Migranti, civiltà e futuro

La lunga sosta nel Mediterraneo delle due nave gestite dalle ong Sea Watch e Sea Eye ha riportato al centro del dibattito politico italiano il tema dell’immigrazione, ammesso che si sia mai davvero riposto. Le due imbarcazioni si barcamenano tra coste libiche e acque maltesi in seguito alla decisione del ministro dell’Interno Salvini di chiudere i porti italiani e negare lo sbarco ai 49 migranti a bordo delle stesse, a cui si è aggiunto il respingimento anche da parte di Malta, che ha fatto entrare le navi nelle proprie acque territoriali solo per ripararsi dal peggioramento delle condizioni meteo degli scorsi giorni.
Nel frattempo, le trattative tra Commissione Europea e governi nazionali per decidere quali paesi dovranno farsi carico dell’accoglienza procedono a rilento.

Due fronti di guerra, dentro e fuori da Palazzo Chigi

La questione migranti torna alla ribalta per la forte strumentalizzazione politica appannaggio del governo M5S-Lega, sintomo di una logorante quanto incessante campagna elettorale. I quarantanove migranti scatenano – in pochi giorni – due scontri: uno esterno (Di Maio-Salvini contro De Magistris-Orlando) e uno interno alla coalizione, Di Maio contro Salvini.

Dapprima i sindaci di Napoli e Palermo (affiancati successivamente dai colleghi di Milano, Bologna e Firenze) si dichiarano pronti ad aprire i propri porti a Sea Watch e Sea Eye, e a disobbedire al decreto legge Salvini – per prevista incostituzionalità da parte del Consiglio Superiore della Magistratura (il cui relatore era il parlamentare M5S Alberto Maria Benedetti, poi astenutosi alla votazione) del decreto sicurezza – scatenando l’ira del segretario della Lega, che tuona contro Orlando e De Magistris, intimandoli di «pensare ai loro cittadini», di obbedire a una legge dello Stato (forse dimenticando di aver in passato invitato i suoi sindaci tre volte alla disobbedienza civile) e – soprattutto – spaccando definitivamente le posizioni in gioco: «Chi aiuta i clandestini, odia gli italiani».

Nella polemica interviene il presidente dell’Anci Antonio Decaro: «Non ho alcun interesse ad alimentare una polemica con il ministro dell’Interno. Faccio solo notare che le nuove norme mettono noi sindaci in una oggettiva difficoltà. Per questo auspico che il ministro dell’Interno voglia convocarci per discutere delle modalità operative e dei necessari correttivi alla norma», avvertendo che «Se poi il ministro ritiene che il mestiere di sindaco sia una pacchia siamo pronti a restituirgli, insieme alla fascia tricolore, tutti i problemi che quotidianamente siamo chiamati ad affrontare». Diametralmente si forma un fronte pro-Salvini all’interno dell’Anci, capeggiata dai due vicepresidenti Umberto Di Primio, sindaco di Chieti, e Matteo Bianchi, sindaco di Morazzone. Ne segue una lettera di trenta sindaci di centro-destra in difesa del Decreto, che «sarebbe idoneo a risolvere il problema dell’immigrazione» (qui un approfondimento dell’ISPI che confuta questa tesi). Oltre agli schieramenti squisitamente politici, interessante notare come la città più grande delle trenta sia Verona, con molti centri neanche capoluoghi di provincia. Sintomo di una nuova spaccatura – anche sull’immigrazione – nel cleavage Città-Periferia; la questione richiederebbe però altre sedi per essere approfondita.

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Secondo le stime dell’ISPI, entro il 2020 l’aumento di irregolari sarà di 130.000 unità; 60.000 sarebbe stato l’aumento mantenendo i tre livelli di protezioni internazionale (status di rifugiato, protezione sussidiaria e protezione umanitaria). Il Dl Salvini abolisce la terza forma di protezione, giudicata discrezionale, e – secondo le proiezioni – porterà ad un aumento di irregolari di almeno 70.000 persone.

