Cos’è successo nel Congresso del Partito Comunista Cinese

Domenica 16 ottobre è iniziato il XX congresso del Partito Comunista Cinese, presieduto dal segretario generale Xi Jinping. L’evento, che si tiene ogni cinque anni, durerà una settimana e si svolgerà a porte chiuse presso la Grande Sala del Popolo sul lato occidentale di Piazza Tienanmen. Anche se dovrebbe trattarsi solo di una formalità, il congresso dovrebbe rinnovare per la terza volta di fila il mandato di segretario generale a Xi Jinping, che potrebbe così essere definito il leader più influente della storia del partito dai tempi di Mao Tse-tung.

Domenica 23 ottobre verrà svelato il nuovo Comitato permanente del Politburo, l’organo più importante del Partito al cui vertice siede il Segretario generale del Pcc. Se sembra certa la rielezione di Xi Jinping, provare a stilare una lista certa dei nomi dei membri che formeranno il Comitato centrale è cosa molto ardua.

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Il presidente della Repubblica popolare cinese Xi Jinping al 70mo anniversario dell’istituzione delle relazioni diplomatiche tra Cina e Russia il 5 giugno 2019. Foto: WikiMedia Commons.

Di cosa si è parlato al Congresso

Il discorso di domenica scorsa di Xi Jinping al congresso del partito comunista cinese è stato contornato, come era facile aspettarsi, da forti elementi nazionalisti. Per il segretario, la Cina deve tornare alla grandezza nazionale e al posto nel mondo che Pechino occupava fino alla penetrazione occidentale, cominciata con la prima guerra dell’oppio nel 1839.

Secondo il leader cinese, nell’occasione del centenario della nascita delle Republica popolare cinese (2049) quest’ultima dovrà marcare il raggiungimento della piena modernizzazione. Viene però fissata anche una tappa intermedia, quella del 2035, dove il Paese dovrà raggiungere la realizzazione della “modernizzazione socialista”. Secondo molti, è proprio verso questa data che Xi Jinping proietta la sua leadership, dato che il 2049 è comunque una data molto lontana.

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Un altro momento saliente del discorso di Xi è stato quello su Taiwan, argomento piuttosto delicato vista la crisi diplomatica con gli Stati Uniti di questa estate. Il leader comunista ha fatto riferimento alla necessità di completare la riunificazione con l’isola, e se da un lato viene auspicata una riannessione pacifica, non viene escluso il ricorso all’uso della forza se necessario, magari proprio a causa di interferenze straniere.

Un passaggio che molti osservatori hanno tenuto d’occhio è quello sulla corretta formulazione di ciò che viene definito come contributo ideologico della Quinta generazione. Infatti, Dal 1949 a oggi si sono infatti succedute cinque generazioni di dirigenti del Pcc, ognuna rappresentata dal proprio leader, da Mao Tse-tung fino proprio al presente con Xi Jinping.

Foto del XVIII Congresso del Partito comunista cinese, 11 novembre 2012. WikiMedia Commons

Nel documento più importante del partito, lo Statuto del Pcc, è contenuta una breve formulazione che racchiude l’essenza di quanto compiuto da ciascuna generazione di leader. Una delle innovazioni del Congresso del 2017 fu il ritorno ad utilizzare il nome del segretario del partito nel titolo dello Statuto, tradizione che si era interrotta con Deng Xiaoping.

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Ma più che da questo discorso, l’influenza di Xi Jinping verrà testata in base alla composizione degli organi di partito, in particolare in quella del vertice apicale del Comitato permanente del Politburo. Il numero di alleati presenti all’interno del Comitato darà una fotografia più precisa dei rapporti di forza attuali, dandoci anche un segnale della linea che la Cina percorrerà. Gli sviluppi avranno ripercussioni anche sul resto della comunità internazionale, essendo il Paese il competitor principale per la leadership globale degli Stati Uniti. Una rivalità, questa, alimentata ancor di più dai venti di guerra che soffiano sul mondo.

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