Pirateria di Stato: Bielorussia dirotta un aereo Ryanair

«Pirateria di Stato», così il ministro degli esteri irlandese Simon Coveney ha definito l’incredibile dirottamento avvenuto domenica scorsa nei cieli della Bielorussia.

In breve, un aereo dell’irlandese Ryanair in volo tra Grecia e Lituania — quindi tutti Paesi membri dell’Unione Europea e, tranne uno, anche della NATO — è stato dirottato da un aereo da guerra mentre sorvolava la Bielorussia per ordine diretto del presidente Lukashenko. I passeggeri sono stati sequestrati per sette ore e due di essi arrestati, con ogni probabilità grazie a un’operazione clandestina realizzata da quattro agenti in incognito in territorio dell’Unione Europea.

Un atto senza precedenti nella storia europea contemporanea.

Cos’è successo in Bielorussia?

Domenica 23 maggio un MiG-29 dell’aeronautica bielorussa ha intercettato il volo Ryanair FR4978 mentre stava sorvolando il Paese nel suo tragitto tra Atene e Vilnius, a sole sei miglia dal confine lituano.

Il tragitto del volo Ryanair FR4978. Foto: Wikimedia Commons.

Con la scusa di un falso allarme bomba e dietro insistenti pressioni, i piloti Ryanair hanno dovuto eseguire un atterraggio forzato presso l’aeroporto di Minsk, nonostante quello di Vilnius fosse più vicino, com’è ben visibile nell’immagine qui sopra. Una volta atterrati le autorità hanno trattenuto per sette ore i passeggeri e arrestato il giornalista e attivista bielorusso Roman Protasevich.

Prima di sbarcare Protasevich, a detta degli altri passeggeri visibilmente agitato, sosteneva che non ci fosse alcun allarme bomba ma che il vero scopo dell’operazione fosse invece la sua cattura. Ha poi affidato PC e telefono alla compagna Sofya Sapega, cittadina russa residente in Lituania, che però è stata fatta anch’essa sbarcare per essere poi arrestata il giorno seguente.

Lunedì 24 maggio canali social vicini al regime hanno diffuso un video nel quale un Protasevich visibilmente provato, e con i lividi causati dalle percosse ricevute sul volto, è stato costretto ad affermare di essere responsabile di organizzare rivolte nel Paese.

Sapega nel frattempo è stata trasferita in una prigione del KGB bielorusso, dove rimarrà in detenzione preventiva almeno per due mesi, come riferisce il suo avvocato. Il 25 maggio anche Sapega è apparsa in un filmato nel quale è costretta a confessare di aver raccolto informazioni personali su alcuni militari bielorussi.

Il diritto internazionale

A detta del professor Enzo Cannizzaro, docente di diritto internazionale all’Università La Sapienza di Roma, la Bielorussia ha apertamente violato le normative internazionali. Come avviene per le navi, negli aerei vige la legge dello Stato presso cui il velivolo è registrato — in questo caso l’Irlanda — e non dello Stato sorvolato, ovvero la Bielorussia. Il diritto internazionale vieta agli Stati di interferire con i velivoli che hanno titolo a eseguire il sorvolo del loro cielo: quanto avvenuto sarebbe quindi assimilabile a un sequestro di persona extraterritoriale.

Sempre secondo il professor Cannizzaro, l’uso della forza attraverso l’invio di un caccia armato è anch’esso una violazione, in questo caso dell’articolo 2 paragrafo 4 della carta delle Nazioni Unite: in quel momento la Bielorussia avrebbe quindi puntato le armi verso lo Stato di registrazione del velivolo in un deliberato atto di aggressione.

Un MiG-29 come quello che ha intercettato il volo Ryanair. Foto: Wikimedia Commons.

Il sospetto di spionaggio internazionale

Dopo ben sette ore di fermo all’aeroporto di Minsk, dei centoquaranta passeggeri sequestrati dalle forze di sicurezza bielorusse sei non sono risaliti sull’aereo per proseguire il viaggio. Esclusi i due arrestati, rimangono quattro persone di nazionalità russa rimaste a Minsk.

Si sospetta che si tratti di agenti dei servizi segreti, come riferisce il giornale greco Ekathimerini. La loro operazione clandestina sarebbe quindi cominciata in Grecia, in pieno territorio dell’Unione Europea, come confermato da alcuni messaggi Telegram che Protasevich ha inviato a dei suoi collaboratori, nei quali affermava di essere stato fotografato all’aeroporto di Atene da una persona di lingua russa, presumibilmente uno 007.

La situazione politica in Bielorussia

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Aleksandr Lukashenko è il presidente della Bielorussia dal 1994 e nell’agosto del 2020 è stato riconfermato per il suo sesto mandato consecutivo.

