Crisi di governo: l’arrivo di Mario Draghi

Nelle ultime settimane quello che, all’apparenza, sembrava uno stabile Governo per il Paese è precipitato in maniera del tutto improvvisa a seguito della crisi avviata da Italia Viva. Come noto, infatti, la crisi di governo è iniziata con le dimissioni di Giuseppe Conte a seguito delle dimissioni dei Ministri di Italia Viva che, in realtà, altro non ha fatto che anticipare lo scoglio atteso con la relazione del Ministro Bonafede sulla Giustizia; relazione che, con tutta probabilità, non avrebbe ottenuto i voti necessari.

Tanto premesso, fra una parte dei politici impegnati a rivendicare un ministero piuttosto che un altro e un’altra parte inamovibile su qualsiasi posizione differente dal ritorno alle urne, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella dava un mandato esplorativo al Presidente della Camera Roberto Fico affinché questi ricercasse la possibilità di formare un nuovo Governo politico. Con la crisi in atto, infatti, il governo Conte non aveva più la maggioranza dei voti necessari. Quindi, lo scopo dell’indagine affidata al Presidente della Camera era quello di ricercare nuovi consensi tentando, dove possibile, la mediazione delle diverse posizioni in gioco.

Un Governo di alto profilo

Nella serata di martedì 2 febbraio, dopo che per tutta la giornata si erano rincorse conferme e smentite sulla possibile formazione di un fantomatico Conte-ter anche passando per un rimpasto dei diversi ministeri, è arrivata la doccia fredda: non è stato raggiunto alcun accordo. Solo in questo momento, rimesso il mandato esplorativo, è intervenuto nuovamente il Presidente della Repubblica convocando, per il giorno successivo, Mario Draghi al fine di conferirgli un mandato. Draghi lo ha accettato con riserva, per la creazione di un Governo definito dal Presidente in un accorato appello alle forze politiche come un «Governo di alto profilo».

Sul punto si specifica che, questo forma di Governo, sia essa “tecnica” o “istituzionale”, si differenzia da quella meramente politica in quanto non è rappresentativa dei partiti ma, invece, muove verso uno scopo comune che è quello di superare una crisi istituzionale. Mario Draghi, dunque, è l’uomo del momento. Ma chi è questa figura? E, soprattutto, come si muoverà ora e quali saranno le sorti del Paese in un momento già difficile a causa della pandemia e su cui grava l’ombra di una crisi economica imminente?

Mario Draghi: l’ex banchiere che ha salvato l’euro dalla crisi

Il nome di Mario Draghi, in realtà, è già noto tanto in Italia quanto all’estero. Non è un segreto, infatti, che alla notizia che sarebbe salito al Quirinale per ottenere un incarico di Governo da parte del capo dello Stato le borse europee, in particolare Piazza Affari, siano state favorevoli così come, d’altro canto, lo spread sia calato sotto la soglia d’allarme.

A livello nazionale, probabilmente i più attenti alla politica sapranno già che il suo nome è stato più volte chiamato in ballo per risollevare il Paese in momenti particolarmente critici. È stato proposto come Presidente della Repubblica, come Ministro per l’economia o come Presidente del Consiglio senza, tuttavia, mai arrivare a un qualcosa di fatto. Ora, nel bel mezzo di una crisi sanitaria mondiale, nella conseguente crisi economica portata dalla stessa e con l’imminente arrivo degli oltre duecento miliardi di euro previsti dal Recovery Fund da cui, si dice, sia originata l’attuale crisi di governo, Draghi viene gravato dal compito di ricercare un consenso al Parlamento e, se possibile, risollevare le sorti del Bel Paese.

Mario Draghi: chi è il futuro premier che potrebbe guidare l’Italia dopo la crisi di governo?

Il curriculum dello stesso in realtà, appare sufficiente a fugare ogni dubbio sulle sue competenze. Queste, prima ancora della sopraccitata popolarità, sono l’elemento chiave del perché sia considerato come la persona con più prestigio e influenza in Italia e, forse, nel mondo.

Mario Draghi, classe 1947, ha dedicato la propria vita agli studi economici. Ottenuta la laurea presso l’Università La Sapienza di Roma, nel 1970 si trasferisce negli Stati Uniti per frequentare il prestigioso MIT, il Massachusetts Institute of Technology. Sette anni dopo, sotto la supervisione di due futuri premi Nobel per l’economia, ottiene un dottorato di ricerca. Nel 1991 viene nominato direttore generale del Tesoro e lì rimase fino al 2001 quando ottenne un incarico come vicedirettore per l’Europa del colosso bancario Goldman Sachs.

Nel 2005 riceve un nuovo incarico pubblico: quello di governatore della Banca d’Italia. Rimarrà in questa carica fino al 2011, quando ottiene la presidenza alla Banca Centrale Europea. Nonostante la sua figura, all’epoca, fosse già nota, quantomeno agli addetti ai lavori e nei circoli economici europei, è proprio in tale ruolo che la sua fama si è estesa in maniera pressoché unanime anche fra i cittadini meno avvezzi a tali questioni. Proprio in quegli anni, infatti, imperversava la crisi mondiale successiva al crollo della Lehman Brothers.

