Lo scorso 17 dicembre, il ministero degli Esteri russo ha reso pubbliche le bozze di due trattati che la Federazione Russa ha proposto a Stati Uniti e Nato per tutelare la propria sicurezza nazionale e assicurare pace e stabilità nella vecchia periferia sovietica.
I punti principali sono i seguenti:
1) rilancio di un approccio bilaterale ispirato a uno spirito di collaborazione: condivisione di informazioni di intelligence, creazione di hotline telefoniche per la gestione delle emergenze, rilancio del Concilio Nato-Russia;
2) Russia e Paesi membri del patto atlantico alla data del 27 maggio 1997 non potranno stazionare truppe e armamenti negli Stati dove essi non erano già presenti prima del 27 maggio 1997 (la Nato dovrà arretrare a Germania e Italia a Ovest e Grecia e Turchia a Sud);
3) Stati Uniti e Nato si impegnano a non estendere ulteriormente l’alleanza atlantica ad altri Paesi, come l’Ucraina e la Georgia. Gli Stati Uniti si impegnagno a non prendere accordi militari bilaterali o stabilire basi nei Paesi dell’ex Unione Sovietica;
4) Stati Uniti e Nato si impegnano a non condurre attività militari nei Paesi dell’Europa Orientale, del Caucaso e dell’Asia Centrale;
5) Stati Uniti e Russia si impegnano a non stazionare armi nucleari al di fuori dei propri territori nazionali e a riportare le armi nucleari già schierate nei propri territori (ad oggi Italia, Germania, Turchia, Belgio e Olanda ospitano ordigni nucleari statunitensi);
6) entrambe le parti si impegnano a non schierare missili terra-aria a corto e medio raggio in aree da cui potrebbero colpire i territori dell’altra parte;
7) mutua assicurazione di non intromissione negli affari interni dell’altra parte.
In sintesi, al mondo occidentale la Russia chiede di essere trattata da pari, di ritornare a una sistemazione con chiare aree di influenza – con il mondo ex-sovietico spettante alla Russia, Stati cuscinetto neutrali o demilitarizzati nel mezzo, gli ex Paesi del patto di Varsavia – e la mutua assicurazione di non mettere piede nel “giardino” altrui.
Sebbene non sia arrivato un immediato e secco no da parte delle cancellerie occidentali – ci si è limitati a vaghi inviti al dialogo con la Russia senza entrare nel merito dei punti – difficilmente le proposte saranno accettate da Stati Uniti e Nato. I due trattati, in larga parte coincidenti nelle loro richieste, chiedono di ritornare a una situazione da cui Nato e Stati Uniti hanno tutto da perdere.
Eppure, la Russia non ha alternative strategiche: assediata, senza spazio per retrocedere, può solo mettere le mani avanti e cercare di costringere gli occidentali al tavolo delle trattative.
Eloquenti le parole pronunciate dal presidente russo Vladimir Putin a un evento al ministero della Difesa prima di Natale: «Quello che gli Stati Uniti stanno facendo in Ucraina è sulla nostra porta di casa […] e dovrebbero capire che non abbiamo spazio per arretrare ulteriormente […] Pensano sul serio che staremo a guardare in modo ozioso?».
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L’imperativo strategico della Russia: la difesa in profondità
Perché e come si è arrivati a questo punto? Per comprendere il punto di vista russo è necessario guardare alla geografia del Paese e alla sua storia.
La Russia, in tutte le sue varie incarnazioni – Moscovia, Impero Zarista, Unione Sovietica – ha sempre temuto l’invasione terrestre da parte di potenze ostili. Il nucleo demografico ed economico del Paese è situato in una sterminata pianura che conosce poche e lontane barriere naturali: i Carpazi e il mar Baltico a Ovest, il Mar Nero, il Mar Caspio e il Caucaso a Sud, i monti Urali a Est.
Proprio da Est, dalla breccia tra il Mar Caspio e i monti Urali, venne la prima grande invasione che mise a ferro e fuoco il nucleo della Russia; quella mongola. Questa invasione, e il susseguente vassallaggio di più di duecento anni, rappresentarono un profondo trauma strategico per i principi russi.
Riottenuta l’indipendenza nel XV secolo, uno degli imperativi strategici dei principi di Mosca, poi Zar, divenne quello di espandersi militarmente in tutte le direzioni, sia certo per desiderio di conquista, sia per evitare nuove invasioni, mettendo quanta più terra possibile tra il potenziale invasore e il nucleo della Russia. L’espansione come forma di difesa.