Dopo le ultime, discusse elezioni che hanno visto Lukashenko vincere con un plebiscitario 80% dei voti, sono esplose le proteste della popolazione in tutto il Paese a causa dei fortissimi sospetti di brogli elettorali (le elezioni non sono state riconosciute dai Paesi europei).

La principale esponente dell’opposizione, Svetlana Tikhanovskaya (che era presente ad Atene con Protasevich la scorsa settimana), si era candidata in sostituzione del marito Sergej, celebre youtuber bielorusso pro-democrazia, incarcerato dal governo nel maggio 2020 dopo soli due giorni dall’annuncio della sua candidatura alle elezioni presidenziali.

Attualmente Svetlana Tikhanovskaya si è autoesiliata in Lituania a seguito delle minacce ricevute a carico dei figli.

L’unico capo di Stato straniero a essersi schierato apertamente con Lukashenko durante i disordini è stato Vladimir Putin, che di fronte all’unanime condanna dei Paesi occidentali ha schierato truppe al confine, pronto ad aiutare l’alleato nella repressione delle proteste. Poco dopo Lukashenko si è fatto ritrarre a Minsk, davanti al palazzo presidenziale e con un mitra in mano: un segnale inequivocabile di quale epilogo avesse in mente per le proteste.

Lukashenko al suo arrivo al palazzo presidenziale armato di mitra

Nel frattempo i pochi giornali indipendenti sono stati imbavagliati, numerosi siti oscurati, le licenze revocate e molti reporter esteri espulsi. Si perde il conto delle segnalazioni di giornalisti bielorussi che hanno subito incarcerazioni arbitrarie, minacce e pestaggi. Secondo Reporter senza frontiere, la Bielorussa si posiziona al 153esimo posto su 180 per la libertà di stampa.

Alla fine, dopo un mese e mezzo di proteste, i manifestanti sono stati sopraffatti da uno schieramento di forze di polizia senza precedenti, centinaia di arresti indiscriminati e l’uso di cannoni ad acqua, lacrimogeni e proiettili di gomma, nonostante il carattere pacifico delle manifestazioni.

Chi è Roman Protasevich?

Roman Protasevich. Foto: Wikimedia Commons

Roman Protasevich è un giornalista bielorusso che da anni si occupa di dare voce alle istanze dei suoi concittadini che chiedono libere elezioni e la fine del regime dittatoriale di Aleksandr Lukashenko.

Nel mondo dell’attivismo dal 2010, Protasevich viene espulso dall’università di giornalismo a causa della sua opposizione al regime.

Partecipa attivamente all’Euromaidan in Ucraina, la famosa protesta democratica che nel 2014 causò la fuga dell’autoritario presidente filorusso Janukovic. Nello stesso periodo ha collaborato con l’ufficio stampa del Battaglione Azov, formazione militare vicina all’estrema destra ucraina e impegnata nella guerra del Donbass contro i separatisti russi. Questo controverso passaggio nel suo curriculum è ora usato dalla propaganda di regime per screditarne la reputazione e associare Protasevich al neonazismo.

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Dal 2019 Protasevich vive in Polonia, dove l’anno seguente ha chiesto asilo politico a seguito delle minacce alla sua persona.

Oggi, a soli 26 anni, è il co-creatore ed ex direttore del principale mezzo di informazione libera in Bielorussia, il canale Telegram Nexta. Grazie ai protocolli di criptaggio dell’app, le forze di opposizione al regime informano e coordinano gli attivisti garantendo l’anonimato agli utenti. Per il regime, Nexta è considerata un’organizzazione terroristica.

Dopo aver lasciato la direzione di Nexta, Protasevich ha preso in mano la gestione di un altro canale Telegram legato all’opposizione, Belamova, in sostituzione del precedente direttore, il dissidente Igor Losik, arrestato dal regime.

Dal 29 novembre 2020 Protasevich è formalmente inserito nella lista delle persone considerate terroristi da parte del KGB bielorusso e per la sua opposizione al regime ora rischia da quindici anni di reclusione fino alla pena di morte.

Le reazioni in Europa

La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha richiesto il rilascio immediato di Protasevich e ha affermato di avere sul tavolo una nuova serie di sanzioni nei confronti di persone e imprese collegate al regime bielorusso, nonché il congelamento immediato di un pacchetto di aiuti da tre miliardi di euro finché non sarà ripristinata la democrazia in Bielorussia.

Il Consiglio Europeo ha invitato tutte le compagnie aeree dell’Unione a evitare il sorvolo della Bielorussia e ha richiesto l’implementazione del divieto di sorvolo dei cieli comunitari per la compagnia di bandiera bielorussa.

Intervenendo al summit dei capi di governo dell’Unione, il presidente del Parlamento Europeo David Sassoli ha arringato i presenti affermando che «stasera avete una grande responsabilità per dimostrare che l’UE non è una tigre di carta». Molti capi di Stato hanno espresso vicinanza alla Lituania, i cui diplomatici sono stati espulsi dalla Bielorussia.