Scemata l’onda della polemica – almeno nei canali dell’informazione mainstream – tra sindaci e Ministero dell’Interno, pochi giorni fa i quarantanove migranti scatenano un nuovo scontro, questa volta tra Di Maio e Salvini. A suon di tweet e stati Facebook, dapprima il leader pentastellato spiazza il partner di governo dichiarando che «l’Italia darà, come sempre, lezione di umanità all’Europa» accogliendo donne e bambini a bordo delle due navi (meno di una decina di persone). Non si fa attendere la risposta di Salvini, che pubblica subito uno stato Facebook intitolato «Io non cambio idea» e ricordando che «Sea Watch e Sea Eye hanno violato le regole di soccorso» poiché i migranti si trovavano in acque territoriali della Libia (le ong si appellano alle leggi internazionali, poiché i migranti sarebbero stati in una situazione di reale pericolo nei famigerati centri di detenzione libici).

Nel frattempo, la portavoce di Sea Watch Giorgia Linardi rifiuta l’offerta di Di Maio accusandolo di «fare teatro sulla pelle delle persone, con parole retoriche e irresponsabili». Effettivamente, quello del vice-premier sembra un tentativo (malriuscito, almeno a giudicare proprio dai commenti Facebook) di smarcare il suo partito dalle polarizzazioni della Lega sul tema immigrazione e recuperare i voti persi dal Movimento da quando è al governo (circa un punto percentuale ogni mese, stando ai recenti sondaggi). Lo sforzo sembra quanto meno essere stato apprezzato dal presidente della Camera Fico, una delle voci più deluse tra i grillini dopo i primi sei mesi di governo. Alcune fonti diplomatiche maltesi parlano addirittura di una farsa da parte di Di Maio, che prima della dichiarazione è stato ricattato politicamente dalla Germania e della Commissione Europea. In ogni caso, Salvini continua a tapparsi le orecchie dichiarando che «Di Maio è giusto che parli, ma a decidere sui porti sono io».

I (falsi) meriti di Salvini, le (vere) colpe di Minniti

Scorrendo l’arcinota bacheca Facebook del segretario della Lega, si può notare come nella giornata dell’Epifania Salvini abbia voluto ribadire con ben quattro post differenti sparsi nella giornata (per rendere l’idea, lo stesso numero di post correlati alla gastronomia nell’intero 2019)   il fatto che «gli sbarchi di migranti sono diminuiti dell’80% nell’ultimo anno», oltre a riaffermarlo con una diretta streaming a mezza giornata, e che tutto questo è merito del suo governo. Bene, non è vero.

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Confronto tra arrivi mensili nel 2017 e nel 2018. Fonte: UNHCR.

Andando a contestualizzare i dati, si intuisce istantaneamente un brusco calo dei migranti arrivati in territorio italiano tra il 2017 e il 2018. Confrontando i soli mesi da gennaio a maggio, fino al giorno dell’insediamento del governo Conte (1 giugno 2018) gli sbarchi sono calati del 78% rispetto all’anno precedente; dunque il merito che oggi il ministro dell’interno professa sarebbe quello di aver alzato questa percentuale di due punti.

Il reale «merito» della diminuzione del flusso di arrivi è dell’ex ministro dell’Interno del governo PD Marco Minniti, tramite accordi e trattative con la Libia e il suo primo ministro Fayez al-Sarraj. Merito rigorosamente entro virgolette, poiché al sacrosanto obiettivo di contrastare gli scafisti e il traffico di esseri umani nel Mediterraneo il governo Gentiloni (sostenuto da un piano della Commissione Europea da 800 milioni di euro) ha proceduto sostenendo e finanziando quell’organizzazione fittizia che è il Governo di Accordo nazionale libico. Addestramento da parte della guardia di finanza italiana della marina militare libica, finanziamento di milizie private e tribù per difendere il confine meridionale con Algeria, Chad e Nigeria per bloccare i flussi di migranti (rispediti chissà dove) tramite fondi italiani ed europei per costituire una guardia costiera che blocchi la partenza degli scafisti. Il risultato è, però, un corpo militare pericoloso ed eterogeneo – addirittura da città a città della costa – con inevitabili infiltrazioni jihadiste.
Conseguenza più importante: totale anarchia della marina militare, che sperona e usa costantemente armi da fuoco contro navi ong e degli stessi profughi, tortura, frusta e trattiene a tempo indeterminato i migranti che non riescono a partire negli agghiaccianti centri di detenzione libici, dove solo poche settimane fa un ragazzo somalo si è tolto la vita dandosi fuoco per sfuggire alla prigionia.

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Mappa politica della Libia. Fonte: European Council of Foreign Relations.