Una tattica che quasi ha sempre funzionato, ma sempre con costi notevoli per territori e popolazione. I polacchi-lituani cinsero d’assedio Mosca ben due volte (1606 e 1618), Napoleone la saccheggiò nel 1812, gli imperi centrali avazarono sufficientemente in profondità da costringere la Russia a firmare l’armistizio e a cedere terreno (recuperato poi da Stalin). E poi ci fu l’invasione nazista, che giunse fino alle periferie di Mosca e Leningrado e provocò decine di milioni di morti nella sola popolazione civile.
La politica estera della superpotenza sovietica dell’immediato dopoguerra, ancorché antimperialista a parole, fu caratterizzata dalla necessità di scongiurare un’altra devastante invasione da parte di potenze militari ostili in senso ideologico, quali quelle del blocco occidentale allora in fieri.
I larghi territori liberati dall’Armata Rossa furono riorganizzati in democrazie popolari allineate a Mosca, in modo da aumentare ulteriormente la profondità di difesa dell’heartland sovietico. A garantire ulteriore sicurezza si aggiunsero, per più o meno tacito accordo tra le parti, degli stati neutrali posti per ridurre l’attrito tra i due blocchi: Austria, Finlandia, Svezia (tutt’ora nessuna delle tre è parte della Nato), a cui si unirono in seguito la Jugoslavia e l’Albania fuoriuscite dall’orbita sovietica.
In questo stato di cose, la Russia poté sentirsi in parte sicura nei suoi confini per quarantacinque anni: superpotenza nucleare, trattata alla pari dall’avversario con ampi territori controllati in modo diretto o indiretto a fare da corazza al proprio nucleo.
L’avanzamento della Nato e la nuova tattica russa
Con la caduta dell’Urss dovuta a implosione interna, la Russia perse la propria corazza di sicurezza e il proprio rango al cospetto del rivale di sempre. Ed è da qui che nasce la contesa attuale tra le parti.
Sebbene le relazioni tra Russia e Stati Uniti-Nato siano ispirate sul piano formale da principi di multilateralismo e parità – la carta Nato-Russia del 27 maggio 1997 implicitamente citata nelle bozze del ministero degli Esteri – la Nato e gli Stati Uniti, nel corso degli ultimi trent’anni, hanno derubricato la Russia a mera potenza regionale (più o meno a ragione) e agito in modo unilaterale in zone prima neutrali o appartenenti all’ex impero sovietico.
Ripiegata su sé stessa tra anni Novanta e primi Duemila – alle prese con il tracollo economico e separatismi interni – la Russia non ha potuto offrire forti rimostranze alle azioni unilaterali dell’alleanza, come l’intervento nei Balcani e l’allargamento ai Paesi dell’Est Europa (1999 e 2004).
Ma già dalla seconda metà dei primi anni Duemila la Russia decide di passare al contrattacco intervenendo in una serie di nodi caldi del suo ex impero per mettere in stallo lo scivolamento di alcune ex repubbliche sovietiche nell’area Nato.
Nonostante l’accordo Ocse di Istanbul del 1999, la Russia decide di mantenere stazionate le proprie truppe nella repubblica di Transnistria, territorio sulla carta moldavo, in modo da impedire l’integrazione euro-atlantica della Moldavia e la ancor più temuta riunificazione con la Romania (l’Unirea). Del 2008 è l’intervento contro la Georgia, in favore delle autoproclamate Abcasia e Ossezia del Sud, per sbarrarne il cammino verso la Nato. Nel 2014 si verifica il caso più illustre della tattica russa: il colpo di mano in Crimea e Donbass per impedire lo scivolamento dell’Ucraina nell’area atlantica, causando inoltre con essa la perdita della base navale di Sebastopoli.
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A queste tattiche fanno da contorno altre manovre: il tentativo di incrinare l’unità del fronte euro-occidentale entrando in contatto con formazioni politiche euroscettiche/filorusse; la strumentalizzazione tattica dei migranti (in concerto con la Bielorussia); il gioco di sponda con la Cina, il vero grande rivale statunitense.
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Le richieste della Russia e l’impossibile sì da parte Nato
Con queste tattiche, la Russia vuole costringere l’occidente al tavolo delle trattative e ottenere delle garanzie sulla sua sopravvivenza come Stato. Si chiede di tornare a una situazione simile a quella del 1946-91. Una serie di Stati non ostili alla Russia o demilitarizzati a protezione del proprio heartland – i punti 2, 3 e 4, 5 e 6 dell’accordo, un trattamento da pari, punto 1 – e la mutua assicurazione di non intromettersi negli affari dell’altra parte.
