Apre i battenti a Bologna il 15 novembre FICO Eataly World (Fabbrica Italiana Contadina), parco dedicato alle eccellenze gastronomiche italiane e mirato alla promozione della dieta mediterranea come «l’unica dieta sostenibile sia dal punto di vista della produzione che del consumo alimentare». Un evento atteso da ormai tre anni, dopo l’annuncio del progetto nel 2014 come erede concettuale di quello che sarebbe stato l’Expo di Milano 2015. All’inaugurazione sarà presente anche il Presidente del Consiglio dei Ministri Paolo Gentiloni.
Il Parco sarà organizzato in modo tale da far conoscere e promuovere la filiera produttiva dei prodotti tipici italiani. I punti di ristorazione, i mercati e le botteghe in cui poter acquistare le eccellenze del made in Italy occuperanno il resto della struttura, percorribile anche in bicicletta. All’interno sarà possibile inoltre partecipare a eventi, corsi, convegni e percorsi accompagnati tutto l’anno grazie ai quali sarà possibile farsi un’idea pratica di come il cibo arriva sulle nostre tavole. Alla gestione operativa affidata all’amministratore delegato Tiziana Primori, direttore Sviluppo Partecipate del gruppo Coop Adriatica, si affianca la neonata Fondazione FICO, che coprirà il ruolo di “anima divulgativa”, come dichiarato dal suo presidente Andrea Segrè.
Il parco aprirà dunque al pubblico dopo una lunga attesa culminata con un interrogativo molto semplice e diretto: «E tu vuoi essere fico?». Nonostante vengano intrinsecamente dati per scontati risultati positivi tramite questa domanda (come d’altro canto è giusto che sia, in caso contrario l’intero progetto non sarebbe neanche partito), cerchiamo di delimitare il contesto entro il quale si è sviluppata l’idea e il progetto del parco, di capire chi sono i soggetti che prenderanno parte a quello che dovrebbe diventare «un punto di riferimento a livello nazionale e internazionale su questi temi [N.d.A: l’agroalimentare, e la salute umana e ambientale che ne dipendono] centrali per il nostro futuro», e di ipotizzare quali possono essere state le esigenze che hanno fatto sorgere la necessità della nascita dell’universo FICO.
Quando?
Sembra un classico della commedia all’italiana, in cui il vizio del ritardo nei lavori non cessa mai di invadere le opere edili nel nostro paese. Per l’appunto, la data di inizio dei lavori era stata fissata inizialmente al primo trimestre del 2015, in modo da poter inaugurare il parco entro la chiusura di Expo; tutto ciò per costruire un “ponte ideale” con l’eredità che avrebbe lasciato l’Expo di Milano – fissata nella cosiddetta Carta di Milano – che consiste nel «combattere la denutrizione e la malnutrizione, promuovere un equo accesso alle risorse naturali, garantire una gestione sostenibile dei processi produttivi».
Risulta dunque chiaro il contributo fondamentale dell’Expo, non tanto per la vasta – se non mondiale – offerta culinaria, quanto per le risposte a tali sfide a livello tecnologico e innovativo. Sarà infatti curioso scoprire il rapporto che emergerà su scala pubblica a partire da quest’anno tra la tradizione agroalimentare italiana e l’innovazione del settore stesso, rapporto che sembra a primo impatto paradossale.
Dove?
Fico Eataly Wolrd occuperà la zona fino all’anno scorso dedicata alla commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli – il Centro Agroalimentare di Bologna (CAAB) – su una superficie totale di 80.000 metri quadri. Il parco verrà alimentato tramite l’energia elettrica prodotta dall’impianto fotovoltaico del Centro (100.000 metri quadri per 11 milioni di Kwh, per il quale è stato necessario un investimento da 22.5 milioni di euro), riducendo così i costi dell’energia. Le normali attività di compravendita di ortofrutta si sono spostate nella Nuova Area Mercatale, una zona adiacente al CAAB di più di 50.000 metri quadri.
