercitato la loro influenza sul continente latino, si affianca adesso la Cina, pronta a intercettare la ricerca di nuovi creditori internazionali che il precario stato fiscale della Colombia potrebbe presto richiedere.  

Dando uno sguardo al processo di rafforzamento democratico delle forze progressiste in America Latina, la vittoria di Petro potrebbe rappresentare un punto di svolta anche per il resto della regione, innestandosi in linea di coerenza con il percorso intrapreso da Messico e Cile, rispettivamente con i governi di sinistra di portata storica con a capo Lopez Obradoro e Gabriel Boric, così come da Argentina, Bolivia, Perù e idealmente in Brasile, in attesa dell’esito delle elezioni del 2 ottobre, nelle quali Luiz Inácio Lula da Silva è dato avanti nei sondaggi.  A confermare la centralità di queste elezioni, le parole dell’ex presidente del Brasile Dilma Rousseff, alleata di Lula nel Partito dei Lavoratori, secondo la quale il trionfo storico della sinistra in Colombia rappresenta un sollievo e una rinnovata speranza per tutti i Paesi dell’America latina che lottano per la democrazia e contro il neoliberalismo. In caso di elezione di Lula in Brasile si verrebbe infatti a creare un blocco progressista, che potrebbe riportare in auge alcuni dei temi dell’agenda della regione che erano stati centrali durante la cosiddetta “ondata rossa” degli inizi degli anni Duemila. Ambiente, uguaglianza, rispetto dei diritti umani e integrazione latino-americana saranno alcuni degli argomenti di questa strategia di politica internazionale regionale, nonché le principali sfide dei governi nazionali. Nella necessità di dare applicazione concreta agli ideali democratici venuti alla ribalta nelle ultime tornate elettorali, e di portare a compimento un progetto regionale che non è mai riuscito a decollare del tutto.

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Francia Márquez nel 2019. Foto: Wikimedia Commons.

I punti del programma

Il nuovo governo segna l’inizio del Vivir sabroso, lo slogan utilizzato nella campagna elettorale, caratterizzato da diritti, dignità, giustizia sociale e ambientale. Petro ha già fatto alcune richieste precise: liberare i giovani arrestati durante le manifestazioni degli scorsi anni e ancora in carcere, rivedere l’accordo di estrazione con gli Stati Uniti («perché anche i narcos devono prima essere processati in Colombia») e sviluppare l’economia del Paese. Ma vediamo più nel dettaglio i punti principali del programma. 

Il Paese che eredita il nuovo presidente, nonostante  una crescita record del Pil del 10,7 per cento nell’ultimo anno,  è segnato da una forte ed endemica indigenza della frange più deboli della popolazione. Dati alla mano, circa il 39 per cento della popolazione vive in povertà e la disoccupazione ha superato la soglia del 12 per cento. 

  • Una prima riforma di Petro volta a ridurre la povertà riguarderebbe  un cambiamento del modello economico, non quindi una semplice riforma agraria che colpisca il latifondo, da sempre la scommessa sulla quale hanno puntato tutte le rivoluzioni latinoamericane, ma modifiche ambiziose all’intero paradigma produttivo.
  • Per la lotta alla corruzione è stata annunciata una Commissione d’inchiesta indipendente che indaghi sui casi più macroscopici che hanno colpito l’opinione pubblica e hanno contribuito alla sconfitta dei partiti tradizionali. 
  • Sull’energia Petro ha annunciato la messa al bando del fracking (una tecnica estrattiva di petrolio e gas naturali, che consiste nel provocare la formazione di fratture nelle pareti di pozzi immettendo potenti getti di acqua e sostanze chimiche che spezzano le rocce) e una transizione che punti alle rinnovabili, riducendo petrolio e carbone, (in un Paese in cui gli idrocarburi costituiscono la metà delle esportazioni). 
  • Per l’uguaglianza tra i sessi, l’obiettivo datosi è quello di raggiungere il 50 per cento della presenza femminile nelle cariche pubbliche e l’istituzione del ministero della Parità. In questa direzione un primo passo in coerenza con l’obiettivo è stato la scelta di Francia Márquez come vicepresidente. 
  • Nel campo della sicurezza il programma prevede la “smilitarizzazione della vita sociale”, attraverso la fine del servizio militare obbligatorio, il passaggio del controllo della Polizia nazionale dal ministero della Difesa a quello dell’Interno o della Giustizia e lo smantellamento dell’Esmad (Escuadrón Móvil Antidisturbios), il braccio armato del regime di Duque, accusato di abusi e violenze.
  • Ambizioso infine è il punto sulla riforma tributaria, con l’introduzione di un’imposta patrimoniale per le quattromila più grandi fortune colombiane. Modifiche sono state annunciate anche per la sanità e il sistema pensionistico.

Le sfide che si presentano dinanzi a Petro sono molte, non ultime quelle ambiziose dettate dal programma elettorale. La riforma dell’energia e quella della sicurezza, su tutte, sono destinate a creare una discontinuità storica rispetto al passato e agli interessi da sempre protetti dai partiti di potere. Nessun altro candidato nella storia colombiana è però paragonabile a Petro. Il suo passato rivoluzionario, caratterizzato da arresti, torture in carcere ed esilio, sembra ricordare la storia dei grandi personaggi dipinti da Gabriel Garcia Márquez , di quegli uomini dimenticati che popolano Macondo nello splendido romanzo Cent’anni di solitudine, sullo sfondo di un drammatico messaggio di isolamento e arretratezza. Quello stesso isolamento che, nella lente trasfigurata della fantasia dell’autore, ripercorre il periodo colombiano dalla sua nascita nel 1830 alla depressione economica post-bananiera di cento anni dopo.

Dopo aver denunciato per anni la corruzione e i legami tra Stato e paramilitari, Petro si trova davanti a quella che forse è la più grande sfida da lui affrontata finora, quella di confermarsi come uomo del popolo e non più eterno secondo. Quella di creare un solco con il passato e dare inizio ad una nuova stagione progressista per la Colombia e per l’America latina tutta.  Nella convinzione  e nella speranza di appartenere a quel lignaggio di uomini giganti donato al mondo dall’ex presidente uruguaiano José “Pepe” Mujica , degli uomini mai vinti, perché figli di una causa.

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