Quando Marco Polo (non) scrisse tre libri in uno

Marco Polo e la letteratura di viaggio

È il 1271 quando Marco Polo, veneziano figlio di un mercante, parte per l’Oriente al seguito del padre e dello zio. La permanenza copre un periodo di diciassette anni durante i quali Polo esplora la dimensione dell’alterità e rende concreto il mito dell’Oriente, facendone esperienza prima e dandone testimonianza poi. Infatti, tre anni dopo il suo rientro, si trova rinchiuso nel carcere di Genova assieme a Rustichello da Pisa, prigioniero ormai da quattro anni. Il Milione è l’opera figlia della cooperazione tra i due. In sostanza, Rustichello scrive quello che Polo gli racconta. Probabilmente il mercante si avvale di appunti e quaderni, ma Rustichello esegue la trascrizione in francese, lingua già adoperata nei suoi romanzi cortesi.

Il viaggio e la letteratura vengono coordinati comunemente nei sintagmi “letteratura di viaggio” o “viaggio nella letteratura”. L’una e l’altra espressione assoggettano il viaggio alla letteratura anche da un punto di vista squisitamente grammaticale, come se quella della partenza fosse solo una delle tematiche o delle varianti ascrivibili alla trattazione letteraria. Se è vero che scrittore e viaggiatore non sono figure autoescludenti ma anzi estremamente connesse, è vero anche che la loro relazione non è determinata da un rapporto di consequenzialità: un viaggiatore può essere anche uno scrittore, ma uno scrittore è necessariamente un viaggiatore. Tanto la partenza quanto la scrittura presuppongono un approdo – materiale, strettamente terreno, per ciò che concerne il viaggio strictu sensu; metaforico (o metafisico) per ciò che riguarda la scrittura, che trova il suo porto ultimo all’interno del lettore. Ma l’una e l’altra dimensione condividono un recondito e definitivo punto d’arrivo: la conoscenza.

marco polo
Marco Polo davanti al Gran Khan dei Tartari, 1863 circa, Tranquillo Cremona, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea.

Sul Milione

Il contatto con un costume, una cultura e una geografia altra inducono un confronto naturale nel lettore e nello scrittore con i corrispettivi appartenenti alla società di provenienza. C’è da dire che non sempre il racconto di Marco Polo coincide con le convinzioni dell’uomo medievale. La terra cui Polo approda rappresenta talvolta il rovesciamento esatto del paradigma da cui proviene, talaltra solamente una sua variazione. Nella trasmissione e dunque nel ricordo dell’esperienza orientale il confronto dell’ignoto col noto è quantomai naturale. Come considerare, dunque, il genere testuale del Milione? Si è davanti a un manuale enciclopedico o a un racconto di viaggio? È un manuale di mercatura o un roman cortese? Effettivamente, la lettura del Milione funziona tanto come letteratura enciclopedica o manualistica quanto come letteratura di viaggio. L’uno e l’altro accento del testo coesistono armonicamente all’interno del romanzo.

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Nota Segre nell’introduzione al Milione che il testo accoglie al suo interno una serie composita di generi letterari. È proprio la compresenza di generi diversi all’interno di un unico testo a determinarne, in parte, il carattere polifonico. E se diversi sono i generi del testo, allora lo saranno anche i fini ultimi, e conseguentemente i lettori. Scrive infatti Sartre che «la scelta dell’autore, di descrivere un certo aspetto del mondo, determina il lettore e viceversa, scegliendo il lettore, lo scrittore determina l’argomento del suo libro. Tutte le opere dello spirito contengono dunque in sé l’immaginazione del lettore che si sono destinate».

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La parola doppia di Marco Polo

Il racconto è generalmente svolto in terza persona da Rustichello, che introduce Marco Polo e gli altri personaggi. Lo stile è asciutto, non si abbandona a lirismi e non si sbilancia in dichiarazioni personali. Peraltro, le descrizioni più esatte e più sobrie sembrano essere quelle derivanti dall’esperienza diretta: quelle che indulgono più agli elementi mitici e fantastici sono spesso il frutto di narrazioni altrui, riportate da Polo. Bisogna anche rilevare che nell’immaginario dell’uomo medievale l’Oriente rappresentava un universo onirico in cui acquistano una forma concreta “mito della ricchezza, Paradiso terrestre, sogno dell’infinito e dell’ignoto”.

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Da una parte, dunque, l’eco dell’Oriente fantastico, dell’esotico, crea suggestione letteraria. Ma la suggestione stessa è in qualche modo tenuta a bada dallo sguardo del mercante, uno sguardo concreto che tenta una descrizione del mondo quanto più possibile realistica. All’interpretazione simbolica della natura, al dominio del tempo della Chiesa, tipici del medioevo, si sostituisce una descrizione asciutta e calcolatrice. Nella descrizione, per esempio, del palazzo del Gran Khan, si fanno evidenti le valutazioni e la formazione tipiche dell’occhio del mercante. Così, enciclopedicamente, la narrazione procede in quel punto per ordine tematico, partendo dall’esterno fino ad arrivare all’interno. Le misure e le proporzioni sono rese con parametri frequentemente utilizzati dall’uomo occidentale. Anche in questo caso, si registra un’oscillazione tra la meraviglia dell’esotico tipica del racconto di viaggio e la registrazione pedissequa e puntuale, tipica invece della letteratura scientifica.

Il Milione polifonico

Si potrebbe forse azzardare un Marco Polo Autore ubiquo presente in ogni sua forma, sia essa quella del mercante, quella dell’avventore, del diplomatico, poiché ogni ruolo contemplato nella finzione letteraria appartiene anche alla realtà storica.

Che si tratti di un racconto di viaggio, di un manuale di mercatura o di un trattato enciclopedico, ognuno dei generi presenti all’interno del Milione gode della medesima luce e del medesimo spazio di cui godono tutti gli altri. È nella compresenza armoniosa di voci diverse, appartenenti esse al lettore, allo scrittore o alla letteratura, che si concretizza la polifonia del libro.

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