La scelta del luogo non è casuale. In primis, il centro è il fiore all’occhiello dell’agroalimentare bolognese, con 400 milioni di fatturato annuo, 2.4 milioni di quintali di ortofrutta commercializzata all’anno, sedici aziende grossiste, 100 imprese dirette, 2000 clienti grossisti e dettaglianti, cinque cooperative che comprendono 290 aziende e due borse merci; questi sono i numeri che hanno portato il Centro a siglare un protocollo d’intesa con la municipalità di New York che lo ha gemellato con il Green Market nel 2014. Inoltre, la nascita di Fico sul suolo del CAAB porta con sé una migliore gestione degli spazi: prima del progetto, solo il 60% dello spazio disponibile veniva effettivamente utilizzato, per cui l’area utilizzata della NAM rispetto al CAAB è stata ridotta del 75% (da 80 baie di carico a 25).
Inoltre, il Centro Agroalimentare bolognese ha versato 13.5 milioni di euro nelle casse comunali tra il 2011 e il 2017, comprensori di tasse, debiti sulla costruzione del centro e relativi interessi. Ciò è stato possibile soprattutto grazie ad una corretta gestione monetaria per cui nello stesso periodo il bilancio di esercizio è sempre rimasto positivo con buoni risultati. Il contributo economico al comune di Bologna di quella decina di ettari dedicati all’agricoltura italiana continuerà a crescere se si dovessero verificare le ottimiste prospettive del patron di Eataly Oscar Farinetti.
A questo proposito, non sembra altrettanto casuale la scelta di far nascere Fico proprio a Bologna. Le visite attese ogni anno da FICO – 6 milioni di visitatori – si inseriscono in un contesto di espansione e valorizzazione della città di Bologna. Città crocevia logistico, con i suoi snodi autostradali, la tangenziale, e il progetto del “passante nord” in via di concretizzazione (un nuovo anello autostradale che circoscriverà l’area metropolitana di Bologna), la stazione dei treni, dotata da ormai un paio di anni di una parte dedicata interamente all’alta velocità, e l’aeroporto. Questi tre elementi logistici garantiscono alla città un flusso turistico non trascurabile. Si tratta tuttavia di turismo prettamente lavorativo – spesso in concomitanza con i vari eventi che si svolgono ogni anno alla Fiera di Bologna – e, quando non si tratta di viaggi di lavoro, difficilmente di permanenza prolungata.
Con il finanziamento accordato quest’estate tra il Comune di Bologna e il Governo, oltre ai 162 milioni che entreranno nelle casse comunali per opere infrastrutturali, ambientali e di edilizia sociale, si concretizza seriamente la possibilità di dare a Bologna una rilevanza che prima spettava alle città italiane dotate di un immenso patrimonio artistico. Non solo, il desiderio di aumentare l’offerta turistica è proseguito tramite l’apertura all’aeroporto di Bologna di nuove tratte low cost con Ryanair.
È pertanto chiaro l’intento di diversificare l’offerta turistica per richiamare appunto diverse classi di turisti; ma su cosa punterà Bologna? In due parole: ambiente e cibo. La tradizione gastronomica emiliana verrà raccontata non solo da Fico Eataly World, ma anche dai numerosi punti di ristorazione nati negli ultimi anni che servono e mostrano le specialità emiliane.
L’ambiente invece, è un tema che è stato largamente trattato a Bologna nell’ultimo anno, avendo ospitato questa primavera il G7 sull’ambiente, ma non solo. Già dal 2014 è operativo il sistema di trasporto di prodotti ortofrutticoli Bologna City Logistic: un servizio dotato di van della portata di 4,5 quintali che forniscono i prodotti alimentari presenti nel CAAB alle Zone a Traffico Limitato della città (come l’Hotel Baglioni e il Mercato delle Erbe). La peculiarità del servizio risiede nel van, alimentato elettricamente dall’impianto fotovoltaico del CAAB, luogo da cui partono. Ambiente e cibo, due temi strettamente collegati tra di loro fanno perno nella città “dotta e grassa”, come a decretare la nascita di una capitale internazionale di enogastronomia ed ecologia.
Chi?
