Anthropocene: la mostra del MAST documenta l’era umana

Anthropocene

Dopo undicimila anni, smaniosi e nevrotici come siamo dall’inizio dei tempi, esasperati da un Olocene ormai denso e noioso, abbiamo escogitato qualsiasi stratagemma per sbalzarcene fuori. Un capriccio, una cosa ignobile. Ma tra una spinta e un’altra, a un certo momento siamo riusciti a divincolarci dei tentacoli di un’era passata inosservata. Come il cibo di traverso induce un colpo di tosse, fiore e pollini stuzzicano i nasi fino a starnutire, così anche noi siamo riusciti a farci spingere fino all’Anthropocene. Guardiamo noi stessi sfigurare un pianeta e violarne la Natura.

Di questo singulto verso l’era dell’uomo si è occupato il gruppo di scienziati che costituisce l’Anthropocene Working Group, sui cui studi si è andato formando il progetto degli artisti Edward Burtynsky, Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier. Secondo il Ciesin, un centro studi della Columbia University, la specie umana occupa oltre l’80% della superficie terrestre: dove riposa la Natura? Questa è la prima volta che una singola specie riesce a imporsi dispotica e indolente sul destino di tutte le altre. Non c’è forza sulla Terra determinante nella stessa misura in cui lo è quella dell’uomo.

Anthropocene
Edward Burtynsky – Dandora Landfill #3, Plastics Recycling, Nairobi, Kenya 2016. Foto: © Edward Burtynsky, courtesy Admira Photography, Milan / Nicholas, Metivier Gallery, Toronto.

I comportamenti dell’uomo hanno un impatto distruttivo di portata globale. Il mondo animale e vegetale viene sfruttato da un uomo noncurante delle risposte del mondo. Alla crescente domanda di cibo corrispondono allevamenti intensivi e agricoltura industriale. I metodi per soddisfare le richieste inducono problematiche serie la cui portata è già preoccupante, senza che ci sia una vera e condivisa percezione dello stato emergenziale. Così andiamo incontro ogni anno all’acidificazione degli oceani. Ogni anno aumenta la temperatura media sulla Terra. Sono a rischio sopravvivenza specie di animali che l’uomo sacrifica per un proprio momentaneo giovamento.

Anthropocene: per dare forma alle coscienze

Documentano quanto può essere ambivalente la natura dell’uomo, in una descrizione affidata proprio a quelle macerie sulle quali gli uomini sono disposti a camminare pur di vivere comodi il loro impero. La mostra non indulge in alcun modo al patetico, non alimenta in alcun modo le spinte emotive di risposta, che pure ci sono e gorgogliano da subito. L’intento dei tre artisti non è quello di puntare il dito, addossare colpe. Viene sottoposto a visione qualcosa di nostro e di lontano, che pure se si millanta di amare senza scrupolo, si abbandona e si maltratta. Quello che ci viene posto sotto gli occhi non è un’accusa perché non c’è flagranza, è però una prova manifesta. Nota Urs Stahel, curatore della mostra:

« 2000 anni fa sulla Terra vivevano tra i 200 e i 300 milioni di esseri umani. Il primo miliardo fu raggiunto intorno al 1800, il secondo miliardo nei primi anni del Novecento. L’ultimo miliardo è stato raggiunto nell’arco di soli dodici anni»

Anthropocene
Edward Burtynsky Makoko #2, Lagos, Nigeria 2016 photo © Edward Burtynsky, courtesy Admira Photography, Milan / Nicholas Metivier Gallery, Toronto.

Questa è un’affermazione che non ha la pretesa di essere una denuncia strictu sensu, ma che pure pungola la coscienza.

L’esplorazione delle macerie del mondo, dei residui che rimangono della natura, è un percorso multimediale che si distribuisce su supporti diversi: fotografie in grande formato, murales, videoinstallazioni ad alta risoluzione, installazioni di realtà aumentata. Tutto è volto alla più totale comprensione di una realtà troppo lontana fisicamente perché possa essere percepita come viva. La mostra si rende esperienza di ciò che comportano alcuni nostri consumi, di qual è la risposta del mondo a certi nostri vizi, certe nostre comodità. È proprio Burtynsky a dire

«il nostro lavoro può offrire uno sguardo avvincente su ciò che accade […] è come creare un potente meccanismo che dà forma alle coscienze».

La mostra

Gli spettatori fanno una esperienza immersiva e diretta, quanto più possibile reale, delle incursioni degli uomini sul pianeta. Perché questo avvenga, in primo luogo si abbinano alle tecniche fotografiche quelle filmiche. Peraltro, i visitatori potranno scaricare l’app AVARA su smartphone e tablet, o eventualmente sui tablet forniti dal MAST. Contribuiscono a rendere questa un’esperienza e non solo una fruizione artistica, le installazioni di realtà aumentata [RA]. Le esperienze di RA sono create per fotogrammetria, una tecnica che sfrutta l’acquisizione di immagini in alta definizione. In questo modo si assemblano digitalmente i fotogrammi e le immagini sono visionabili anche tramite l’app apposita.

anthropocene
Jennifer Baichwal, Nicholas de Pencier and Edward Burtynsky working in Northern British Columbia, Canada, 2012
Foto: courtesy of Anthropocene Films Inc. © 2018.

La mostra si compone di quattro sezioni. All’interno delle varie sezioni si inseriscono lavori di fotografia di Burtynsky e murales e videoinstallazioni HD di Jennifer Baichwal e Nicholas De Pencier. Non solo: nella terza sezione è presente anche un percorso didattico interattivo che rende lo spettatore anche un reale attante, ingenerando un pensiero critico e inducendo una partecipazione quanto più possibile attiva. Nel Giardino di MAST una installazione di realtà aumentata mostra il Big Lonely Doug, l’abete Douglas quasi millenario salvato dalla deforestazione nel 2011 grazie all’attivismo di un boscaiolo che lo aveva contrassegnato con la scritta “non toccate questo albero”.

L’ultima sezione della mostra è invece costituita dal film ANTHROPOCENE: The Human Epoch, codiretto dai tre artisti. Il film è in realtà il terzo di una serie composta da Manufactured Landscapes (2009) e Watermark (2013). Conclude l’esperienza “Dialogues on Anthropocene”, un programma di eventi culturali e letture.

La mostra, per la prima volta in Italia, è stata allestita alla fondazione MAST di Bologna, ed è visitabile fino al 6 ottobre 2019.

In copertina Uralkali Potash Mine #4, Berezniki, Russia 2017 photo © Edward Burtynsky, courtesy Admira Photography, Milan / Nicholas Metivier Gallery, Toronto.

Impostazioni privacy