Anche il Regno Unito, sebbene ora esterno all’UE, si è attivato e sta implementando a sua volta sanzioni nei confronti del regime bielorusso, come riferito ai giornali dal ministro degli esteri Dominic Raab.

L’incognita Ungheria

Le sanzioni sono però in bilico: per essere attuate è necessaria l’unanimità tra i Paesi membri. Meno di un anno fa Viktor Orbán, presidente dell’Ungheria, aveva proposto l’eliminazione delle sanzioni nei confronti della Bielorussia per meri interessi nazionali: l’approvvigionamento di idrocarburi per il suo Paese infatti avviene in buona parte per mezzo di un gasdotto che attraversa la Bielorussia.

La reputazione internazionale dell’Unione Europea è quindi in mano a Orbán, noto sovranista ed euroscettico. Non è affatto scontato che le pressioni degli altri Paesi saranno sufficienti a fargli cambiare idea.

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La reazione degli Stati Uniti

Gli USA si uniscono al coro dei Paesi europei e condannano con forza il regime bielorusso. Il presidente Biden ha definito quanto accaduto «un affronto alle norme internazionali» e ha anticipato un piano di azioni sulla falsariga di quanto sta facendo l’Unione Europea, con cui si coordinerà al fine di ottimizzarne l’efficacia.

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Il dossier bielorusso è uno dei tanti che certamente finirà sul tavolo dell’incontro bilaterale fissato per il 16 giugno a Ginevra tra il presidente americano Biden e quello russo Putin.

Joe Biden. Foto: Gage Skidmore.

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La portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, ha escluso un coinvolgimento della Russia nel dirottamento.

L’ambiguo atteggiamento russo

Il prudente comportamento tenuto dalla Russia in questi giorni sembra confermare quanto sostenuto da Psaki. Il Cremlino infatti non si è particolarmente esposto sulla vicenda e il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov ha definito la gestione bielorussa della vicenda «ragionevole», limitandosi a invitare la comunità internazionale a mantenere il sangue freddo.

Il Cremlino ha confermato che per il 28 maggio è previsto un incontro tra Lukashenko e Putin, nel quale il presidente bielorusso avrà modo di spiegare quanto avvenuto al suo omologo russo.

Le implicazioni internazionali

Com’era prevedibile le reazioni occidentali sono state immediate, soprattutto da parte dei Paesi europei. La gravità della vicenda è ai massimi livelli per l’UE, sia dal punto di vista della violazione territoriale sia perché compiuta ai danni dei cittadini comunitari presenti sul volo e sequestrati per ordine diretto del presidente bielorusso.

Di converso, non è così scontato che Lukashenko continui ad andare a genio a Putin. I rapporti tra i due autocrati non sono mai stati particolarmente scorrevoli, quanto piuttosto una questione di convenienza reciproca.

A prescindere da chi ne sia il presidente, la priorità del Cremlino è infatti quella di evitare a ogni costo un riallineamento in senso filo occidentale della Bielorussia sulla falsariga di quanto avvenuto in Ucraina con l’Euromaidan, poi sfruttato dal Cremlino quale casus belli per l’annessione unilaterale della Crimea e la guerra del Donbass. Il messaggio per i Paesi ex sovietici era chiaro: allontanarsi dalla Russia richiede un prezzo di sangue.

Russia
Vladimir Putin. Foto: Wikimedia Commons.

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In questo senso, se inizialmente il dirottamento poteva sembrare l’ennesimo step nella strategia della tensione che la Russia sta portando avanti all’interno dell’ex sfera d’influenza sovietica, la convocazione di Lukashenko e la tiepida reazione di Putin e Lavrov mostrano invece una posizione attendista da parte di Mosca, sintomo della volontà di non sbilanciarsi sulla vicenda senza prima avere in mano tutte le informazioni. Questo sembrerebbe quindi confermare quanto sostenuto dalla Casa Bianca.

Se davvero così fosse, l’azzardo bielorusso rischierebbe di sparigliare le carte in mano a Putin. Come un padre che si trova a pagare per le marachelle del figlio, il nugolo di sanzioni che sta per piovere sulla Bielorussia è indirizzato soprattutto a Mosca: se Putin vorrà rimanere in controllo dovrà preventivare un ulteriore esborso per le non particolarmente floride finanze russe.

Non è detto che l’outcome sia però negativo per i russi: nonostante la vicenda offra ai Paesi occidentali una causa comune per la quale battersi e alzi la bolletta da pagare per tenere al guinzaglio la Bielorussia, Putin da una parte e Lavrov dall’altra si sono dimostrati in più occasioni molto abili nello sfruttare gli imprevisti trasformandoli in opportunità.

Sempre che il responsabile dello scivolone bielorusso, alla fine, sia davvero solo Lukashenko.

Credits immagine di copertina: Marcello Gilberto Filibeck

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