L’intero progetto e la sua esecuzione sono stati finanziati tramite il Fondo Parchi Agroalimentari Italiani, istituito nel 2014. Alla sua nascita comprendeva già una somma di circa 100 milioni di euro, di cui 55 circa consistenti nel patrimonio immobiliare del CAAB – dove sorgerà FICO – e 40 provenienti da sottoscrizioni di quote da parte di investitori qualificati tra cui Coop Adriatica, Eataly e Intesa San Paolo. Già un anno dopo la sua nascita il Fondo ha raggiunto quota 140 milioni circa, segno di un crescente interesse per il progetto. Il Fondo, della durata di 40 anni, è suddiviso in due comparti, uno dedicato interamente al finanziamento di FICO Eataly World, e l’altro riservato alla costruzione della Nuova Area Mercatale, l’area adiacente a Fico già operativa da aprile 2016.
Il project management è stato affidato a Prelios SGR, una società italiana di gestione dei fondi immobiliari da 3,8 miliardi di assets under management suddivisi in 20 fondi, la quale ha istituito e sottoscritto il Fondo PAI vincendone il bando uscito nel 2013. La società è talmente ben affermata nell’ambiente immobiliare da aver attirato l’attenzione cinese. È di giugno infatti la notizia di un’offerta proveniente da Cefc – gruppo proprietario della squadra di calcio Slavia Praga, della banca ceca J&T e possessore del 51% della Khazakistan National Petroleum International Corporation – pari a 0,103 euro per azione. La società cinese non è tuttavia l’unica ad essere interessata. Tra gli offerenti ci sono anche la Davidson Kemper Capital Management (USA) e l’italiana Technoinvestimenti.
Come già accennato, la direzione del parco è stata affidata al Direttore Sviluppo di Coop Adriatica Tiziana Primori, mentre gli aspetti costituenti l’anima effettiva del parco verranno gestiti dalla Fondazione Fico per l’Educazione Alimentare ed alla Sostenibilità, la quale lancerà collaborazioni con il Ministero dell’Ambiente, l’Università di Bologna e l’Università di Pollenzo (SlowFood). Tra i soci fondatori della fondazione che farà da perno dell’educazione alimentare troviamo il suo presidente, l’agroeconomista e presidente del CAAB Andrea Segrè, il Fondo mutualistico di LegaCoop (CoopFond), l’Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza Veterinari e l’Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Medici, il quale ha investito nel fondo PAI 14 milioni.
Perché?
I marchi Eataly, SlowFood e Coop sono noti per la rigida selezione dei prodotti. Selezione che poggia le sue basi sul sistema biologico: uso della chimica minore possibile e operazioni colturali il meno invasive possibili. Trattasi di un sistema produttivo che – al contrario di quello convenzionale – genera maggior valore aggiunto durante la catena (valore che non necessariamente viene redistribuito tra i produttori lungo la stessa). I prodotti del Made in Italy, principalmente biologici, sono riusciti a creare un settore di esportazione pari a 38 miliardi di euro (2016). Al 2015, l’export comunitario di prodotti agroalimentari ha raggiunto quota 129 miliardi, 36.8 dei quali provenienti dall’Italia (quasi un terzo!).
È dunque molto chiaro come l’agroalimentare italiano sia diventato un settore di grande interesse per un paese importatore netto di numerosi prodotti (anche agroalimentari); pertanto la promozione della filiera dei prodotti tipici con Fico e la sua fondazione assume particolari strategici, evidentemente in virtù di un possibile aumento dei volumi esportati, se si considera il numero atteso di turisti all’anno. Interesse verificato dalla forte campagna pubblicitaria dentro e fuori il nostro paese (si ricorda che Eataly possiede numerosi punti vendita in giro per il mondo molto frequentati).
La promozione del modello agricolo italiano e dei suoi prodotti sarà spalleggiata, come già accennato, dalla fondazione Fico con lo scopo di “educare” i visitatori sui temi oggetto del parco. Si preannuncia dunque l’entrata in pratica di quella “educazione alimentare” di cui si è sentito tanto parlare negli ultimi anni. Saper usare i prodotti che la terra ci offre non sembra essere infatti così semplice, data la quantità di cibo che annualmente viene sprecata durante il consumo; le cause di questo spreco risultano infatti essere una «errata pianificazione dell’acquisto» e una «scarsa conoscenza su come cucinare gli avanzi».