Il governo italiano non vuole risolvere davvero il fenomeno migratorio

Inutile aggiungere che per il ministro dell’Interno Matteo Salvini le voci sulle torture in Libia «sono pura retorica e i centri di accoglienza sono all’avanguardia», come dichiarato davanti al suo omologo libico Abdulsalam Ashour. Considerando che la situazione è prosperata con il benestare di un governo di centrosinistra (e dell’UE), probabilmente non è nemmeno questa la sua colpa più infamante.

Salvini, come Di Maio, non risolverà mai la questione immigrazione, poiché toglierla dall’agenda politica Lega-M5S ora come ora sarebbe un suicidio politico. Non si spiegherebbero altrimenti le roboanti interviste degli esponenti di entrambi i partiti secondo cui «non può essere solo l’Italia a prendersi carico dei richiedenti asilo», conseguenza prevista dal Regolamento di Dublino, salvo poi – in Parlamento Europeo – votare contro una riforma del trattato che avrebbe eliminato il criterio del primo ingresso (sfavorevoli ai paesi del sud Europa, tra cui ovviamente l’Italia) e introdotto un meccanismo di quote obbligatorio tra i paesi europei, alleggerendo quindi l’onere dell’accoglienza per l’Italia. Non si spiegherebbe perché Salvini dica di voler «cambiare l’Europa insieme all’amico Orbàn all’Ungheria», un paese che guida il blocco di Visegrad: il gruppo di quattro paesi est-europei (oltre agli ungheresi, Polonia, Slovacchia e Rep.Ceca) che ha contribuito a far fallire (con zero migranti accolti dal nostro paese) il piano di ricollocamento dei migranti da Italia, Spagna e Grecia verso il resto dell’Unione Europea e che ha interessi completamente contrapposti a quelli italiani sull’immigrazione. Non si spiegherebbe perché il decreto sicurezza voglia vietare l’iscrizione all’anagrafe dei richiedenti asilo, stringa per rendere sempre più inutilizzabili gli SPRAR – centri specializzati nell’accoglienza – che riuscivano a condurre vera integrazione dei migranti, rispetto ai sovraffollati e inefficienti CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria), costruiti senza l’autorizzazione delle amministrazioni locali (ma dei prefetti, nei casi appunto di emergenza) e spesso portatori di disagi e intolleranza nei piccoli centri e nelle realtà periferiche (stile Cara di Mineo, per intenderci).

Non ci spiegheremmo troppe cose.

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Foto: lapresse.

E mentre Salvini si scanna con Di Maio, con i sindaci, con i giornalisti, con tutti insomma, mentre il M5S cerca di recuperare voti in tutti i modi, mentre il PD riflette (o no) sugli orrori creati in Libia, mentre l’Unione Europea è sempre più macchinosa e indecisa, mentre il Papa viene attaccato perché richiama ai valori cristiani, l’opinione pubblica è sempre più spiazzata, disinformata, polarizzata, manipolata e diffidente. Dopo anni di campagna elettorale sull’immigrazione, gli italiani sono il paese europeo con la più alta differenza fra immigrati reali e percepiti, con più di una persona su due che giustificherebbe un episodio di razzismo.
In un paese in cui «chi aiuta i clandestini, odia gli italiani» potrebbe suonare retorico e buonista ricordare che nel mentre continuano a rimanere in mare mezzo centinaio persone da più di due settimane, con quarantanove esseri umani in disagio fisico e psicologico: un migrante, alla vista delle coste di Malta, si è buttato nella acqua vicina a temperatura zero cercando di nuotare per un chilometro fino alla terraferma. È stato recuperato con una ciambella di salvataggio, non ce l’avrebbe fatta.

Le migrazioni dei popoli saranno sempre di più un problema del nostro futuro, nonostante i tanto proclamati e vantati ottanta percento degli ultimi anni. Metteranno a dura prova – non saranno i soli – la sostenibilità del nostro sistema economico, sociale e politico sempre più in crisi. Sfruttamento, dumping salariale, povertà, criminalità, strumentalizzazione politica, diversità, razzismo: le migrazioni testeranno la resistenza del nostro fragile equilibrio, materiale e mentale. Problemi e sfide globali, non solo italiane, non solo europee. Non è separando poche donne e bambini dalle loro famiglie che possiamo pensare di risolvere la questione.

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