Lo Spietato e il revival del cinema criminale all’italiana

Una delle componenti che maggiormente ha caratterizzato i prodotti di questo decennio è la rivisitazione, più nostalgica ed esaltante che critica e parodistica, degli anni 80′ e della cultura, storia ed estetica che ne fa parte. Se in America questo revival produce omaggi alla fantascienza spielberghiana, con successi come Stranger Things, o alla musica e alle icone pop del periodo, in Italia il maggior successo si genera da un genere tanto caro al Bel Paese, il cinema di criminalità. L’ultimo esperimento italiano di Netflix, Lo Spietato, si inserisce proprio in questo contesto, proponendo una classica storia di ascesa nella malavita locale da parte di un ambizioso bandito, interpretato da Riccardo Scamarcio.

Lo Spietato

Tratto dal romanzo Manager Calibro 9 di Pietro Colaprico e Luca Fazzo, Lo Spietato racconta la storia di Santo Russo, ragazzo calabrese emigrato con la famiglia a Buccinasco, nell’hinterland di Milano. Il padre, ex membro della ‘ndrangheta, allontanato ed esiliato dalla stessa per un presunto furto, è una figura talmente autoritaria da non sopportare l’atteggiamento libertino e scapestrato del figlio, tanto da non aiutarlo quando, a causa di un equivoco, questo verrà incarcerato in un riformatorio. A causa delle cattive frequentazioni avute durante questo suo soggiorno, il ragazzo entrerà nel mondo della malavita, venendo inizialmente ostacolato a causa della reputazione del padre, per poi far sempre più carriera nelle fila della mafia calabrese.

In contemporanea alla sua salita al potere, la presenza di due donne antitetiche, la moglie e l’amante, scombussoleranno ancora di più la sua vita. Il personaggio di Santo, seppur per nulla innovativo, è la componente più riuscita del film, soprattutto grazie all’ottima interpretazione di Scamarcio; l’attore di origini pugliesi ha la fisicità perfetta per il ruolo dell’amabile cattivo, come visto anche in altre pellicole, ad esempio Loro di Paolo Sorrentino, e si dimostra, a differenza di molti sui colleghi, capace di adattarsi anche a progetti più action (è lui il cattivo di John Wick 2).

Altro pregio del film è la cura dei costumi, degli interni e in generale della ricostruzione scenografica di quel periodo, nonostante, per motivi strettamente legati alle politiche dei fondi regionali per il cinema, Lo Spietato sia stato girato in gran parte a Foggia, cercando di ricreare il più possibile lo squallore della periferia milanese degli anni Ottanta, adibita, come mostra anche la pellicola, a vero e proprio ghetto per i meridionali.Lo Spietato

I difetti principali del film sono da riscontrarsi principalmente nella regia; Renato De Maria, regista che, oltre a progetti cinematografici interessanti come Paz!, ha collaborato a prodotti televisivi quali Distretto di Polizia e Squadra Antimafia, cerca, per temi ed immagini, di avvicinarsi allo Scorsese di The Wolf of Wall Street, proponendo però uno stile più televisivo e limitato. Vengono meno anche l’atmosfera e i toni dei film criminali all’italiana di Fernando Di Leo e Umberto Lenzi: Lo Spietato è infatti privo di quella crudezza e violenza soffocante che caratterizzava i personaggi e le storie dei maestri del crime anni ’70/’80, allineandosi a prodotti come Romanzo Criminale, Suburra e Gomorra dove lo spettatore è portato ad empatizzare con il criminale.

La pellicola non riesce dunque come omaggio e neppure come parodia, come avvenuto ad esempio nel recente Non ci resta che il crimine di Massimiliano Bruno, commedia che ironizza sulla fama e il successo della Banda della Magliana dopo gli adattamenti cinematografici e televisivi. Interessante è invece il tema del distacco dalle origini proposto ne Lo Spietato: ad inizio film, Santo cerca di mascherare il proprio dialetto parlando un milanese molto stentato (da qui nasce l’esilarante video virale in cui Giovanni Storti del trio Aldo, Giovanni e Giacomo sottopone il personaggio di Scamarcio al celebre “inganno della cadrega“), perché in futuro verrà messo alle strette a causa delle colpe di suo padre, nonostante i due si siano totalmente disconosciuti.

L’impossibilità di allontanarsi dalle proprie origini, unendo a doppio filo il tema delle migrazioni interne all’Italia da Sud a Nord e l’onore e il concetto di tradimento mafioso funziona e crea un ottimo ponte per quello che sarà il contrasto della seconda parte del film; Santo si ritrova infatti diviso tra due donne, una, la moglie, che incarna i valori tradizionali, è sua conterranea a madre dei suoi figli, e quindi, in un certo modo, lo trattiene in quell’ambiente da cui aveva cercato di allontanarsi, mentre l’altra, l’amante, seducente femme fatale, lo attira verso i salotti e le scene culturali della Milano Bene, verso cui lui soffre un conflitto iniziale di inferiorità, per poi decidere di volerne far parte.

Non a caso, la seconda donna della sua vita è parigina, così Santo inizierà, quasi come un mantra, a ripetere “ça va sans dire“, secondo una virtuale scala di evoluzione linguistica che dal milanese, imparato per allontanarsi dal calabrese delle sue origini, lo porta a parlare francese per sentirsi ancora più legittimato nei confronti della vita sempre più agiata che conduce e degli ambienti e dei personaggi che frequenta.

Lo Spietato è un’operazione di recupero e ripresa di un filone, quello criminale italiano, spesso dimenticato, nella sua ottica più cruda e pulp, e riadattato agli spettatori televisivi. Nonostante questa sua evidente natura “da piccolo schermo”, il film presenta un personaggio carismatico e ben recitato, accompagnato da un tema sull’origine ben sviluppato. Se la volontà di creare un action scorsesiano è venuta meno, la cura per i dettagli storici permette di rendere de Lo Spietato una pellicola guardabile per chi ricerca un dramma leggero, nonostante qualche sparatoria e fugace attimo di violenza, che rievochi un periodo storico in cui, ad oggi, tutto sembrava più bello, complice purtroppo la retorica di importazione americana dell’esaltazione della nostalgia.

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