In aggiunta a come usare correttamente il cibo, la fondazione si preoccupa anche di promuovere un’alimentazione sana. Limitare la malnutrizione e la denutrizione è infatti uno degli obiettivi posti con la Carta di Milano. Il piano di rilancio dei consumi ortofrutticoli già in atto (si pensi alle leggi in materia di consumo di frutta biologica nelle mense scolastiche) stima che con un maggior consumo giornaliero di frutta si possano ridurre i rischi di insorgenza di malattie cardiovascolari tali da poter far risparmiare al sistema sanitario fino a 8.9 miliardi di euro per la cura di queste malattie.
Sarà Fico?
Non avendo nessun dato a disposizione, è inutile cercare di dare una risposta certa alla domanda se sarà un successo o meno. Tuttavia, quando un cartellone pubblicitario chiede se ti senti fico, è naturale chiedersi invece se lo sarà il parco.
Il paradosso qualità-spreco
È dato oramai per certo che gli standard estetici e organolettici di un alimento (alcuni dei fattori che contribuiscono alla definizione di qualità) costituiscono uno dei motivi per i quali il cibo viene sprecato. Un prodotto sugli scaffali del supermercato presenta imperfezioni tali per cui viene scartato durante la scelta, perciò rimane invenduto e spesso marcisce. Nonostante siano già state applicate nel 2016 leggi anti spreco per facilitare la donazione di merce invenduta da parte della GDO (che ha contribuito a una riduzione delle quantità sprecate), sarà interessante vedere come la fondazione gestirà la presenza evidente di questo paradosso nella realtà, racchiudendo di fatto produttori attenti alla presentazione del cibo come SlowFood.
Un po’ scuola un po’ lavoro
Analogamente alla legge contro lo spreco alimentare, l’idea di Fico si sviluppa ed entra in pratica parallelamente all’alternanza scuola-lavoro. Le duecento scuole aderenti verranno coinvolte nel progetto “Un giorno da Fico”, organizzato dall’azienda di servizi di risorse umane Randstad. Verrà inoltre data la possibilità di svolgere un tirocinio all’interno del parco, su richiesta della scuola. La manovra del governo, che mira essenzialmente a favorire un contatto anticipato con il mondo del lavoro per facilitarne l’ingresso in futuro, è stata ampiamente criticata per presunti episodi di vero e proprio sfruttamento non retribuito.
The French Paradox
Nel novembre 1991 la CBS presentò durante il suo programma televisivo 60 minutes il cosiddetto French Paradox. Uno studio che mostrava come la mortalità dovuta a malattie cardiovascolari avesse un’incidenza minore in Francia piuttosto che negli Stati Uniti, paesi con lo stesso consumo medio giornaliero di acidi grassi saturi. Il motivo di ciò venne attribuito alle proprietà antiossidanti del vino rosso – molto più consumato in Francia che negli USA -, più nello specifico al resveratrolo, e nei mesi successivi alla messa in onda del programma le vendite di rosso negli Stati Uniti aumentarono del 40%. Furono successivamente mosse numerose critiche allo studio, soprattutto in quanto considerava aspetti singoli della dieta (acidi grassi saturi e vino) e non la sua totalità.
A questo proposito, solo il tempo potrà dirci se l’idea di un’Italia esempio mondiale di rettitudine ambientale e gastronomica sarà una trovata pubblicitaria a breve termine – con l’unico effetto positivo di aumentare i volumi di export ortofrutticolo e derivati -, o invece l’inizio di una serie di iniziative pragmatiche e serie per smaltire quello strato grigio di smog che galleggia su alcune città italiane, tra le quali la stessa capitale mondiale di gastronomia ed ecologia. D’altro canto, anche il Sole 24ore se lo è chiesto, seppure usando altre parole: “Millennials: gastrofighetti, o consumatori consapevoli?”.