Mario Draghi ammazza la politica, oppure no?

Mario Draghi ha uno dei curriculum più imponenti della storia repubblicana, ha superato tutti i vertici possibili per un uomo del suo settore. 

Un self made man nel senso più classico: se gli agiografi volessero mettersi al lavoro sarebbe il soggetto perfetto per uno di quei film biografici americani con tanti pianti, ma con un bel finale pieno di speranza.

L’annuncio di Mario Draghi convocato da parte del Presidente della Repubblica, null’altro che l’annuncio, ha permesso allo spread di calare sotto i cento punti per la prima volta in cinque anni. 

Un re taumaturgo che ci regala speranze come fossero caramelle. 

A questo si accompagna, in particolare nella classe giornalistica, un segnale in senso opposto. Suona una grande campana a morto seguita da un immenso corteo funebre, con Scanzi vestito come le vecchie vedove del sud che si battono sul petto piangendo. 

Una tragedia. Il giornalismo in crisi che non riesce ad analizzare la situazione se non nella minuzia dei particolari, perdendo di vista l’insieme.

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In foto: il parlamento dopo il passaggio di Mario Draghi.

Storie di gloriosi, politici, successi

Perché, si dovrebbe dire, Mario Draghi una politica ce l’ha, ce l’ha sempre avuta.

Fondamentalmente si parla di un democristiano di ferro, poi berlusconiano convinto, che ha più volte espresso la necessità di una riforma fiscale in senso federale dello Stato. 

Se si fosse onesti sarebbe semplice definire di che parte politica sono queste tipo di riforme, e invece, pur di non guardare la realtà, si fanno impropri riferimenti a Mario Monti, come se le due figure fossero paragonabili. 

Le riforme che Draghi proporrà saranno di una precisa parte politica, che in Italia non governa dal Governo Bersani e in parte dai Governi Letta-Renzi-Gentiloni, ovvero un liberalismo di senso compiuto, attaccato alla realtà.

Un liberalismo quindi, ma un liberalismo di centrodestra, come è palese dalla passata estrazione politica dell’ex presidente della BCE. 

Abbagliati dall’esperienza Monti, un salmone col Loden calato per decreto dal Presidente della Repubblica, non ci si rende conto che Draghi è abituato all’agone politico.

Un uomo che ha tirato le redini dell’UE nel momento di più buia crisi politica. Draghi interviene nel black-out più completo, praticamente in solitaria, mentre l’Europa si mangia il cuore in ritorsioni finanziarie. 

Mai si fu più vicini al collasso definitivo del progetto europeo, che Draghi salvò con la sua volontà, una volontà puramente politica.

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La realtà, politica, dei fatti

In foto: un collaboratore storico di Mario Draghi, per niente politico.

Da qui anche la consapevolezza di alcune forze politiche di non poter dire di no senza cospicue ritorsioni da parte delle proprie basi. Basti vedere la Lega.

Grazie al Quantitative Easing Draghi crea una linea di credito verso le piccole e medie imprese del lombardo-veneto che ha probabilmente fatto molto di più di qualunque riforma recente.

La base storica della Lega vuole Draghi, è evidente. 

Lo scontro politico che si sta consumando all’interno del carroccio è la leadership che si rende conto di non poter tradire queste aspettative per puro populismo e calcolo elettorale. 

Deve entrare nel governo.

Ma anche la Meloni è in difficoltà. Difficoltà resa palese dalla peculiare calma che ha colpito la romana. Non sbraita di poteri forti, non sibilla complotti nelle orecchie dei suoi elettori (per ora). 

Sa che, rifiutandosi di appoggiare il governo che va formandosi, sta giocando con il fuoco. 

Si sta giocando una parte del suo elettorato che, seppur di destra culturalmente e politicamente, è riformista ed auspicherebbe una partecipazione meloniana.

E poi infine Berlusconi e Forza Italia. Non credo serva specificare che l’uomo di Berlusconi alla BCE piaccia al Cavaliere e ai suoi elettori.

Fondamentalmente Draghi ha già un implicito sostegno e base politica. Li ha sempre avuti. 

Mattarella ha però fatto il gioco dei partiti della coalizione, chiamandolo per fare il governo, azione che Salvini & Co. normalmente non si potrebbero permettere pena tradimento della metà dei loro elettori populisti. 

Era palese che Draghi fosse l’unica possibilità di avere un nome spendibile e di raccordo da presentare a una eventuale elezione del Presidente della Repubblica. 

Forse era quello il piano fin dall’inizio, ma il disastro di proporzioni bibliche in cui si vive ha richiesto alla storia di prendere un altro percorso.

Un percorso in cui Draghi ha una sostanziale potenza di fuoco economica, seppur a debito. Una base di partenza solida sia dal punto di vista politico che di popolarità personale. Una solida esperienza in campo istituzionale ai massimi livelli. 

Si dovrebbe sperare che, almeno in questo caso, il risultato sia uguale alla somma. 

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