Ma si tratta di richieste destinate a rimanere inascoltate, perché, come detto, la Nato ha solo che da perdere da un ritorno a una situazione del genere. In primo luogo, è difficile che l’alleanza atlantica accetti di trattare alla pari con la Russia. Concependosi vincitori della Guerra Fredda, gli Stati Uniti non tratteranno mai di nuovo alla pari il Paese sconfitto, specie da quando – caduta la cortina e la propaganda ufficiale – è ben chiaro a tutti su quali fragili basi si fondasse la potenza sovietica di ieri e si fonda quella russa di oggi.
In secondo luogo, una consistente minoranza di Paesi Nato sostiene un approccio duro nei confronti della Russia. Si tratta in larga parte di ex satelliti e dominati: i tre Paesi baltici, la Romania, la Polonia, cui si deve aggiungere tra gli occidentali il Regno Unito. Ritirare gli arsenali Nato dai territori dell’Est Europa per loro significherebbe rinunciare alla propria assicurazione sulla vita.
Terzo, le tattiche della Russia stanno riuscendo a rallentare, ad aggirare forse, ma non a spezzare l’assedio della Nato. Con i costi diretti del confronto scaricati su Ucraina, Moldavia e Georgia (oltre che Siria e Libia), la Russia non è mai riuscita a colpire l’alleanza atlantica nel vivo, men che meno gli Stati Uniti. La Russia, in concreto, non potrebbe fare nulla per impedire l’integrazione euro-atlantica dei Balcani (ostacolata tuttavia da questioni slegate dalla Russia).
Quarto, Stati Uniti e Nato hanno le risorse, la demografia e il relativo benessere economico per sostenere un assedio alla Russia di lunga durata. Il confronto è più costoso per l’economia e società russe di quanto non lo sia per gli avversari occidentali.
Quinto, le tattiche e contromosse russe producono spesso l’effetto di compattare il fronte euro-atlantico e isolare sempre più la Russia, alienandole le simpatie dei Paesi su cui essa vorrebbe esercitare influenza (difficile che, dopo il colpo di mano del 2014 l’Ucraina torni in campo russo).
Sesto, i Paesi occidentali hanno sistemi politici che garantiscono relativa stabilità politica e sociale. In assenza di una linea di successione ordinata a Vladimir Putin, la Russia invece rischia di scivolare nel caos politico e di soccombere alla pressione esterna della Nato e a quella di eventuali separatismi interni, come quello ceceno (sapendo questo, l’Occidente spera di spezzare il fronte interno sostenendo Aleksej Naval’nyj).
Con ogni probabilità, le richieste russe non saranno accolte e l’assedio Nato continuerà perché la Russia tratta da una posizione di debolezza e l’Occidente ne è consapevole. Ma la Russia non ha alternative, perché continua a pensarsi potenza mondiale e in gioco c’è la sua sopravvivenza come entità politica indipendente.
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Sul lungo periodo, se l’assedio continuerà e la Russia non avrà una guida forte, gli scenari possibili sono due:
Scenario 1: la Russia sarà costretta a rinunciare alla propria indipendenza strategica, diventando un altro satellite degli Stati Uniti (come già è toccato in passato ai grandi imperi francese e britannico, entrambi già possessori dell’arma atomica);
Scenario 2: la Russia, sotto assedio imploderà, sfaldandosi in repubbliche etniche e feudi governati da oligarchi che gli Stati Uniti coopteranno nella propria sfera di influenza.
Dei due scenari, gli Stati Uniti preferirebbero forse il primo: una frantumazione della Russia permetterebbe infatti una facile penetrazione cinese in Siberia. Alcuni partner Nato, di contro, preferirebbero il secondo: in assenza del grande orso russo, frantumato in tanti Stati, potrebbero sentirsi più sicuri.
Tuttavia, a Washington e Bruxelles dovrebbero chiedersi quanto possa essere lungimirante mettere sempre più all’angolo un Paese (possessore dell’atomica) che si sente già intimamente minacciato e che non vuole rinunciare al proprio status di (declinante) potenza mondiale perché lo percepisce come parte fondante della propria identità. Come si usa dire, l’animale all’angolo è quello più pericoloso e imprevedibile.
Quello che è certo è che la pace tra Nato e Russia, al di là delle ipocrite invocazioni al dialogo, nel breve-medio periodo non sarà possibile.
Immagine in copertina: Wikimedia Commons, utente Mailtoanton, CC BY-SA 3.0