Non solo. Mai come allora l’Europa era considerata a rischio e, in particolare, la moneta unica. Ciò a causa di alcuni Stati, come la Grecia, la Spagna e l’Italia, il cui fallimento si era arrivati a temere. Grazie, quindi all’intervento di Draghi o, meglio, agli interventi portati avanti dallo stesso alla guida della BCE, come l’immissione di denaro contante e l’acquisto di titoli di stato, l’Europa è uscita pressoché indenne dalla crisi. La figura di Mario Draghi è conosciuta, soprattutto, per un famoso discorso che ha preceduto gli anzidetti interventi. Probabilmente fu il più importante di tutta la sua carriera: impegnava la BCE a far qualsiasi cosa pur di scongiurare la crisi calmando, così, mercati e investitori. «Whatever it takes», da qui il suo famoso soprannome.

crisi draghi

I prossimi passi verso la formazione del Governo

Consci, quindi, della persona e, in particolare, del trascorso di Mario Draghi, non sorprende affatto che la scelta del Presidente della Repubblica sia ricaduta proprio sulla sua figura. Come anticipato, concluso il colloquio al Quirinale, Mario Draghi ha accettato con riserva l’incarico affidatogli. La riserva fa riferimento, come di solito avviene in casi come questo, a un’eventuale assenza di maggioranza. In quel caso lo stesso Draghi si riserva, appunto, di rimettere il proprio mandato al Capo dello Stato.

Le prossime tappe, dunque, non possono prescindere da un indagine diretta alla presenza, o meno, di una maggioranza stabile nel caso di formazione di un nuovo esecutivo. Presupposto indefettibile per il Governo, infatti, è l’ottenimento della fiducia da parte di entrambe le Camere del Parlamento: la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica. Mario Draghi allora avvierà una serie di consultazioni informali con i rappresentanti dei principali partiti italiani allo scopo di vagliare la presenza, o meno, di una maggioranza in linea con il proprio programma.

Nel caso ciò non dovesse avvenire le soluzioni ipotizzabili sono il conferimento a un nuovo soggetto di un incarico simile o lo scioglimento delle camere da parte del Presidente della Repubblica e, di conseguenza, il ritorno al voto. Qualora, invece, vi fosse un esito positivo, Mario Draghi dovrà redigere un elenco di Ministri e sottoporlo all’approvazione del Presidente della Repubblica. Questi potranno essere unicamente tecnici, dando così vita a un Governo tecnico in senso stretto, o coadiuvati da altre figure in quello che si definisce, ai soli fini terminologici, un Governo istituzionale. Una volta approvato l’elenco dei Ministri, il Presidente Mattarella li nominerà. Successivamente, il Governo così formato dovrà ottenere la fiducia dal Parlamento.

La posizione dei partiti

Da un punto di vista pratico, le posizioni da parte dei singoli partiti non appaiono conformi. Allo stato, non è possibile prevedere in modo certo uno scenario invece di un altro. Ciò che appare rilevante è come parte dei partiti di destra, le cui posizioni iniziali erano univoche nel senso di un ritorno alle urne, abbiano nelle ultime ore aperto a un confronto con Mario Draghi. In particolare Forza Italia che, in passato, si è già espressa con favore su un Governo istituzionale.

Categorico, invece, il rifiuto alla fiducia da parte del Movimento 5 Stelle così come categorica, d’altro canto, la fiducia da parte del Partito Democratico. Su queste posizioni, però, occorre valutare da un lato il discorso tenuto dal Presidente della Repubblica e, dall’altro, le divisioni interne degli stessi partiti sul piano europeo. Sul secondo punto, infatti, tanto la Lega quanto il M5S si compongono di due “anime” per quanto riguarda la politica europea. Entrambi gli schieramenti, infatti, hanno un’ala più europeista e una che lo è in minor misura. Non si può escludere, sul punto, qualche sorpresa o qualche screzio interno.

D’altro canto, infatti, la valutazione circa la necessità di un approccio europeista al momento è particolarmente rilevante data la provenienza dei fondi e la necessità, per chi sarà chiamato al Governo, di un dialogo sovranazionale. Non da ultimo, pesa il discorso del Presidente della repubblica che ha chiamato i singoli partiti a un atto di responsabilità verso il Paese. Un ritorno alle urne, in questo momento storico, è infatti particolarmente problematico se non autodistruttivo. Ciò non per una volontà di privare i cittadini di un diritto, quello del voto, ma perché oltre agli ovvi assembramenti che ne conseguirebbero, l’Italia si ritroverebbe con un Governo per le sole funzioni urgenti fino all’esito delle elezioni. Un percorso, questo, che nelle ultime tornate elettorali è durato rispettivamente quattro e cinque mesi. Oltretutto, con l’attuale sistema di voto e dati i precedenti, non sarebbe comunque garantita una maggioranza.

La caduta del Governo, vista da alcuni come un atto dovuto e da altri come una pazzia, ha dimostrato unicamente il fallimento dell’attuale classe politica in Italia. Una classe che, laddove vi era una necessità, non è stata in grado di trovare un accordo e ora vorrebbe rimettere tutto in gioco piuttosto di vedersi sottratto un ruolo da un ennesimo commissario esterno. A questo punto, colui che è già stato definito come un freddo tecnico prima ancora di poter far qualcosa, è forse ciò di cui l’Italia oggi ha veramente bisogno. Una figura politicamente disinteressata, seria e competente agli occhi del mondo, in grado di poter rappresentare l’Italia nel suo momento peggiore.

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